BESOZZI, Giovanni Pietro
Nacque a Milano nel 1503 da Orazio. Dopo un regolare corso di studi giuridici, fu cooptato nel Collegio dei notai milanesi; all'età di ventinove anni sposò Vienna Dati, di Cremona, dalla quale ebbe un figlio a cui venne dato il nome dell'avo paterno.Nel 1537 entrò in contatto con i chierici regolari di S. Paolo, attraverso G. A. Morigia. I suoi rapporti con essi andarono facendosi sempre più stretti: il 12 apr. 1539, come notaio ordinario dei padri, stese l'atto con cui la contessa di Guastalla donava loro una sua casa milanese. Il progressivo intensificarsi di questi rapporti fa sì che la decisione da lui presa nel 1541 di entrare a far parte dei chierici regolari (col consenso della moglie, che chiese di essere accettata fra le angeliche) appaia come lo sbocco non tanto di una improvviisa crisi religiosa, quanto di un lento e naturale processo di maturazione di certi problemi. Il B. ricevette l'abito della Congregazione il 29 giugno 1542. Il 29 marzo 1543 celebrò la sua prima messa nell'oratorio di S. Paolo Decollato; in seguito venne incaricato di visitare le missioni e questo compito lo portò, all'inizio del 1544, a Vicenza, poi a Padova: qui conobbe l'angelica Paola Antonia Negri. che già allora godeva di grande prestigio e autorità all'interno della Congregazione e che si stava occupando della riforma dei monasteri padovani per incarico del cardinal Pisani.
Nel capitolo generale che si tenne in seguito alla morte del Morigia il B. fu fatto proposto (28 apr. 1546); il 2 Maggio avvenne la cerimonia solenne dell'entrata in possesso della carica, "non senza - ricordano gli atti capitolari - la corporal presentia della nostra Divina Guida et Matre", cioè della Negri, verso la quale l'intera Congregazione aveva un atteggiamento di grande venerazione. Il B., dopo aver dato disposizioni per accelerare la costruzione della nuova sede di S. Barnaba nella quale i padri dovevano trasferirsi nel giugno 1547, nel novembre '46 si recò a Verona con la Negri per visitare il gruppo che vi si trovava in missioneritornatone ai primi di marzo '47, dopo pochi giorni vi intraprese un nuovo viaggio, nel corso del quale si preoccupò di ristabilire una più rigorosa osservanza della regola. Fece ritorno il 25 giugno. Nell'ottobre dello stesso anno inviò in missione a Ferrara un gruppo di barnabiti e di angeliche, ottemperando a una richiesta del duca Ercole II. L'attività del B. in questi anni fu assai intensa: a lui competeva anche, in quanto visitatore apostolico, la vigilanza sulle angeliche, che in tutto questo primo periodo della storia della Congregazione sono assai legate ai barnabiti; in questa veste si recò, tra la fine del '48 e l'inizio del '49, a Cremona, per stabilire le modalità per l'erezione di un nuovo monastero. Tra il 1547 e il 1548 il B. affrontò questioni relative alla organizzazione della Congregazione.
Con l'inizio del 1551 si aprì per tutta la Congregazione una gravissima crisi: il 21 febbraio il doge Francesco Donà intimava l'espulsione dei barnabiti e delle angeliche dal territorio della Repubblica.
