CHECCOZZI, Giovanni Raimondo
Nacque a Vicenza da Francesco e Maddalena Vivaldi il 21 giugno 1691. Dopo i primi studi nella città natale passò nella vicina Padova dove si perfezionò nelle lingue e letterature classiche, nella filosofia e nell'eloquenza e conseguì nel 1711 la laurea in utroque iure. Discepolo di Domenico Lazzarini, docente di lingue classiche, frequentò i circoli scientifici legati all'ateneo e vi conobbe medici illustri come Antonio Vallisnieri e Giambattista Morgagni, matematici come Hermann e Nicola Bernoulli e altri prestigiosi letterati e scienziati. Prima ancora della laurea tradusse dal greco in latino il Lavacro di Pallade (inedito nella Bibl. Bertoliana di Vicenza) di Callimaco con uno stile così raffinato che Vincenzo Monti e Ugo Foscolo giudicheranno la versione superiore a quella del Poliziano e pari allo stesso originale. Scrisse inni, epigrammi, egloghe, commedie e carmi in latino, solo in minima parte pubblicati dai fratelli Volpi (Io. Antoniii Volpii carminum libri III, Patavii 1725), ma dopo la decisione di votarsi al sacerdozio, presa il 29 luglio 1714, concentrò la sua attenzione sullo studio dell'ebraico, delle altre lingue orientali e della teologia.
Nel 1720 fu nominato canonico teologo della cattedrale di Vicenza, dove iniziò nell'ottobre la predicazione prendendo come tema le meditazioni sugli scritti di s. Paolo; per sette anni sottopose ad accurata indagine critica i primi undici capitoli dell'Epistola ai Romani, avvicinandosi progressivamente ai grandi temi del peccato originale, della fede, della predestinazione e della giustificazione. La fama della vasta dottrina superò rapidamente i confini di Vicenza tanto che a lui ricorrevano per consulti, pareri e dotti scambi di informazioni magistrati della Repubblica veneta, professori svizzeri e francesi, prelati italiani e stranieri; particolare successo, ma anche qualche preoccupazione nella gerarchia, ottenne la sua iniziativa di costituire accademie domestiche, foggiate sulle diatribe dei filosofi greci, per approfondire i temi teologici trattati nelle lezioni e omelie tenute nella cattedrale. Nel luglio del 1726 il C., che in precedenza aveva declinato l'invito della Repubblica ad assumere la carica di teologo consultore, resa prestigiosa dal passato magistero di Paolo Sarpi, accettò di coprire nell'università di Padova la cattedra di storia ecclesiastica, un insegnamento di recente istituzione e da poco lasciato vacante dal minore conventuale Alessandro Burgos. Iniziò le lezioni il 17 genn. 1727 e stampò poco dopo la sua prolusione sulla natura, utilità, metodi di studio della storia ecclesiastica (De historia ecclesiastica dissertatio, Venetiis 1727), ma non riuscì a ottenere nel mondo accademico ed ecclesiastico quel successo che sperava.
La dissertazione, ponderosa e densissima di erudizione filologica, mira a dimostrare, sulla linea del pensiero di s. Paolo e di s. Agostino e sulla base dello schema già proposto da Eusebio di Cesarea, la coincidenza tra storia universale e storia ecclesiastica. L'apparato critico è solido e ben documentato, ma la sintesi e la capacità di lucida esposizione radicalmente carenti; nuoce al C. la farragine contorta ed involuta delle citazioni, digressioni e figure, che mai riescono a comporsi in ordinata e pacata nitidezza di pensiero. Questi stessi difetti si possono cogliere nelle numerose opere rimaste inedite, nelle omelie pronunciate come canonico teologo, nei numerosi quesiti storici, ecclesiastici ed eruditi conservati alla Biblioteca Bertoliana di Vicenza e infine anche nelle poche opere prettamente teologiche che saranno la causa della sua caduta in disgrazia.
