DANA, Giovanni Pietro Maria
Nacque a Barge (prov. di Cuneo) il 1° giugno 1736. Mostrò presto vivace vocazione naturalistica, preferendo allo studio delle opere di lettere e di scienze l'osservazione diretta della vita animale e vegetale. Iscritto all'università di Torino, compiva regolari studi in campo mediconaturalistico, seguendo con particolare interesse i corsi di V. Donati e di C. Allioni. La feconda vitalità dell'insegnamento di quest'ultimo lo portò presto ad approfondire gli studi di flora regionale ed a passare alla collaborazione con il suo prestigioso maestro, recando immediati contributi alle sue difficili, lunghe e pazienti ricerche con un lavoro scientifico pieno di passione per la botanica descrittiva, condotto mediante un'abbondante raccolta di campioni vegetali e un'accurata illustrazione degli stessi.
Trentenne, aveva già compiuto escursioni interessanti nei vari luoghi della provincia subalpina in cui era nato, svolto indagini minuziose intorno a Pinerolo e a Monferrato, percorsa tutta la provincia astigiana ed i colli torinesi e si accingeva ad intraprendere un complesso itinerario attraverso i monti liguri. Aveva già pubblicato saggi e memorie che gli erano valsi all'università di Torino l'incarico di primo professore associato (1770) e che, al ritiro dell'Allioni (1781), lo avrebbero portato a quella cattedra di botanica che avrebbe occupato per vent'anni. A Torino nel 1764 erano usciti i saggi De generatione plantarum, De scilla officinarum, De calculo renum, De renibus, De lotii secretione et natura, De calculi renalis prognosi et curatione. Nel 1766 cominciò a collaborare ai Mélanges de philosophie et de mathématique de la Société Royale de Turin e nel tomo III, uscito nello stesso anno, apparvero le due memorie De hirudini nova specie, noxa remediisque adhibendis (pp. 199-205) e De quibusdam urticae marinae vulgo dictae differentiis (pp. 206-220).
I due lavori prendevano spunto da studi compiuti su questioni attinenti alla pratica medica nella regione subalpina, ed in particolare davano descrizione del quadro patologico derivante dall'ingestione di una specie della classe degli irudinei vivente nelle acque stagnanti e dal contatto con alcune specie di animaletti marini dotati di capsule urticanti ed appartenenti al tipo dei celenterati, cui dava il nome di armenistari. Risaltava chiaramente l'interesse per quanto offriva la cultura locale, e d'obbligo divenivano, accanto ai nomi scientifici delle specie, le indicazioni dei sinonimi dialettali. Così la citazione dei nomi usati dagli alpigiani, Sioure o Soûre, per denominare la specie descritta nel primo saggio, diveniva parte integrante nel racconto delle sofferenze di uomini ed animali che, avendo ingerito gli animaletti con l'acqua, andavano incontro a dolori atroci, e, se privi di un aiuto immediato, a morte certa.
Gli studi botanici del D. seguivano anche l'itinerario indicato dall'Allioni per indagini particolari e per esperimenti diretti ad evidenziare le virtù medicinali delle erbe pedemontane. La ricca esperienza terapeutica di medico lo portava a corroborare con esempi pratici le sue avvertenze ed i suoi consigli. È degli anni Settanta ed Ottanta la nomina a membro ordinario di famose accademie e società, quali la Reale Accademia delle scienze di Torino, la Società agraria di Torino, la Società fisico-botanica di Firenze, la Società linneana di Londra, la Società fisica e di storia naturale di Losanna e la Società reale di Montpellier.
Nel 1770 usciva nel tomo IV dei Mélanges de philosophie et de mathématique de la Société Royale de Turin la Descriptio et usus agarici, seu boleti pellicei (pp. 161167) e nel 1774, nel tomo V degli stessi Mélanges, De solano melanoceraso horti regii Taurinensis (pp. 162-171).
Il primo saggio riguardava l'uso terapeutico della polvere ottenuta da un fungo essiccato, probabilmente uno xylostroma appartenente alla famiglia delle Xylariaceae, usata come emostatico nelle emorragie da ferite o di altra origine, utile nella cura delle emorroidi e dei dolori reumatici e, unita con la polvere dei fiori di acacia e di mimosa, ottimo analgesico ed antipiretico.
