TORLONIA, Giovanni Raimondo
TORLONIA, Giovanni Raimondo. – Nacque a Roma nel 1754, figlio del francese Marin Tourlonias (1725-1785) e di Maria Francesca Angela Lanci; dei numerosi altri figli della coppia si hanno notizie, perché sopravvissero, solo di Giuseppe (1759-1814) e delle sorelle Francesca (1761) e Teresa (1765-1832).
Il padre, discendente da una modesta famiglia dell’Auvergne (Francia), era arrivato a Roma a metà del Settecento al seguito dell’abate e diplomatico Charles-Alexandre de Montgon; era poi divenuto cameriere particolare del cardinale Acquaviva. Dagli anni Sessanta Marin (il cui nome era stato italianizzato in Marino Torlonia) aveva avviato un fiorente commercio di tessuti pregiati; negli anni successivi, forse grazie a un lascito ricevuto dal cardinale, vi aveva affiancato la concessione di prestiti, secondo il percorso di numerosi mercanti-banchieri dei secoli XVI-XVIII.
Nei primi anni Ottanta Giovanni riuscì a imprimere un deciso salto alla dimensione e all’organizzazione dell’attività creditizia familiare: cedette l’esercizio commerciale e fu ammesso al Corpo dei banchieri di Roma. Ottenne così il riconoscimento ufficiale della sua attività di banchiere, formalmente avviata nel 1784 con un capitale di 10.000 scudi. Sin dai primi tempi le operazioni ebbero un rapido sviluppo, e si intrecciarono a iniziative imprenditoriali, tanto che in soli due anni il capitale della ditta Marino Torlonia si quadruplicò. Giovanni mantenne quella ragione sociale per alcuni anni dopo la morte del padre, forse con l’obiettivo di rappresentare la marginale partecipazione del fratello minore Giuseppe, al quale vennero garantite delle cointeressenze sui profitti.
Nel 1786 Giovanni costituì, con Carlo Giorgi e Domenico Lavaggi, una società che ottenne dal governo pontificio l’appalto per lo sfruttamento delle cave di allume sui monti della Tolfa. La produzione era, in quegli anni, ancora altamente remunerativa: l’allume pontificio veniva considerato di ottima qualità ed era destinato prevalentemente all’esportazione verso manifatture tessili e conciarie. Si trattava, dunque, di un appalto lucroso, perché consentiva di esercitare in regime di monopolio l’estrazione e la vendita del minerale, beneficiando altresì di protezione doganale ed esenzioni fiscali. Nel contempo, quel tipo di appalto cosiddetto a corrisposta presupponeva una congrua liquidità iniziale e una cospicua assunzione di rischio d’impresa. Lo sfruttamento delle allumiere comportava un ciclo di lavorazione complesso, che richiedeva una notevole dotazione di capitale fisso e mobile, oltre a un alto numero di dipendenti (circa 400 nel periodo dell’appalto). Le caratteristiche di questa attività confermano la caratura imprenditoriale dell’iniziativa.
Nel settembre del 1793, ormai quasi quarantenne, Giovanni Torlonia sposò la vedova Anna Maria Chiaveri (1760-1840), nata Schultheiss, una famiglia di mercanti; i contemporanei la descrissero come donna di grandi capacità, che seppe accompagnare il marito nella sua ininterrotta ascesa sociale. La coppia ebbe cinque figli: Marino (1795-1865), Maria Teresa (1797-1842), Carlo (1798-1847), Alessandro (v. la voce in questo Dizionario) e Maria Luisa (1804-1883). Della famiglia entrarono a far parte anche i due figli del primo matrimonio della moglie, Agostino e Luigi Chiaveri, che dal 1817 Torlonia coinvolse nell’attività del suo Banco.
Nel 1794 si impegnò in un’impresa manifatturiera assumendo – in società con i banchieri Giovanni Giacomo Acquaroni e Stampa – la concessione per diciotto anni della grande fabbrica camerale che operava nella tinteggiatura e nella stampa delle calancà, tessuti in cotone utilizzati per l’arredamento e l’abbigliamento. La fabbrica, che si trovava a Roma, nelle Terme di Diocleziano, era in quegli anni oggetto di un programma di potenziamento da parte dell’amministrazione pontificia, che impose tariffe protezionistiche e un regime di monopolio a tutela delle tecniche impiegate. Malgrado le iniziali aspettative positive, negli anni successivi l’azienda dovette affrontare diversi problemi: in primo luogo risentì della guerre napoleoniche (1796-97); inoltre, non riuscì a mantenersi competitiva in termini di qualità dei tessuti, a fronte di costi di produzione elevati. Questi risultati negativi e i disaccordi tra i soci spinsero Torlonia a sciogliere la società.
