ARIENTI, Giovanni Sabadino degli
Nacque a Bologna verso la metà del Quattrocento (1445 circa), ultimo dei numerosi figli di un Sabadino degli Arienti, barbiere di professione e attivo fautore dei Bentivoglio nelle lotte che precedettero il costituirsi della signoria bentivogliesca. Fu, nello Studio bolognese, discepolo di Manfredo Valturio e forse anche di Mario Filelfo, cui era legato di devota amicizia e per conto del quale trascriveva la Glycephila (1463-64). Si avviò quindi alla professione di notaio; ma fin da giovanissimo mostrò di volere anch'egli valersi soprattutto del favore e della protezione che i Bentivoglio accordavano alla sua famiglia. Dopo aver composto alcune poesie amorose (oggi perdute) per una donna adombrata sotto il nome allusivo di "fiore" o "fiore intarsiato", destina la sua prima opera in prosa volgare, il De civica salute (scritto tra il 1467 e il 1468), a tessere gli elogi del conte Ludovico Bentivoglio, patrizio bolognese appartenente a un ramo collaterale della potente famiglia, e a tracciare una storia di Bologna durante la prima metà del secolo dal punto di vista bentivogliesco. Nella primavera del 1471 dedica a Giovanni Bentivoglio, ormai di fatto signore di Bologna, un'altra operetta in cui è descritto il torneo da lui organizzato per il 4 ott. 1470. Iscrittosi alla società dei notai (20 marzo 1471) forse per difficoltà economiche conseguenti alla morte del padre, non esercitò mai questa professione; nello stesso anno, infatti, raccogliendo il frutto della sua attività di scrittore bentivogliesco, entrava al servizio del conte Andrea Bentivoglio, figlio di Ludovico, come suo segretario. Nel frattempo non trascurava di procacciarsi ragguardevoli amicizie e protezioni anche fuori di Bologna: già verso la fine del 1468 indirizzando a Egano Lambertini, cavaliere bolognese esiliato dalla sua città, un ampio Libro consolatorio, ricco di sapienza mitologica, non aveva perduto occasione di fare interprete l'amico, rifugiatosi a Ferrara, dei suoi sentimenti di devozione verso il futuro duca Ercole; e quando per le nozze di Ercole con Eleonora d'Aragona (luglio 1473) si recò egli stesso a Ferrara, al seguito del conte Andrea, toccò proprio a lui di pronunciare il discorso per la presentazione dei regali nuziali da parte dei legati bolognesi. Introdottosi così nel favore dei signori bolognesi e ferraresi ebbe uffici e sussidi nella sua città: fu gonfaloniere del popolo nel 1478 per il quartiere, di Forta Piera e poi "massarolo" del Comune al posto del fratello Antonio dopo la morte di lui. là questa l'epoca in cui l'A. va. componendo la sua opera maggiore, Le Porrettane, una raccolta di sessantun novelle che si fingono narrate a tumo, per cinque giorni dell'estate 1475, da un gruppo di persone in maggioranza bolognesi, raccolto ai bagni della Porretta attorno ad Andrea Bentivogho e alla sua famiglia; l'opera fu compiuta negli ultimi mesi del 1478 e dedicata al duca di Ferrara Ercole d'Este.
