ROVETTA, Giovanni
ROVETTA, Giovanni. – Nacque a Venezia, tra il giugno del 1596 e il maggio del 1599, da Giacomo, violinista, e da Pasqua o Pasquetta Cotti, figlia di facoltosi mercanti greci.
Nuclei familiari di questo nome, originari di Rovetta e dintorni (in val Seriana), sono attestati già nel primo Cinquecento a Venezia, attivi nella lavorazione e nel commercio di lana e seta. Con quest’ambiente sociale – il ceto artigianale e mercantile veneziano di origine bresciana e bergamasca – Rovetta mantenne legami per tutta la vita; e ne ereditò forse la dedizione al lavoro, allo studio e al risparmio, virtù che, non meno delle capacità musicali ben presto dimostrate, dovettero metterlo in luce agli occhi del patriziato veneziano.
Il primo componente documentato della famiglia è il nonno Alberto (morto nel 1605), anch’egli violinista, residente nella parrocchia di S. Giovanni decollato, e forse attivo in alcune ‘scuole’ di Venezia. Il figlio di questi, Giacomo (morto nel 1641), padre di Giovanni, ne seguì con successo le orme: fu un importante componente della cappella ducale marciana. Dal 1615 alla morte venne retribuito dai procuratori di S. Marco con un emolumento speciale, forse perché impiegato come solista; venne poi eletto ‘piffaro del Doge’, uno dei sei strumentisti che accompagnavano la Serenissima Signoria fuori dalla basilica. Probabilmente continuò a risiedere nella casa paterna, giacché nello stesso archivio parrocchiale sono registrate le nascite dei figli Giovanni ed Elena (nata nel 1603); mentre di un altro figlio, Antonio, musicista e poi sacerdote, si hanno poche notizie.
Giovanni Rovetta venne precocemente impiegato nella cappella ducale: già nel 1614 fu assunto su base stabile assieme ad altri 16 strumentisti, con esplicita menzione del servizio già prestato in precedenza come ‘musici straordinari’. Nel 1623 fu assunto come cantore (basso); l’atto relativo specifica la cessazione del precedente emolumento di strumentista. Accanto alle mansioni musicali in senso stretto, già nel 1617 Rovetta fu eletto anche a una carica minore in S. Marco, ‘guardiano alle portelle’ o ‘alle logge’, ossia ai passaggi sopraelevati che circondano l’interno dell’edificio, dai quali cantori e strumentisti si esibivano nelle festività straordinarie; tale mansione gli procurò anche qualche contrarietà, come testimoniano gli incartamenti relativi a due distinti processi in cui fu imputato (peraltro senza conseguenze).
Nel secondo decennio del secolo Rovetta fu forse al servizio, quale ‘musico privato’, di uno dei procuratori più in vista, Antonio Lando (la firma di Rovetta appare in calce al testamento del nobiluomo: Archivio di Stato di Venezia, Notarile, Testamenti, b. 357/26, 26 ottobre 1618; cfr. inoltre E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, VI, 1853; Donazzolo, 1927; Venezia, Biblioteca civica Correr, Mss., Cicogna 2856/II); il figlio di costui, Girolamo, fu poi coinvolto nella gestione del teatro Novissimo, che nel 1645 allestì l’unica opera in musica di Rovetta (cfr. Glixon-Glixon, 2006, pp. 74-88). Nei primi anni Venti comparvero alcune primizie musicali di Rovetta in collettanee veneziane di mottetti concertati con il basso continuo: i Symbolae diversorum musicorum (1620) e la Seconda raccolta de’ sacri canti (1624) a cura del cantore pavese Lorenzo Calvi; e la Ghirlanda sacra [...] di varii motetti a voce sola a cura del soprano marciano Leonardo Simonetti (1625).
Passi decisivi nella carriera marciana di Rovetta furono le elezioni dapprima a vicemaestro di cappella il 22 novembre 1627, successore di Alessandro Grandi, sotto l’egida del sessagenario Claudio Monteverdi (che già da prima gli delegava parte delle sue funzioni; cfr. lettera del 10 settembre, in C. Monteverdi, Lettere, a cura di É. Lax, 1994); indi, morto Monteverdi, a maestro di cappella, il 21 febbraio 1644. Numerosi suoi libri di mottetti concertati (op. III, 1635; op. V, 1639) e di salmi (op. VII, 1642; op. VIII, 1644; op. XII, 1662) sono dedicati alla procuratia di S. Marco o a singoli suoi membri o loro familiari; e già l’avviso ai lettori incluso nei Salmi concertati dell’opera I (1626) allude alla promettente carriera di compositore che il giovane strumentista riteneva di avere davanti (cfr. Sartori, 1952). Fin dal 1632 il peso di Rovetta in cappella doveva comunque essere notevole, se la Procuratia, in assenza di Monteverdi, gli affidò la concertazione delle musiche per l’entrata del nuovo patriarca, il cardinale Federico Corner. Nel 1638 diresse le musiche per la nascita del futuro re di Francia, Luigi XIV (edite l’anno dopo nella raccolta Messa e Salmi concertati, op. IV, dedicata a Luigi XIII; a cura di L.M. Koldau, Middleton, Wis., 2001).