Mormorazioni e riserve sulla sua predicazione non erano mancate già nei primi anni e anche durante il non brillante magistero all'università di Padova, ma in un primo momento l'inconsistenza delle voci, alimentate da frati invidiosi, il prestigio della cattedra patavina e soprattutto la protezione del potente cardinale Querini erano valse a mettere tutto a tacere. Nel 1724 il C. scrisse una lunga lettera, tutt'ora inedita, a papa Benedetto XIII in cui auspicava con parole vibranti di zelo la riunione della Chiesa greca a Roma ed una radicale riforma della Chiesa in capite et in membris; ilmessaggio circolò manoscritto in vari ambienti ecclesiastici italiani, ottenne consensi soprattutto negli ambienti benedettini ma finì per mettere in cattiva luce l'autore negli ambienti più tradizionalistici della Curia romana. Nello stesso anno scrisse un Simbolo o professione di fede (pubblicato in G. Serry, Opere, V, Venezia 1770, pp. 383-398), costituito solo di termini tratti dalla Bibbia, dai Padri e dalle preghiere della Chiesa e destinato ad uso privato, ma finito misteriosamente nelle mani di Giacinto Serry, dottore della Sorbona e lettore di teologia a Padova, che lo accusò di essere "barbaro, sciocco ed eretico" e ne stese una violenta confutazione che attirò sul C. l'attenzione delle autorità laiche ed ecclesiastiche (Confutatio defensionis pseudo-Symboli,nec non censurarum,quibus confixum fuerat,redintegratio,confirmatio,explicatio, conservata manoscritta nella Bibl. Marciana di Venezia, ms. Lat., cl. XIV, cod. n. 139). Sin dal 9 dic. 1726 il podestà di Padova Antonio Loredan aveva vietato qualsiasi discussione o "conferenza" su Giansenio, Quesnel e la bolla Unigenitus; nella primavera del 1727 lo stesso rettore segnalò agli inquisitori di Stato che le discussioni si erano riaccese con asprezza, alimentate anche da "una carta poco savia che tratta degli argomenti della grazia di Dio con argomenti poco savi". La "carta poco savia" cui accennava era il Sistema della predestinazione e della grazia (rimasto inedito: Bibl. Bertoliana, ms. Gonz. 25.5.26), steso dall'allievo del C. R. Cecchetti sulla base delle conversazioni e delle lezioni tenute a Vicenza e a Padova dal Checcozzi. Riunioni di "persone letterate" per discutere argomenti teologici poi divulgati nelle "botteghe de' caffè e in altri luoghi" vennero segnalate agli inquisitori per tutto il 1728, insieme a progetti di traduzione delle opere di s. Agostino sulla grazia e a varie insinuazioni sulla presunta eterodossia del canonico teologo. Finalmente nel 1729 il C. fu formalmente deferito al S. Uffizio e temporaneamente sospeso dall'insegnamento sotto l'accusa di essere un "dogmatista nuovo". Il C. preparò subito un'apologia delle sue idee, si presentò il 24 genn. 1730 all'Inquisizione di Padova e si ritirò a San Tomio di Malo (Vicenza) e poi a Pergine in attesa degli sviluppi della situazione. Il 19 sett. 1730 venne arrestato e tradotto a Venezia, dove il processo si trascinò per quasi tre anni e si concluse con la condanna a tre anni di carcere e all'inabilitazione agli uffici di lettore ed espositore della Sacra Scrittura, direttore di anime, confessore e predicatore. Abiurò in privato e a porte chiuse una serie di proposizioni "false, temerarie, erronee, offensive di pie orecchie, ereticali, empie, rinnovatrici di eresie, predannate, giudaizzanti e fanatiche" riguardanti la Trinità, la redenzione, l'eucarestia, l'autorità dei Padri e la relazione tra mistero di Cristo e movimento dei cieli tratte dal Simbolo, dalla dissertazione sulla storia ecclesiastica e soprattutto dal Nuovo sistema della predestinazione e della grazia.
Secondo il Serry il C. era luterano perché affermava che la fiducia nella divina misericordia è la sola causa della salvezza, ma in realtà un attento esame delle sue posizioni teologiche ha consentito al Fiorot di concludere che "nulla v'è in lui di sostanzialmente protestantico, gli manca il senso di ribellione disciplinare e dottrinale, e non vi sono neppure motivi... che possono giustificare la sua adesione all'idea e alla pratica giansenista" (Fiorot, Nota..., p. 210). In effetti al C. si può solo imputare, come osserva giustamente il Vecchi, "uno stato di agostinismo attinto nel momento suo di incandescente fusione: grezzo e affascinante" (Vecchi, Correnti..., p. 275): la vaghezza e oscillazione delle sue posizioni dottrinali, affidate a scritti incerti e privi di compiuta rielaborazione critica e teologica, contribuirono in modo decisivo ad accreditare agli occhi dell'Inquisizione l'immagine di un filoluterano o per lo meno di un convinto giansenista. Del resto lo stesso Serry, suo implacabile nemico ed accusatore, appena qualche anno dopo il processo si ricredette totalmente, ammettendo di aver agito "perché ingannato, com'è proprio dell'uomo, da error d'intelletto e da falsi rapporti" e "di aver sinistramente giudicato ed operato contro la bontà singolare e la profonda scienza" del Checcozzi.