Le necessità economiche dell'A. divenivano intanto più pressanti: nel 1473 aveva sposato Francesca Bruni, che gli darà otto figli, ed egli appare spesso preoccupato di cercare i mezzi necessari per mantenere questa sempre più numerosa famiglia. Nel 1482 (19 agosto) i Riformatori gli accordano, per ricompensa dei servigi resi allo Stato, sei lire bolognesi mensili sul dazio delle porte e circa la stessa epoca i duchi di Ferrara si adoperano, peraltro senza successo, a ottenergli un ufficio dal cardinale Francesco Gonzaga, legato in Bologna. A queste preoccupazioni economiche si aggiungono le sciagure famigliari: gli muore nel 1485 un figlio, Carlo, e circa due anni dopo, appena trentatreenne, la moglie. Egli la ricorda già morta nel Trattato della pudicizia (1487), un'operetta scritta in suo onore e dedicata a una "Colomba", cioè, probabilmente, una sorella della Bruni, di nome Camilla, alla quale Giovanni Sabadino dedicò anche alcune poesie e, dopo la sua morte, la biografia-elogio con cui si chiude la Gynevera de le clare donne. Tra queste difficoltà famigliari non interrompeva, tuttavia, la sua attività di letterato cortigiano, cui doveva gran parte delle sue fortune e dei mezzi medesimi del suo sostentamento. Allo stesso anno in cui morì sua moglie risale il De Hymeneo, descrizione delle feste nuziali per il matrimonio di Annibale II Bentivoglio, figlio di Giovanni, e di Lucrezia d'Este, figlia del duca Ercole. Per Ginevra, moglie di Giovanni Bentivoglio, traduceva la Storia del tempio di Loreto poco dopo che l'amico mantovano Battista Spagnoli l'aveva scritta in latino (1489); e alla stessa Ginevra offriva, come più cospicuo omaggio, la serie di trentatré elogi di figure femminili raccolta nel 1490 sotto il titolo Gynevera de le clare donne:a questa serie si aggiunse poi, nel 1493, l'Elogio di Isabella di Castiglia, che rappresenta in parte una rielaborazione del Trattato della pudicizia or ora citato.
Il 27 genn. 1491 il conte Andrea muore; egli ne scrive una delle sue solite encomiastiche biografie (dedicata con lettera del 14 apr.1492 a O. Carafa cardinale di Napoli), proponendosi di dichiararvi "le virtute... che in lui erano secundo ha possuto intendere et degustare nel tempo de' vinti anni che al suo valore è stato secretario". La morte del conte contribuì certo a diminuirgli la familiarità coi signori di Bologna; in effetti nel 1495 la provvisione concessagli anni prima non gli è rinnovata, e nello stesso periodo lovediamo rivolgersi con maggiore insistenza agli Estensi per avere uffici e sussidi. Già dall'epoca della guerra di Ferrara e forse anche da prima l'A. svolgeva per il duca Ercole le funzioni di informatore politico da Bologna; nel 1491 il duca lo prende temporaneamente al suo servizio come "cameriero segondo" alle nozze del figlio Alfonso con Anna Sforza, e di nuovo tra il '97 e il '98 pare che dimorasse a Ferrara essendo riuscito a ottenere alcuni uffici. Alle nozze di Alfonso d'Este dovette anche fare più stretta conoscenza con Isabella d'Este, la colta e vivace figlia del duca Ercole: l'inizio della sua corrispondenza con la marchesa di Mantova risale, secondo le lettere pervenuteci, al 1492 e da allora si svolgerà piü o meno regolarmente fino a pochi mesi dalla morte dello scrittore. Attraverso Isabella l'A. entra in contatto con lo stesso duca Francesco Gonzaga (al quale nel 1493 dedica una novella) e quindi con altri personaggi legati alla corte mantovana: dal 1496 al 1502 è documentato un suo costante rapporto epistolare col vescovo Ludovico Gonzaga. A tutti questi illustri corrispondenti l'A. comunicava assiduamente le più svariate novità di cui in Bologna poteva venire a conoscenza: fatti politici, avvenimenti artistici (è nota la sua lettera del 1506 alla marchesa Isabella sulla scoperta del Laocoonte), resoconti di feste, e simili, e ne riceveva in cambio aiuti e favori. Di lui rimangono anche alcune lettere a Benedetto Dei, uomo d'affari, letterato, viaggiatore fiorentino, in compagnia del quale avrebbe trascorso qualche tempo a Milano intorno al 1480 (a contatti con l'ambiente milanese accennano comunque alcune lettere dell'A. a Lodovico il Moro).