Le ragioni del provvedimento (che colpiva in primo luogo la Negri, presente a Venezia dal 1548) non sono ben chiare. Il B., in una informazione, inviata a Carlo Borromeo il 19 ottobre 1579, riporta, tra le accuse, quella che dava un significato di spionaggio politico, a favore del governatore di Milano, alla "prattica… di far dire i pensieri", pratica devota che veniva effettuata nell'ambiente dei barnabiti. Ma altre accuse e dicerie correvano da tempo su certe straordinarie prove di continenza praticate, secondo gli accusatori, nei rapporti tra le angeliche e i barnabiti; già nel 1536 Paolo III aveva incaricato prima il vescovo di Modena, poi l'inquisitore di Milano, di svolgere un'indagine nei confronti della Congregazione, accusata di essersi costituita in setta attorno al padre Battista da Crema e dì essersi macchiata delle eresie "Beghinarum et Pauperum de Lugduno". L'Aretino, il Nelli, Ortensio Lando, il Castelvetro avevano riecheggiato accuse di questo tipo; più tardi, lo stesso B. nella sua Apologia doveva muovere gravi accuse di immoralità contro la Negri. Era chiaro comunque che al centro delle accuse mosse alla Congregazione si trovava la figura della Negri: i chiarimenti forniti dal Consiglio dei Dieci al numio Lodovico Beccadelli insistevano sulla "troppa autorità" che le veniva riconosciuta sopra tutti i religiosi e le religiose, oltre che sul fatto che a lei "gli huomini et le donne che intervenivano in queste congregatione et li sacerdoti deferivano assai più di quello che ne pareva conveniente" (Premoli, p. 100). Il B., come proposto, dovette rendersi conto che s'imponevano precisi provvedimenti contro la Negri nell'interesse dei barnabiti, ma il capitolo generale tenutosi nell'aprile 1551 non lo riconfermò nella carica: il 9 aprile il B. fu sostituito coi padre Marta. Gli atti capitolari danno giustificazioni generiche di questa decisione: ma in una lettera del 1576 a Gian Paolo Folperto, riprendendo accenni più vaghi fatti nell'Apologia, il B. accusò la Negri di averlo, in quella occasione, fatto "al dispetto delle più parti delle voci… cassare dell'offitio di Preposito" (Arch. di S. Carlo a' Catinari, L. b., II, p. 53). Del resto l'attrito fra il B. e la Negri doveva risalire a qualche anno prima se è vero quanto il B. stesso racconta a proposito di alcuni rimproveri che egli le aveva fatto e che erano stati accolti con grande irritazione.
Nell'autunno del 1551 il B. e il padre Melso furono inviati a Roma con l'incarico di assumere la difesa della Congregazione. Le difficoltà all'inizio non sembravano moltò gravi, ma all'improvviso le cose si misero male: nei primi giorni del gennaio 1552 il B. e il Melso vennero gettati nelle carceri dell'Inquisizione, donde uscirono il B. il 27 febbraio (per esser custodito nella casa di Ignazio di Loyola) e il suo compagno l'11 marzo. Il processo, di cui non sono noti gli atti, sembra avere investito le questioni relative alla Negri e al suo predominio sulla Congregazione, ai rapporti troppo stretti fra angeliche e barnabiti, e infine alla dottrina di fra' Battista da Crema.
Nella Apologia del B. troviamo esplicita testimonianza che in quella occasione almeno su di un punto egli contribuì ad aggravare la posizione della Negri. Infatti, essendo stata sollevata la questione delle numerose lettere "spirituali" scritte dalla religiosa ai suoi devoti dentro e fuori la Congregazione, il B. testimoniò che tali lettere erano state in realtà opera sua e che solo per esercizio di umiltà (e per dare loro maggior vigore) aveva acconsentito a che la Negri le facesse passare per proprie; in una lettera del 19 sett. 1576 precisò poi la durata di questa collaborazione: "… ella mi indusse a scrivere per lei litere spirituali a diverse persone et questo per alcuni anni così nell'habito secolare come dopo che mi feci religioso" (copia senza indic. del destinatario, in Arch. di S. Carlo a' Catinari).
Nell'agosto il B. lasciava Roma per Milano insieme col Melso, dopo aver avuto udienza da Giulio III e avere ottenuto una lettera di raccomandazione di Ignazio di Loyola per il vescovo di Calahorra, che era stato nominato visitatore apostolico. Essendosi conclusa la visita apostolica, che fu poi svolta da monsignor Ludovico Marini tra l'ottobre e il novembre 1552, con provvedimenti che colpivano direttamente la Negri, oltre che la dottrina di fra' Battista da Crema ("di cui ella è creatura", come scriverà poi il B. nella citata lettera al Folperto), egli dovette adoperarsi attivamente per conservare la Congregazione, minacciata da defezioni di partigiani della Negri; non mancò neppure chi, come Giacomo Foscarini, gli scrisse per chiedere che si dichiarasse sciolta la corminità per protesta. Il B. dovette fronteggiare anche il diffondersi di accuse e dicerie contro i barnabiti al livello del clero e in particolare dei predicatori. I frutti di questa attività, che si collegava alla lenta ma progressiva ripresa della Congregazione, furono da lui raccolti nel capitolo generale del 1554 in cui, il 7 aprile, fu eletto di nuovo proposto.