Nonostante questa ammissione del Serry, alla fine della detenzione, il 22 marzo 1736, il C. non ottenne né la riabilitazione né la reintegrazione nella cattedra padovana. Si dedicò quindi esclusivamente a studi eruditi, filologici, teologici: collaborò con Gaetano Volpi: nell'attribuzione di alcuni carmi inediti di Girolamo Fracastoro (Fracastorii Carminum editio secunda, II, Lettera di un soggetto eruditissimo a Gaetano Volpi, Patavii 1741), redasse una dotta prefazione all'edizione delle opere latine del poeta francese Marco Antonio Mureto (M. A. Mureti Opera, I, Patavii 1741), ad istanza di amici scrisse per l'Accademia Etrusca una Dissertazione sull'antica idolatria de' boschi (I-IV, Roma 1741-1743), illustrò alcune gemme del Museo Olivieri di Roma (I. F. Gori, Symbulae litterariae, VII, Romae 1754, p. 1171), pubblicò nel tomo XLVIII della Raccolta di opuscoli scientifici e filologici (Venezia 1754) del Calogerà la Lettera di un ecclesiastico in cui si cerca se la Beata Vergine Maria possa aver ricevuto i Sacramenti del battesimo e dell'eucarestia.
Inediti o incompiuti rimangono preghiere, discorsi, poesie e vari altri scritti di teologia, filologia, erudizione sacra e profana, tra cui un'ampia Apologia di s. Bernardo di Chiaravalle cui lavorò per quasi dieci anni nella tranquilla solitudine della campagna vicentina (sono conservati nella Biblioteca Bertoliana di Vicenza, dove è anche il suo epistolario).
Il C. morì a Vicenza il 13 febbr. 1756.
Fonti e Bibl.: Vicenza, Bibl. Bertoliana, ms. 26.6.4-5: A. Tornieri, Mem. e notizie del can. G. R. C.; ms. 3387-3404: G. da Schio, Memorabili, III; ms. E. 25-28: Epistolario del C.; ms. 26.6.31: A. Checcozzi, Vita di G. R. C.; ms. 26.6.4-5: Notizie appartenenti alla vita del canonico C.; Brescia, Bibl. Querin., ms. F. II, 9: P. Gagliardi, Notizie intorno alla vita del canonico G. C., ff. 34-36; Archivio di Stato di Venezia, Inquisitori di Stato,Lettere di rettori, bb. 62, 120, 304, 377; Nouvelles ecclésiastiques (Paris), 6 marzo 1757; F. A. Zaccaria, recens. in Annali letter. d'Italia, I (1762), pt. 1, p. 11; pt. 2, p. 221; I. Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini, Patavii 1767, pp. 244, 272; G. A. Moschini, Della letteratura venez. del sec. XVIII fino a' nostri giorni, I, Venezia 1806, pp. 206, 245; P. A. Meneghelli, Elogio di G. C., Venezia 1814; G. Dandolo, La caduta della Repubblica di Venezia e i suoi ultimi cinquant'anni. Studi storici. Appendice, Venezia 1857, p. 90; B. Morsolin, Elogio di G. C., Vicenza, 1874; Id., G. C. letterato,filosofo e teologo del sec. XVIII. Monografia, Vicenza 1874; S. Rumor, Gli scrittori vicentini dei secc. decimottavo e decimonono, Venezia 1905, I, pp. 403 ss.; D. Fiorot, Nota sul giansenismo veneto nei primi decenni del sec. XVIII, in Nuova Riv. stor., XXXV (1951), pp. 199-226; A. Vecchi, Correnti relig. nel Sei-Settecento veneto, Venezia-Roma 1962, pp. 236, 252-55, 257 ss., 265, 272-77, 284 s., 291, 413; G. Mantese, Memorie stor. della Chiesa vicentina, IV, 1, Vicenza 1974, pp. 1131, 1315.