Nella prima metà del 1498, poco dopo la morte della giovane moglie di Alfonso d'Este, scrive una Vita di Anna Sforza e vari particolari della narrazione ci confermano che lo scrittore si trovava ancora in Ferrara. Dal 1499 è di nuovo documentata la sua presenza a Bologna; in quest'ultimo periodo della signoria bentivogliesca l'A. dovette però starsene più ritirato, senza peraltro interrompere del tutto i rapporti con i Bentivoglio. Le sue ultime opere di carattere cortigiano si dirigono ancora prevalentemente agli Estensi: la Descrizione del giardino della Viola (1501), cioè della villa di Annibale Bentivoglio e di Lucrezia d'Este, è dedicata a Isabella, sorella di Lucrezia; e il Colloquium ad Ferrariensem plebem (fine 1501), ora perduto, fu scritto in occasione delle seconde nozze di Alfonso d'Este con Lucrezia Borgia. Una Lettera consolatoria a Nicolò Lardi (17 giugno 1501) si collega invece a motivi personali, avendo per scopo di consolare il Lardi della morte di sua figlia Laura che, rimasta vedova, l'A. aveva sperato di poter sposare. Da questo momento non sappiamo con certezza che egli abbia composto altre opere. Al momento della caduta dei Bentivoglio e del ritorno effettivo del dominier papale in Bologna (1507) non mostra alcuri disappunto; nello stesso anno 1507 egli ottiene anzi dal nuovo governo ancora la carica di gonfaloniere pel quartiere di Porta Piera e nel 1508 si reca a Roma a fare atto di omaggio al papa. Meno di due anni dopo, in una lettera spedita il 4 giugno 1510 da Bologna, il figlio ed erede dell'A., Ercole, comunicava a Isabella d'Este che suo padre "domenica matina proxima ne moritte per una infermità grave de ardentissima febre".
La produzione dell'A. rientra in genere in quella letteratura cortigiana che accompagnò il fiorire delle signorie e dei principati. Il fatto stesso che tutte le opere pervenuteci siano scritte non in latino, ma in volgare (anzi in lingua bolognese, come afferma più volte egli stesso), rivela probabilmente l'intenzione di seguire i gusti e le preferenze dei signori cui le indirizzava; una sola operetta in latino, un'epistola diretta a Ferdinando d'Aragona, ci è nota indirettamente da un cenno contenuto nell'Elogio di Isabella di Castiglia. Il latino pesa tuttavia sulla sua prosa volgare, orientata potenzialmente a quegli ideali di preziosismo linguistico, che proprio in quegli anni a Bologna erano diffusi da Filippo Beroaldo; spunti e motivi sono anche attinti alla più autorevole tradizione volgare e specialmente al Boccaccio che l'A. confessa esplicitamente di avere studiato (De civica salute). Comunque tutto ciò confluisce di solito nell'intenzione cortigiana e dà luogo a composizioni frigide e ampollose. Nella Gynevera, per esempio, lo schema boccaccesco del De claris mulieribus si piega al fine cortigiano non solo nella adulatoria dedica a Ginevra Sforza, ma anche nelle singole biografie che per la maggior parte sono elogi di donne appartenenti a illustri e potenti famiglie dell'Italia settentrionale. Compare qua e là nelle opere dell'A. il gusto dell'erudizione: esso si esprime nelle frequenti citazioni di opere storiche, di documenti d'archivio, di testimonianze orali; ma le notizie sono raccolte disordinatamente senza un serio scrupolo di precisione storica e infine risultano meri materiali organizzati nel tessuto connettivo del discorso encomiastico. Così è nelle Porrettane, la sua opera migliore e una delle meno aggravate dai propositi cortigianeschi: dietro la cura di veridicità storica che l'A. ostenta a più riprese sta l'imitazione del Boccaccio o di Poggio e, più spesso, il ricorso a motivi della novellistica popolare. Più notevole è se mai il collegamento, vero o fittizio, di alcuni suoi temi a personaggi e ambienti contemporanei (v. novv. 3, 14, 43, ecc.), evidentemente nel tentativo di suscitare un più vivo interesse nella cerchia mondana dei suoi lettori. In ciò l'A., che anche nella cornice esteriore della sua raccolta si stacca dalla novellistica tradizionale, anticipa in un certo senso la novella cronachistica del Bandello. Dei resto, che in lui ci fosse una vena aneddotica e giornalistica è confermato dal gusto e talora dalla vivacità di quei resoconti epistolari cui abbiamo accennato sopra.