In quegli anni portò avanti con successo la sua attività di banchiere, pur in una fase di progressivo peggioramento della situazione monetaria dello Stato pontificio, caratterizzata da un eccesso di circolazione cartacea e dal passivo della bilancia commerciale, che acuiva la fuoriuscita di moneta metallica e valute pregiate, nel contempo tesaurizzate all’interno. Egli acquisì così crescenti competenze dei meccanismi di funzionamento del mercato monetario e creditizio e dal 1793 fece parte del ristretto gruppo di operatori che interveniva al settimanale fixing dei cambi. Fu attivo, inoltre, per la folta comunità di stranieri presente a Roma, fra i quali personaggi di altissimo rango come il principe polacco Stanisław Poniatowski, il quale lo nominò console generale di Polonia a Roma, e il principe Fürstenberg, per il quale operò come agente rappresentante presso la S. Sede.
Nel 1797, con il trattato di Tolentino, siglato al termine della campagna d’Italia, i francesi imposero a papa Pio VI il pagamento di un’ingentissima contribuzione. Per farvi fronte il pontefice ottenne un prestito da Torlonia, affidandosi alla sua solidità e all’abbondantissima liquidità di cui disponeva grazie ai positivi risultati dell’esercizio bancario di poco più di un decennio; in seguito a quell’operazione il papa lo nominò banchiere di corte e provvisioniere dei sacri palazzi, una qualifica che ne consolidò il ruolo di primo banchiere della capitale.
Nello stesso anno Torlonia comperò la tenuta di Roma Vecchia, sulla via Appia, in seguito ampliata con altri acquisti, sino a divenire una delle principali proprietà del ricco patrimonio fondiario che andava costituendo. L’anno successivo gli venne conferito il titolo di marchese di Roma Vecchia, tappa di un processo di nobilitazione perseguito con determinazione, che avrebbe portato il banchiere e i suoi eredi ad assumere un ruolo di primo piano nella composita aristocrazia romana. In quel periodo si succedettero gli investimenti immobiliari, con acquisti di palazzi, tenute e ville suburbane, compresa quella sulla via Nomentana; acquistata dai Colonna, clienti del Banco, e destinata a pregevolissimi interventi architettonici e artistici, divenne una delle più note residenze romane.
Tra la Repubblica Romana del 1798-99 e il primo quindicennio dell’Ottocento vi fu una fase di profondi e contrastanti sommovimenti politici e di intensa movimentazione delle dinamiche economiche e sociali dello Stato pontificio e di Roma in particolare. In quel contesto vanno inquadrate le molteplici attività realizzate da Torlonia grazie alla sua capacità di intrattenere rapporti con regimi politici e gruppi sociali diversi. Appalti e forniture a enti pubblici, acquisti di beni nazionali, iniziative industriali, prestiti alla Curia e alle famiglie nobili, servizi bancari per le personalità di altissimo rango residenti a Roma durante i rivolgimenti provocati in Europa dall’espansionismo napoleonico: questa vasta trama operativa gli consentì di ampliare in misura distintiva il suo patrimonio e di consolidare il suo status.
Durante il biennio repubblicano seppe valorizzare informazioni e reputazione; fu quindi abilissimo nel giostrare fra i differenti orientamenti e i conflitti di competenze frequenti tra organismi repubblicani e francesi. Nell’ambito della precipitosa operazione di vendita dei beni nazionali – avviata nel 1798 con esiti insoddisfacenti rispetto ai contraddittori obiettivi che l’avevano ispirata –, Torlonia effettuò acquisti complessivamente limitati. L’ampliamento del suo patrimonio fondiario fu piuttosto realizzato in anni successivi a seguito della cessione di beni immobili da parte di molte famiglie aristocratiche, obbligate a vendere e a ricorrere a mutui e ipoteche perché colpite da imposizioni straordinarie e prestiti forzosi, dalla svalutazione e poi dalla parziale estinzione dei titoli del debito pubblico pontificio. In particolare, nel 1803 comprò dagli Odescalchi il feudo di Bracciano (con clausola di riscatto); poi acquistò il palazzo Cenci Bolognetti a piazza Venezia, destinato a ospitare le opere d’arte commissionate e acquistate da Torlonia, per il quale lavorarono artisti come Antonio Canova e Giuseppe Valadier. Nel contempo, i servizi finanziari offerti alle famiglie patrizie gli permisero di alimentare le proprie collezioni, ad esempio acquistando una piccola parte di quella dei Giustiniani.