Rovetta non abbracciò la carriera ecclesiastica; il benessere economico di cui poté godere sino alla morte si fondava su cospicui investimenti nella zecca di Stato, avviati all’indomani delle celebrazioni per la corona di Francia. Rovetta poté così sovvenire ai bisogni della sorella Elena. Dapprima tentò di unirla in matrimonio con il collega Francesco Cavalli (lo testimonia una sua lettera del 22 novembre 1627 al padre di questi, Giovanni Battista Caletti). Sposatasi invece con Antonio de Grandis, detto Volpe, Elena restò ben presto vedova; fu quindi il fratello a costituire il ‘patrimonio ecclesiastico’, allora necessario, per il sacerdozio del figlio di lei, Giovanni Battista, detto Volpe (poi denominato Rovettino), in seguito da lui avviato con successo alla carriera musicale.
Morì a Venezia il 23 ottobre 1668 e fu sepolto in S. Silvestro, nell’arca della famiglia materna, ordinata anni prima da un parente, sacerdote ivi officiante.
Rovetta riconobbe apertamente l’esempio e il modello delle creazioni di Monteverdi, già nella lettera dedicatoria dell’opera prima, i Salmi concertati a 5 e 6 voci, ed altri con 2 violini, con motetti a 2 e 3 voci, ed alcune canzoni per sonar a 3 e 4 voci (1626; cfr. Sartori, 1952). Nell’avviso ai lettori dello stesso libro peraltro egli addita due compositori degni di ammirazione, Giovanni Priuli e Giovanni Valentini, entrambi attivi alla corte dell’imperatore. Christoph Bernhard, allievo di Heinrich Schütz, nel suo Tractatus compositionis augmentatus (ms., post 1657) accomunò Rovetta a Monteverdi e Cavalli come primi tre esponenti sia dello stilus luxurians communis sia di quello theatralis.
L’influenza di Monteverdi esercitata su Rovetta è stata perfin troppo enfatizzata dalla critica; in realtà, salvo certe licenze nel contrappunto e nell’armonia, peraltro più sporadiche che in Monteverdi, le composizioni di Rovetta mostrano un carattere meno drammatico e teso, più pacato e sereno. In particolare nei mottetti e in genere nelle musiche da chiesa si fa a mano a mano strada una tendenza osservabile anche in altri autori veneziani coevi, quali Cavalli, Massimiliano Neri, Natale Monferrato, ossia la partizione in sezioni via via sempre più ampie. In Rovetta tali sezioni non sono molto differenziate per carattere, tempo e ambito tonale, donde appunto uno svolgimento generalmente quieto e disteso, al confronto sia con lo stile assai più eccitato delle composizioni monteverdiane (sezioni più brevi e numerose, contrastanti per carattere, metro, tempo, ambito armonico ecc.) sia con quello di Cavalli, che predilige sezioni vivacemente contrastate ma più ampie, specie nei brani più fastosi delle sue Musiche sacre (1656).
In Rovetta l’ordito vocale è sempre di una mirabile trasparenza ed eleganza, finanche compiaciuto nella scelta ed elaborazione di elementi melodici e contrappuntistici calzanti sull’espressione del testo. Tali caratteristiche – unitamente all’estrazione sociale e professionale – fecero di lui il musicista ideale per esaltare le glorie di uno Stato tradizionalmente dedito all’autocelebrazione anche nei suoi atti di pietà. Non a caso la produzione ecclesiastica, che spazia dallo stile «a voci pari» al genere concertato alla moderna per 2-8 voci con e senza strumenti, fino alle composizioni a otto «da cantarsi alla breve», costituisce il nucleo più importante di una vasta produzione a stampa apparsa presso gli editori musicali veneziani Bartolomeo Magni (op. I), Alessandro Vincenti (opp. II-XI) e Francesco Magni (op. XII). Alle opere già citate in precedenza si aggiungono i libri III e IV di Motetti, op. X (1647, dedicato a mons. Giovanni Pomelli pievano di S. Fantin e «canonico ducale») e op. XI (1650, dedicato a Battista Conti, priore nell’abbazia di Carceri).
Le quattro composizioni strumentali incluse nell’opera prima (1626) dovettero essere un precedente importante per analoghe creazioni di Neri e Cavalli, organisti marciani; fu forse su indicazione degli stessi procuratori se in seguito Rovetta si concentrò sulla produzione vocale da chiesa, lasciando ai due colleghi (com’era prassi in S. Marco) l’incombenza di rifornire la cappella di composizioni puramente strumentali.