Le direttive da lui impartite in questi anni mostrano come, dopo la condanna, attraverso la figura della Negri e le opere di Battista da Crema, di tutto un certo tipo di devozione, qualificata come semipelagiana, con caratteri accentuatamente mistico-visionari e con una certa indifferenza nei confronti del comportamento e delle pratiche esteriori, il B. mirasse a una ristrutturazione più rigida della vita e degli scopi della Congregazione, in accordo col nuovo clima religioso che non tollerava più certe forme di religiosità "illuminata": i laici, fino ad allora presenti nella comunità in abito secolare, senza particolari compiti e attribuzioni e senza una precisa definizione del loro ruolo, furono oggetto di una precisa regolamentazione nel capitolo del 23 nov. 1554, con la quale ottennero la qualifica di "conversi" e specifiche regole di vita. L'attività dei barnabiti fu indirizzata non più verso i monasteri ma verso il laicato; il B. provvide inoltre alla preparazione teologica e canonistica dei religiosi a lui soggetti e propose (capitolo dell'8 genn. 1556) di affidarla ad un domenicano.
Ma la questione della Negri ebbe ancora numerosi strascichi; essendo la religiosa, nel dicembre del 1554, uscita dal monastero di S. Chiara dove era stata custodita fino ad allora, il B., il quale "dopo che si partì da lei deiranno 1551… non la vidde mai più sino che è vivuta" (Apologia, p. 18), convocò il capitolo generale e impose che nessuno la visitasse o le scrivesse o avesse qualsiasi tipo di rapporto con lei. Morta la Negri il 4 aprile 1555, il B. dovette preoccuparsi di arginare gli attacchi dei suoi fautori, che avevano abbandonato la Congregazione, e a questo scopo nell'agosto inviò il padre Marta a Roma, con una lettera di raccomandazione per Ignazio di Loyola. La missione ebbe pieno successo, grazie anche all'appoggio di fra' Michele Ghislieri, il quale il 27 giugno dell'anno seguente comunicava ai barnabiti che dei loro due più decisi avversari l'uno (G. Francesco Raimondi) era in carcere e l'altro, Marco Pagano, scomunicato. Negli anni seguenti il B., che non era stato rieletto proposto nel capitolo dei 1556, si occupò in maniera particolare della istituzione a Pavia di un collegio dove raccogliere e far studiare i futuri barnabiti; inviato in quella città nel 1557 col titolo di vicario, vi svolse una notevole attività, d'accordo col vescovo, di cui fu coadiutore nelle visite pastorali, e insieme con Alessandro Sauli, col quale operò soprattutto nell'ambiente universitario.
Anche a Pavia il B. aveva potuto rendersi conto di quali dicerie infamanti fossero ancora oggetto i barnabiti: tutto questo, e il suo ormai completo distacco dai temi devozionali propri di fra' Battista da Crema e rappresentati dall'esempio della Negri - nonché il timore che potessero risorgere -, fecero sì che considerasse con scarso entusiasmo l'ipotesi che nell'Indice tridentino si eliminasse la condanna delle opere del domenicano.