Bibl.: G. Campori, G. S. degli A. e gli Estensi, in Atti e Mem. d. R. Deputaz. di storia patria per le prov. dell'Emilia, n. s., IV, 2 (1880 ), pp. 209-24; U. Dallari, Della vita e degli scritti di G. S. degli A., in Atti e Mem. d. R. Deputaz. di storia Patria per le prov. di Romagna s. 3, VI (1888), pp. 178-218; R. Renier, recens. a Joanne Sabadino de li Arienti, Gynevera de le clare donne, a cura di C. Ricci e A. Bacchi della Lega, Bologna 1888, in Giorn. stor. d. letter. ital., XI (1888), pp. 205-18; R. Renier, Nuove notizie di G. S. degli A., in Giorn. stor. d. letter. ital., XII (1888), pp. 301-305; F. Roediger, Lettere inedite di S. Degli A. e F. Tranchedino a Benedetto Dei, Firenze 1889; V. Finzi, Libro consolatorio di G. S. degli A. a messer Egano Lambertini, in Ateneo Veneto, XXIV (1901), I, pp. 129-140; 2, pp. 240-260, 384-397; A. Luzio e R. Renier, Cultura e relazioni letterarie di Isabella d'Este, in Giorn. stor. d. letter. ital., XXXVIII(1901), pp. 49-56; S. von Arx, G. S. degli A. und seine Porrettane, in Romanische Forschungen, XXVI (1909), pp. 671-824; F. Patetta, Sulla Glycephila di Mario Filelfo in un nuovo esemplare autografo di G. S. degli A., e sulla data di composizione della Gynevera de le clare donne, in Rendiconti della R. Accad. d'Italia, classe di scienze morali, storiche e filol., s. 7, II (1941), pp. 275-341; S. B. Chandler, A Renaissance news correspondent, in Italica, XXIX(1952), pp. 158-63; Id., Appunti su G. S. degli A., in Giorn. stor. d. letter. ital., CXXX(1953), pp. 346-50; Id., Il Trattato della pudicizia di S. degli A., in La Bibliofilia, LVI(1954), pp. 110-13; Id., Due raccolte di rime compilate nel Quattrocento, in Rinascimento, V (1954), pp. 112-116; Id., Un corrispondente di Lodovico il Moro, in Arch. stor. lomb., LXXX (1954), pp. 233-36. La prima edizione delle Porrettane è un incunabolo bolognese dei 1483 stampato da Enrico di Colonia; la più autorevole ediz. moderna è quella a cura di G. Gambarin (Bari 1914) che riproduce l'autografo del 1478 (in appendice la novella del canonico Atteone dedicata a Francesco Cionzaga); sulle Porrettane v. inoltre E. Lommatzsch, Ein italienisches Novellenbuch des Quattrocento: G. S. degli A. 's "Porrettane"' Halle a. s. 1913; L. Di Francia, Novellistica, I, Milano 1924, pp. 478-96; V. Rossi, Il Quattrocento, Milano 1949, pp. 204-20 6; A. Chiari, in Questioni e correnti di storia letteraria, Milano 1949, pp. 313-316.
Per l'edizione della Gynevera v. sopra; per quelle delle opere minori e delle lettere v. gli studi cit. di Campori, Dallari, Renier, von Arx, Chandler. Sull'attribuzione all'A. di una Historia di Piramo e Tisbe v. Chandler, Appunti su G. S. degli A., cit., pp. 349 s. (contrario a questa attribuzione); su un Trattato della nobiltà e su una Historia o Memorie antiche della patria, citati come suoi dal Ghirardacci e da altri storici bolognesi e oggi perduti, v. lo studio già citato di von Arx, pp. 695-99, che almeno per la seconda di queste due opere ritiene l'attribuzione all'A. assai probabile. Per l'ambiente storico e culturale in cui visse l'A., v. C. M. Ady, The Bentivoglio of Bologna, London 1937 (spec. pp. 166-168), e E. Raimondi, Codro e l'Umanesimo a Bologna, Bologna 1950 (spec. il cap. II).