Nei tre libri di Madrigali concertati Rovetta ricalca gli organici assai vari dei libri VII e VIII di Monteverdi (1619 e 1638), da 2 a 8 voci, con e senza strumenti concertanti. Spiccano alcune scelte poetiche peculiari, in buona parte riconducibili all’ambiente degli Accademici Incogniti. Nel libro I (op. II, 1629, dedicato a Paolo Giordano II Orsini duca di Bracciano; ed. a cura di I.D. Stewart, dissertazione, University of Otago, Dunedin 1988), accanto a madrigali già frequentatissimi di Giovanni Battista Guarini e di Giovanni Battista Marino, figura sotto il titolo La gelosia placata un diverbio amoroso che corrisponde all’atto III, scena I, dell’«anacronismo» libertino Il natal di Amore di Giulio Strozzi (ed. in Whenham, 1982, II, pp. 414-437), nonché una cantata a voce sola di soggetto tassesco, La bella Erminia, su stanze di Guido Casoni (facs. in Italian secular songs, 1606-1636, a cura di G. Tomlinson, VII, New York-London 1986, pp. 71-84). Nel libro II (op. VI, 1640, dedicato al giurista Francesco Pozzo; ed. a cura di J. Whenham, Birmingham 2012, www.ascima.bham.ac.uk) compaiono l’elogio della rosa dall’Adone del Marino (canto III, st. 156-161) e un fiammeggiante ritratto delle virtù canore di Adriana Basile dalla Venezia edificata di Strozzi (1624; canto XII, st. 40-42). Nel libro III (op. IX, 1645, dedicato da G.B. Volpe a Francesco Cavalli) figurano componimenti del marinista salentino Antonio Bruni e del medico e filosofo estense Ercole Manzoni.
Rovetta fu coinvolto anche nei teatri. Delle recite dell’Ercole in Lidia, dramma dell’accademico Incognito Maiolino Bisaccioni (teatro Novissimo, gennaio 1645), rimane testimonianza nei diari di John Evelyn: come suole accadere in quest’epoca, il lusinghiero commento del viaggiatore si concentra non tanto sulla musica quanto sul fascino dello spettacolo (cfr. Glixon-Glixon, 2006, pp. 84 s.; Selfridge Field, 1994, pp. 409 s.). La composizione della «favola musicale» Argiope di Giovan Battista Fusconi (anch’egli Incognito), messa in cantiere da Rovetta per il carnevale 1646, fu in realtà compiuta da Alessandro Leardini (teatro di Ss. Giovanni e Paolo, 1649). In entrambe le opere cantò la diva Anna Renzi; di entrambe si è persa la partitura.
Le composizioni di Rovetta riprese in edizioni antologiche transalpine, come quelle, isolate, presenti in manoscritti disseminati perlopiù Oltralpe, sono – nei casi finora accertati – copie dalle edizioni veneziane. Un’eccezione vistosa è la messa da morto composta per le proprie esequie, conservata manoscritta (ed. a cura di J.R.J. Drennan, Madison, Wis., 2006, con altre cinque messe di Rovetta). Notevole la fortuna postuma della Salve regina a 5 voci che chiude i Motetti concertati dell’op. III (1635), pubblicata nel 1813 nella Allgemeine musikalische Zeitung (annata XV, 6 gennaio, come ‘Beylage’ dopo p. 16), e di lì, sull’onda della ‘rinascita’ ceciliana, ricopiata in numerosi manoscritti conservati in biblioteche e archivi tedeschi.
Assieme ad altri musici della «regia basilica di S. Marco» (Monferrato, Cavalli, il nipote Giovanni Battista Volpe) Rovetta venne omaggiato da Bonifacio Graziani nella lettera dedicatoria dei suoi Sacri concerti op. XV (Roma 1668), che lo dichiarò «uno spirito quasi dissi divino, come nel famoso Roveto di Mosè tutto lume in nere et acute note espresso» (Llorens, 1971). L’anno successivo, sotto il titolo Precationis thuribulum, il compositore brandeburghese Christoph Peter pubblicò una raccolta di dodici messe composte a imitazione di brani polifonici altrui; due di esse elaborano un madrigale e un mottetto di Rovetta: la messa VIII «super Venga» a 2 violini, 5 voci e basso continuo si rifà al madrigale Venga dal ciel migliore dell’opera VI, e la messa XII «superIn te, Domine, speravi» a 8 voci in 2 cori di 3 voci ‘favorite’ e 5 ‘a cappella’ all’omonimo mottetto a 5 dell’opera III, 1635.