In effetti la condanna fu ribadita, anche se in forma attenuata; ma le speranze nel concilio dei fedeli della Negri non erano state completamente deluse. Una raccolta delle lettere a lei attribuite era stata presentata alla commissione conciliare per la formazione dell'Indice e, con l'approvazione del padre Laínez datata 30 giugno '63,uscì a stampa a Milano l'anno seguente. Nei confronti dei due principali responsabili di questa edizione (che non era stato possibile evitare, nonostante l'appoggio del Ghislieri), cioè Girolamo Rainoldi e Gian Paolo Folperto, il B. racconta nella sua Apologia di aver svolto opera di persuasione perché accettassero di presentare le Lettere spirituali non come opera della Negri, ma come "fatte con l'aiutto de' suoi figliuoli" (p. 17).Non essendo stato accettato questo suo consiglio, più tardi scrisse loro una lunga lettera in cui, senza attaccare le Lettore spirituali per il loro contenuto (che era stato ormai approvato), insisteva sulla falsità della loro attribuzione alla Negri, e ricordava: "… In Roma, nel Tribunale della Santana Inquisizione, et quasi in ogni pretorio era fatto manifesto al tempo de' nostri travagli, che queste lettore non erano dettate per la Paol'Antonia de' Negri, ma per me scritte, et dettate, ben che in suo nome" (lettera datata Pavia, 25 apr. 1564,in Arch. di S. Carlo a' Catinari). Di fronte al pericolo di una postuma riabilitazione della Negri, le insistenze dei barnabiti e del B. in particolare ottennero che si aprisse un processo inquisitoriale a Milano, che si concluse con la proibizione delle Lettore spirituali. La questione si riaprì nel 1576,con la nuova edizione delle lettere, uscita a Roma per volontà del Folperto, aggiuntavi una Vita della Negri scritta in chiave nettamente agiografica. Fu in questa occasione che il B. decise di affirontare l'argomento in maniera radicale; in una lettera al Folperto demolì l'idea della santità della Negri rievocando aspetti e atteggiamenti della defunta religiosa che male si adattavano, secondo lui, con tale idea: "Che santità è questa dominare a preti, a monache, a secolari, non havere rispetto alla dignità sacerdotale, farseli stare inanzi in genocchii, dargli et torgli la Messa… risentirsi, corrocciarsi,… battere quelle monache come se fossero state sue serve?… Parvi bella cosa et da santa affettionarsi gli huomini et le donne non solo con le orationi… ma… con le sensualità?" (Arch. di S. Carlo a' Catinari, L. b. II, p. 46).Questa "santità fabricata di nuovo da fra' Battista da Crema" (ibid., p.50) viene attaccata dal B. nel suo principio fondamentale, che egli pone in bocca alla stessa Negri: "La intentione è quella che giustifica" (ibid.,p. 47);egli deve però anche ammettere la parte avuta nella venerazione da cui era stata circondata questa donna: "Confesso d'haverle havuto una gran fede et di havere veduto delle cose assai che parevano maravigliose, non havendo io intelligenza de ratti et simili cose. Ma perché si dice exitus acta probat, scorgo quello che non scorgeva, et però parlo ad altro modo che non parlava" (ibid.,p. 54).La discriminante è costituita dalla condanna della Chiesa, dopo la quale è chiaro per il B. che certe forme di religiosità vanno rifiutate e combattute; e poiché egli stesso le aveva per un certo periodo accettate, viene naturale ora il progetto di scrivere un libro "perché sia per avvertimento ad altri, che non incorrino nella trascuraggine, che come io et altri siamo incorsi, facendo fondamenti sopra estasi, profetie, et revelationi di donne…" (Apologia, p. 27);fu così che venne redatta la sua Apologia… contro la vita della Negri scritta dal Fontana ad insinuazione del Folperto, rimasta inedita e conservata nel manoscritto autografo nell'archivio romano di S. Carlo a' Catinari. In essa il B., dopo aver tacciato di falsità le affermazioni relative ai rapporti,della Negri con figure corne G. Contarini, G. M. Giberti, A. Fumano, fa un ritratto della religiosa esattamente antitetico a quello dei Fontana, negandole ogni virtù di umiltà e insistendo sulla non aderenza della sua vita alla regola della Congregazione, specialmente per quanto concerne la castità; vengono descritti i sistemi di cui ella si serviva per farsi dei devoti e per mantenere poi il suo dominio su "quelli che l'amavano di amore sensuale spirituale", ai quali "procurava le tentationi, et il levarle erano le carezzine ch'ella facea" (ibid.,p. 15).Le sue estasi mistiche erano, secondo il B., di ispirazione diabolica: e inoltre "in altri delirii di febre nel monastero biastemmava, diceva delle porcarie et dell'ingiurie alle monache, et minacciavale" (ibid., p. 10).
Lo scritto del B. rimase però manoscritto, probabilmente, per evitare di alimentare le calunnie contro la Congregazione; esse erano ancora vive al punto da venir riesumate ai danni dei barnabiti nel 1575 di fronte a Gregorio XIII. Anche la questione della edizione romana delle Lettere spirituali non ebbe una definitiva soluzione; fra il 1576 e il 1579 il B. inviò numerose lettere e suppliche a diversi personaggi, fra cui i cardinali Borromeo e Serbelloni (quest'ultirno in quanto protettore della Congregazione), per ottenere che il libro fosse proibito e i sostenitori della Negri messi a tacere, ma non vi riuscì.