La descrizione del Solano melanoceraso, pianta importata dalla Guinea, oltre che interessare la botanica descrittiva, per l'accurata indagine morfologica, svolgeva temi riguardanti l'uso del frutto in tintoria ed in farmacia. Il D. sottolineava il suo interesse terapetitico come narcotico e detergente nell'uso esterno e la sua importanza nella tecnica tintoria per l'estrazione di sostanze coloranti, chiamate comunemente color d'Isabella chiaro, lilla violante, gris de prince, color di frejdolina chiaro.
Continuava, intanto, studi medici di anatomia patologica, dei quali dava notizia nei saggi del 1788 Foetus octimestris in quo maxilla inferior immobilis, uvula exserta, lingulata, osque necessario apertum cum lingua bifida inclusa inveniebatur e Descriptio joetus absque pene et vulva, ultra biennium viventis, obscurique ideo sexus habiti, apparsi entrambi nel tomo VIII dei Mélanges de philosophie et de mathématique de la Société Royale de Turin (pp. 303-308 e 309-316).
Sempre nel 1788 aveva pubblicato nel tomo II (pp. 105-143) delle Memorie della Società agraria di Torino lo studio Mezzo facile, e di poca spesa, per rimediare in parto al forte guasto che la gragnuola produce sopra le teneri crescenti piante di canape, argomento al tempo di duplice interesse, essendo l'economia dello Stato prevalentemente agricola e la nascente industria esclusivamente tessile.
Centro d'interesse di questi anni la pratica idroterapica e crenoterapica, pubblicava a Torino nel 1787 De aquis ad fanum S. Genesii e nel 1789 De aquis martialibus Biblianensis. Frattanto, compiva con Giovanni Antonio Penchienati un'analisi della Dissertation sur la manière d'administrer les bains de vapeurs et les fumigations di F. A. Doppet e ne pubblicava i risultati. Diveniva, intanto, stretto collaboratore del periodico, in cui pubblicava interessanti esperienze (si vedano, in particolare, quelle apparse nel vol. II [1791], pp. 238 ss.).
Dal 1784 occupò con onore le funzioni di consigliere e di presidente dell'amministrazione del protomedicato di Torino. Nel 1791 l'Accademia delle scienze di Torino, di cui era socio, bandì un concorso per ricavare una sostanza tintoria blu dal guado e sostituire quindi l'indaco. Dopo una serie di esperienze compiute in un laboratorio chimico da lui istituito (il "Regio laboratorio di tintura" lodato da G. F. Galeani Napione), il D. propose l'utilizzo dell'Isatis Sylvestris vel Angustifolia, che cresce in Piemonte e in Valle d'Aosta. Già l'anno precedente il ministro Graneri lo aveva consultato sulla possibilità di coltivare il Carthamus tinctorius (zafferano bastardo) invece di importarlo dal Levante. Studiando a fondo e riproducendo i metodi usati in Egitto per la tintura con lo zafferano, egli affermò la scarsa validità di una simile sostituzione, che forniva colori meno vivaci.
Negli ultimi anni della sua vita fu colpito da una lenta malattia cerebrale per cui divenne quasi inabile all'esercizio della medicina ed all'insegnamento. Morì a Torino il 21 giugno 1801.
Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Sez. riunite, III, Acta Univers. Taurin., III,pp. 107, 119, 133, 145, 159, 171, 182, 196, 206, 216, 228, 238, 250, 262, 290, 302, 3 14, 326; G. P. M. D., in Mém. de l'Acad. Impér. des sciences, littér. et beaux arts de Turin pour les années XII e XIII, in Atti dell'Accad. delle scienze di Torino, s. 1,XIV (1805), p. IX; A. Bonino, Biografia medica piemontese, II, Torino 1825, pp. 450-53; S. De Renzi, Storia della medicina in Italia, V, Napoli 1848, pp. 151, 282, 322, 353, 665, 679, 759; Dictionnaire encyclopédique des sciences médicales, a cura di A. Dechambre, s. 1, Paris 1880, XXV, pp. 383 s.; G. D. Del Ponte, Guida allo studio delle Piante dell'orto, Torino 1880, pp. XII, XXXV; P. A. Saccardo, La botanica in Italia, I, Venezia 1895, p. 60; II, ibid. 1901, p. 38; O. Mattirolo, Cronistoria dell'Orto botanico della R. Università di Torino, Torino 1929, pp. XLIXLI; A. Hirsch, Biogr. Lex…, II, p. 176.