La fortuna in terra britannica è testimoniata da numerosi manoscritti contenenti opere sue, specialmente su testi volgari (tutte, comunque, già presenti nelle edizioni a stampa veneziane), e dalle raccolte a stampa nella Christ Church di Oxford (quasi tutte nelle ristampe approntate dall’editore Phalèse di Anversa).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Procuratia de Supra, Chiesa, b. 92, processo 213; Venezia, Biblioteca civica Correr, Mss., Cicogna 2856/II; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, VI, Venezia 1853, p. 792; W. Gurlitt, Ein Briefwechsel zwischen Paul Hainlein und L. Friedrich Behaim aus den Jahren 1647-48, in Sammelbände der Internationalen Musikgesellschaft, XIV (1912-1913), pp. 491-499; C. Monteverdi, Lettere, a cura di É. Lax, Firenze 1994, p. 174.
P. Donazzolo, I viaggiatori veneti minori, Roma 1927, pp. 177 s.; C. Sartori, Bibliografia della musica strumentale italiana, Firenze 1952, pp. 304-306; J. Müller-Blattau, Die Kompositionslehre Heinrich Schützens in der Fassung seines Schülers Christoph Bernhard, Kassel 1963, pp. 19, 90; J.M. Llorens, Le opere musicali della Cappella Giulia, I, Manoscritti e edizioni fino al ’700, Città del Vaticano 1971, pp. 262-264; J. Moore, Vespers at St Mark’s, Ann Arbor 1981, I, pp. 11-18, 232 s., 235 s., 255 s.; II, pp. 162-186, 199-220; J. Whenham, Duet and dialogue in the age of Monteverdi, Ann Arbor 1982, I, pp. 207-216; II, pp. 266-279, 414-437; P. Guerrini, I Rovetta nel bresciano, in Id., Pagine sparse, XXVII, Appunti su argomenti diversi, Brescia 1984, pp. 484 s.; P. Fabbri, Monteverdi, Torino 1985, pp. 345 s.; P.A. Rismondo, Francesco Sponga detto Usper (1561 - 1641) ‘organista eccellentissimo’, tesi di laurea, Università di Bologna 1989, p. 60 n. 39; R. Baroncini, Contributo alla storia del violino nel sedicesimo secolo: i ‘sonadori di violini’ della Scuola Grande di San Rocco a Venezia, in Recercare, VI (1994), pp. 163 (doc. 63), 169 (doc. 79); E. Selfridge Field, R.’s music for the Holy Week, in La cappella musicale di San Marco nell’età moderna, a cura di F. Passadore - F. Rossi, Venezia 1994, pp. 401-441; J. Whenham, “Aria” in the madrigals of G. R., in “Con che soavità”: studies in Italian opera, song and dance, 1580-1740, a cura di I. Fenlon - T. Carter, Oxford 1995, pp. 135-156; G. Vio, I monasteri femminili nel Seicento, in Musica, scienza e idee nella Serenissima durante il Seicento, a cura di F. Passadore - F. Rossi, Venezia 1996, pp. 298-300, 314 s.; J.R.J. Drennan, The Masses of G. R., Ph.D. diss., Ulster University, 2002; G. Vio, Nuovi elementi biografici su alcuni musicisti del Seicento veneziano, in Recercare, XIV (2002), pp. 203-209; J.E. Glixon, Honoring God and the city: a documentary history of music at the Venetian confraternities, 1260-1807, New York 2003, pp. 205, 214-216, 287; J. Whenham, Perspectives on the chronology of the first decade of public opera at Venice, in Il Saggiatore musicale, XI (2004), pp. 270-285, 297; J.R.J. Drennan, Attributions to G. R., in Early Music, XXXIII (2005), pp. 413-422; B.L. Glixon - J.E. Glixon, Inventing the business of opera: the impresario and his world in seventeenth-century Venice, Oxford 2006, pp. 74-88, 141, 224; G. Rovetta, Masses, a cura di J.R.J. Drennan, Middleton (Wis.) 2006; Id., Another Mass attributable to G. R., in Music and letters, LXXXVIII (2007), pp. 589-603; Id., G. R.’s “Missa brevis”. A symbol of musical longevity, in Recercare, XXII (2010), pp. 111-146; M. Di Pasquale, Giovanni Gabrieli, un consorzio di organisti, quattro compagnie di musici, in Recercare, XXVII (2015), p. 78 e note 35 s.; Sacra Corona, Venice, 1656, a cura di P.A. Rismondo, Middleton, (Wis.) 2015, p. XII; P.A. Rismondo, «Uno spirito quasi divino, tutto lume in nere et acute note espresso»: G. R. a Venezia, in Recercare, XXVIII (2016); Id., La cappella musicale di S. Marco nel periodo tra G. R. e Giovanni Domenico Partenio (1644-1701), in Polifonie e cappelle musicali nell’età di Alessandro Scarlatti, a cura di G. Pitarresi, Reggio Calabria 2017.