La presenza dei B. nella Congregazione in questi anni è ancora attiva e importante, anche se al governo dei barnabiti cominciano ad avvicendarsi figure delle generazioni più giovani. Dopo il soggiorno a Pavia (durante il quale compose i Discorsi intorno alla vita della Beata Maria Maddalena,stampati a Milano nel 1575) fu eletto preside del capitolo generale apertosi il 26 apr. 1566, e il 4 maggio successivo fu nominato proposto, titolo che mantenne fino al capitolo dell'anno seguente, in cui fu eletto A. Sauli. La comunità attraversava un periodo di espansione, e il B. operò attivamente in questo senso: nel 1565 si era occupato della richiesta fatta dal padre Francesco da Tortona, al quale era molto legato, di unione dei barnabiti con i suoi "preti riformati", ma il progetto non venne realizzato. Nel 1570 fu incaricato della direzione del collegio di S. Giacomo di Cremona e vi si recò, abbandonando l'ufficio di confessore delle angeliche in obbedienza alla deliberazione del capitolo di quell'anno in cui si stabiliva di abbandonare la cura dei monasteri femminili. Nel 1571 fu inviato a Casale per aprire una nuova sede. L'anno successivo fu di nuovo eletto proposto e si preoccupò subito di avviare il progetto di una nuova sede a Roma, notificando questasua intenzione ai vari cardinali con i quali aveva stretto rapporti personali; istituì inoltre un nuovo collegio a Milano, oltre a quello di Pavia, stabilendo tutta una serie di insegnamenti in S. Barnaba e stendendo una prima ratio studiorum (riveduta nel 1579).
Notevole è in questi anni anchela sua attività di scrittore; si tratta per lo più di manuali di pietà per le religiose, come gli Avvertimenti per le monache,stampati a Milano nel 1578,e la Prattica spirituale d'una serva di Dio (il cui manoscritto fu da lui consegnato nel 1575 al vescovo di Cremona che lo fece stampare anonimo),oppuredi meditazioni devote per "diversi generi di persone", come dice il titolo delle sue Lettere spirituali,uscite a stampa nel 1578: quest'ultima opera riprende il titolo del volume intorno al quale si erano accese le polemiche coi partigiani della Negri.
Nel 1576, in occasione della epidemia di peste a Milano, il B., non più proposto da due anni, si offerse al Borromeo per l'assistenza agli infermi, ma la sua richiesta non fu accettata, e dovette trasferirsi insieme con gli altri nella villa di Zuccone. Nel capitolo generale dell'aprile 1578 gli fu di nuovo affidato il governo della Congregazione per procedere alla stesura delle nuove costituzioni. Il B. si rivolse al Borromeo, il quale cooperò assai attivamente a condurre in porto le nuove costituzioni; queste vennero lette nella forma definitiva nel capitolo del 25 maggio 1579, al termine del quale il B. pronunciò un discorso di ringraziamento al cardinale. L'elezione del padre Tornielli a generale lo sollevò dagli obblighi della direzione della congregazione, ormai superiori alle sue forze.
Morì nel giugno 1584, assistito da Carlo Borromeo.
Fonti e Bibl.: L'Apologia nell'autografo e in diverse copie, e una scelta di lettere del B. relative alla questione delle Lettere spirituali,sono conservate nell'Archivio di S. Carlo a' Catinari a Roma, con la segnatura L. b. II; un'altra raccolta di lettere relative alla direzione della Congregazione, Ibid.,.L. b2. 6. Inoltre una trentina di sue lettere si trovano nell'Arch. di S. Barnaba a Milano. Per i suoi scritti a stampa, rimandiamo all'esauriente catalogo fornito da G. Boffito, Scrittori barnabiti…,I, Firenze 1933, pp. 202-206; S. Guazzo, Lettere,Venezia 1596, pp. 53 s.; P. Bayle, Dictionnaire historique et critique,II, 2, Rotterdam 1697, p. 1201; I. Gobio, Vita del venerabile Padre Gianpietro Besozzi della Congregazione de' Chierici Regolari Barnabiti,Milano 1861; O. Premoli, Storia dei Barnabiti nel Cinquecento,Roma 1913, passim; C.Bascapé, IBarnabiti e la Controriforma in Lombardia,Milano 1931, pp. 45 s., 87, 93.