SAGREDO, Giovanni
– Nacque a Venezia il 2 febbraio 1616 dal senatore Agostino e da Maria Malipiero; gli fu fratello Lorenzo (1619-1663), che concluse la sua carriera pubblica come provveditore e capitano a Corfù.
Si avviò agli studi a Padova, presso lo zio paterno Pietro, che là era capitano. Alunno per quattro anni del Collegio Clementino di Roma, iniziò fin da giovane a servire la Repubblica di Venezia, come gli imponeva l’ascendenza familiare. Nel 1637 sposò Lisetta Longo, da cui ebbe due figli: Pietro e Agostino; il primo fu primicerio in S. Marco.
Entrato nel Maggior consiglio (1638), all’età di venticinque anni fu fatto savio degli Ordini. Al seguito di Giovanni Grimani e Angelo Contarini, ambasciatori straordinari inviati per l’avvento al trono di Luigi XIV, fu in Francia nel 1643. In quello stesso anno, a Venezia, si distinse per i soccorsi prestati in occasione dell’incendio dell’Arsenale. Fu savio di Terraferma, consigliere della Repubblica, savio della Scrittura (presidente alla Milizia), cassiere del Collegio, senatore ordinario dei Pregadi, savio del Consiglio. Tornò in Francia più tardi, nel cuore della guerra di Fronda, come ambasciatore ordinario (1652-55). Di là passò nell’Inghilterra di Oliver Cromwell nell’ottobre del 1655 e vi rimase undici mesi per ristabilire regolari rapporti fra i due Paesi; la relazione prodotta in quell’occasione fu pubblicata nell’Ottocento da Agostino Sagredo (Relazione di messer Giovanni Sagredo, cavaliere e procuratore di S. Marco ritornato dall’ambasciata straordinaria d’Inghilterra nell’anno 1656, Venezia 1844). Ebbe occasione di mostrarsi, in condizioni particolarmente complicate, diplomatico sagace e risoluto, lasciando soddisfatte le corti presso le quali aveva curato gli interessi veneziani (Luigi XIV lo nominò cavaliere e gli concesse di aggiungere i gigli di Francia al blasone di famiglia).
Al rientro in patria fu inviato prima, come provveditore generale del Friuli (1659), a Palmanova, dove si radunavano le truppe straniere arruolate per la guerra di Candia, e poi a Padova, come governatore (15 agosto - 29 ottobre 1660). Dall’ottobre del 1660 al dicembre del 1664 fu ambasciatore ordinario a Vienna, presso la corte di Leopoldo I, alleato di Venezia nella guerra contro i turchi, che avevano occupato parte dell’Ungheria. Ma la tregua di Vasvár del 10 agosto 1664, che in settembre prese la forma di un trattato di pace fra l’Impero e la Porta, mise fine al suo soggiorno viennese. La relazione di questa ambasceria apparve dopo poco tempo a stampa, in francese (Relation de la cour impériale faite au Doge de Venise par le sieur Sacredo, après son retour d’Allemagne à Venise, Paris 1670).
Al rientro in patria, dopo un periodo di malattia, riprese le attività pubbliche e fu nominato correttore delle leggi (1667) e procuratore di S. Marco (1676). Nel Maggior consiglio assunse la difesa di Francesco Morosini, ingiustamente accusato di avere abbandonato Candia ai turchi senza autorizzazione, e il generale, futuro doge, fu assolto (l’Arringa fu stampata da Gregorio Leti nel 1676, pp. 299-326; Orazioni da Antonio Corraro e da Giovanni Sagredo dette nel Gran Consiglio di Venezia nell’anno MDCLXX, Per le bene auspicate nozze di Michele Zoccoletti di Treviso con Antonietta Acqua di Venezia, Venezia 1833).
Nel 1676, in gara con Giovanni Battista Nani, presentò la sua candidatura per succedere come doge a Nicolò Sagredo, con il quale non era imparentato, come erroneamente sostenuto da alcuni storici ottocenteschi (Pierre Daru e altri). Nelle successive fasi dell’elezione giunse vicinissimo alla vittoria, ma il popolo, incitato dai suoi avversari, facendo appello a un antico privilegio di fatto caduto in desuetudine, vi si oppose tumultuando e in sua vece fu eletto Alvise Contarini. Pare che qualche irregolarità nel voto ci sia stata, benché dal popolo venissero contestate a Sagredo le magre elargizioni in occasione della nomina alla procuratoria e le discutibili abitudini di vita sue e di un figlio. Dopo la mancata nomina gli fu offerto per la seconda volta l’ufficio di correttore delle leggi (1677) e poi di savio del Consiglio.
Morì a Venezia il 10 agosto 1682. Fu sepolto nella cappella di S. Gerardo Sagredo, nella ormai distrutta chiesa della Trinità. Un ritratto datato 1682 si conservava nei depositi del Palazzo ducale.