Nel gennaio del 1809 Pio VII iscrisse Torlonia nel Gran libro della nobiltà romana riconoscendone esplicitamente posizione e titoli. La famiglia viveva ormai al centro della cosmopolita società romana di inizio Ottocento, secondo le pratiche sociali tipiche della nobiltà, e intrecciava una socialità fastosa a una manifesta pratica di virtù religiose e civili; in entrambe spiccava il ruolo della moglie Anna Maria, dedita a opere caritative e ispiratrice del marito nella protezione degli Ordini religiosi. Importanti furono pure le strategie matrimoniali: il primo figlio, Marino, sposò Anna Sforza Cesarini; Maria Teresa andò in sposa al conte Francesco Marescotti; Maria Luisa si unì al principe Domenico Orsini, duca di Gravina; solo molti anni dopo, nel 1840, il figlio Alessandro sposò la principessa Teresa Colonna.
Gli investimenti immobiliari proseguirono intensi: nel 1814 Giovanni Torlonia acquistò dai Pallavicino il principato di Civitella Cesi, nel 1820 il ducato di Poli e Guadagnolo dagli Sforza Cesarini, nel 1822 i possedimenti di Capodimonte, Marta e Bisenzio dai principi Poniatowski. Le partecipazioni di carattere industriale conobbero invece un ridimensionamento, forse anche a causa delle aspettative non positive generate dalle contraddittorie politiche economiche del governo.
I comportamenti di Torlonia in quella concitata stagione sono stati oggetto di valutazioni critiche da parte di alcuni studiosi, che hanno ripreso il giudizio di osservatori coevi (tra il quali il cardinale Ercole Consalvi), condizionati presumibilmente dai diffusi pregiudizi nei confronti dei banchieri, oltreché dalla diffidenza verso la sua prepotente irruzione nei ranghi della nobiltà romana. L’atteggiamento politico di Torlonia, peraltro, non fu dissimile da quello di larga parte della nobiltà romana, che nell’agitato periodo precedente la Restaurazione del 1815 mutò più volte i propri orientamenti rivelando oscillanti fedeltà. Le critiche mosse alla sua disinvoltura politica non possono in ogni caso nascondere le sue capacità imprenditoriali, né la solidità raggiunta dal suo Banco.
Dopo la seconda Restaurazione, egli vide definitivamente riconosciuto il proprio status sociale e rafforzò il suo ruolo finanziario sulla piazza di Roma. Venne più volte consultato dal governo su temi monetari e creditizi e si oppose recisamente alle ipotesi di liberalizzazione del settore e alle iniziative per costituire una società bancaria con il privilegio dell’emissione. Le sue chiusure erano dettate dal timore di subire la concorrenza da parte dei nuovi istituti e, dunque, di vedere erodere i propri margini di profitto; inoltre, rimaneva culturalmente legato a un modello di banca privata in forma individuale.
Nella seconda metà degli anni Venti, ormai anziano, Torlonia riconobbe le qualità e il tenace impegno del figlio terzogenito maschio, Alessandro, e lo designò come proprio erede titolare del Banco; stabilì per lui un fedecommesso, definito seconda primogenitura, disponendo una successione che sarebbe stata oggetto di durevoli controversie e rivalità.
Morì a Roma nel 1829.
Fonti e Bibl.: La documentazione principale è raccolta nell’Archivio Torlonia, conservato presso l’Archivio centrale dello Stato; altra documentazione originale importante è conservata presso l’Archivio di Stato di Roma e l’Archivio storico capitolino.
H. von Hülfen, Torlonia ‘Krösus von Rom’. Geschichte zweier Geldfürsten, München 1940; R. De Felice, La vendita dei beni nazionali nella Repubblica romana del 1798-1799, Roma 1960, ad ind.; J. Delumeau, L’alun de Rome XVe-XIXe siècle, Paris 1962, ad ind.; D. Felisini, «Quel capitalista per ricchezza principalissimo». Alessandro Torlonia principe, banchiere, imprenditore nell’Ottocento romano, Soveria Mannelli 2004, ad ind.; H. Ponchon, L’incroyable saga des Torlonia. Des Monts du Forez aux palais romains, Olliergues 2005, ad ind.; D. Felisini, Alessandro Torlonia. The pope’s banker, London 2016, ad indicem.