Suo primo scritto fu una Oratio divi Lucae (1630) letta a Padova in S. Giustina. Nella maturità si rivelò scrittore colto ed eloquente. Trattenendosi sulla terraferma, dove nel 1660 aveva avviato la costruzione di una sontuosa residenza di campagna a Conselve, presso Padova, si dedicò agli studi letterari. Frutto di quegli anni di ozio furono le Memorie istoriche de’ monarchi ottomani (Venezia 1673), che ricostruiscono le vicende d’Oriente dal XIV secolo al 1646 sulla scorta dei più noti autori occidentali, ma con ricchezza di particolari per i tempi vicini, specie dove riferisce dei rapporti diplomatici tra Venezia e la Porta attingendo a corrispondenze diplomatiche. L’opera, che manifesta forte livore nei confronti dei turchi per il particolare momento storico che viveva la Serenissima e le personali esperienze dell’autore, ebbe tuttavia fortuna editoriale: fu riedita sei volte nel corso del solo XVII secolo e tradotta in lingua francese. A documentazione dell’attività diplomatica, si ritrovano a stampa tre Relazioni sulle ambascerie a Parigi, Londra e Vienna; sono invece inediti i numerosi dispacci a esse relativi.
Maggior fama di scrittore gli diede l’Arcadia in Brenta, dedicata al senatore e filantropo bolognese Cesare Bianchetti Gambalunga, edita a Venezia nel 1667 con lo pseudonimo di Ginnasio Gavardo Vacalerio (anagramma di Giovanni Sagredo cavaliero), data in veste «ampliata ed aricchita» nel 1674 e riedita nel tempo oltre venticinque volte. Si tratta di una riuscita raccolta di quarantacinque novelle e di quattrocento motti di spirito, apparsi nel tempo della crisi della narrativa barocca, ma proiettati verso la commedia di costume settecentesca. Sul modello del Decameron, nelle otto giornate di fine carnevale che un’allegra brigata di nobili veneziani trascorre tra le ville palladiane, i giardini, le peschiere e i luoghi ameni del Brenta, percepiti come una dorata Arcadia, ci si intrattiene con la narrazione per «sbandire la melanconia» con argomenti lievi. I «bischizzi», i giochi di parole fatti in società, documentano la crisi d’età barocca della parola, ma esaltano la qualità letteraria dell’opera che divenne presto un capolavoro della scrittura d’intrattenimento d’età moderna, da cui Goldoni avrebbe brillantemente mutuato il tema della villeggiatura, centrale nel suo teatro.
Nell’Arcadia in Brenta, più dell’impianto generale dell’opera, hanno pregio d’arte, per grazia e vivacità di stile, i racconti.
Un trattato sul governo veneziano, scritto in maniera franca e dettagliata, non ottenne l’autorizzazione alla stampa. E rimase inedita anche una raccolta di liriche, lontane dal marinismo corrente. Alcune sue lettere furono pubblicate nell’Ottocento dal discendente Agostino Sagredo (Lettere inedite di messer Giovanni Sagredo, cavaliere e procuratore di San Marco, a cura di A. Sagredo, Venezia 1839).
Fonti e Bibl.: Per la biografia si consultino i fondi di: Archivio di Stato di Venezia (Senato, Dispacci Ambasciatori, Notarile Testamenti); Venezia, Archivio storico del Patriarcato; Biblioteca del Civico Museo Correr (Fondo Cicogna, Misc. Correr); Biblioteca Fondazione Querini Stampalia e Biblioteca statale Marciana. G. Leti, L’Italia regnante, o vero Noua descritione dello stato presente di tutti prencipati, e republiche d’Italia. Dedicata al Re Christianissimo, IV, Geneva 1676, pp. 123, 127-136; M. Foscarini, Historia della Republica Veneta, Venetia 1696, pp. 17 s., 83, 98.
P.-A. Daru, Histoire de la République de Venise, VIII, Paris 1821, pp. 628, 636, 649; Biografia universale antica e moderna, L, Venezia 1829, pp. 78 s.; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, V, Venezia 1842, pp. 162-177; Dizionario delle date, sotto la direzione di A.-L. d’Harmonville, V, Venezia 1846, pp. 324 s.; Venezia e le sue lagune, I, Venezia 1847, pp. 102, 187 s., 200; G. Lecomte, Venezia, Venezia 1848, pp. 174, 216 s.; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, VII, Venezia 1858, pp. 469-481; A. Wolf, Drei diplomatische Relationen aus der Zeit Kaiser Leopold’s I, in Archiv für Kunde oesterrechischen Geschichtsquellen, XX (1859), pp. 305-320; Relazioni degli Stati europei lette al Senato dagli ambasciatori veneti, a cura di N. Barozzi - G. Berchet, II, 1, Francia, Venezia 1859, pp. 525-555, IV, Inghilterra, Venezia 1863, pp. 363-400; G. Berchet, Cromwell e la Repubblica veneta, Venezia 1864, pp. 65-88; Nuova Enciclopedia popolare Italiana, XX, Torino 1864, pp. 351 s.; G. Damerini, Morosini, Milano 1929, pp. 162-171; N. Conigliani, Inediti del S., in Ateneo veneto, I (1931), pp. 259-266; Id., G. S., Venezia 1934; P. Orsi, Mazzarino e Cromwell nei dispacci dell’ambasciatore veneto G. S., in Atti del Reale Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, XCIV (1934-1935), 1, pp. 19-50; Relazioni di ambasciatori veneti al Senato. Tratte dalle migliori edizioni disponibili e ordinate cronologicamente, a cura di L. Firpo, I, Torino 1965, pp. 850-890; P. Preto, I turchi e la cultura veneziana del Seicento, in Storia della cultura veneta, a cura di G. Folena, IV, 2, Vicenza 1984, pp. 313-341; C. Mazza, I Sagredo. Committenti e collezionisti d’arte nella Venezia del Sei e Settecento, Venezia 2004, ad indicem.