TAVIGLIANO, Giovanni Pietro Baroni (conte di.)
Nacque quasi sicuramente a Torino (o Pinerolo) nel 1701 (Tamburini, 1983, p. 36), figlio di Giovanni Battista Agliaudi e di Francesca Baroni, con il nome di Ignazio Giuseppe Antonio Agliaudi; il 10 agosto 1737 avrebbe assunto il nome completo dello zio materno dopo averne ereditato i beni e il titolo comitale, rispettando così la volontà del defunto, già espressa fin dal 1724 (Mola di Nomaglio, 2015, pp. 144-146).
La sua figura è avvolta in un certo alone di mistero per la quasi totale assenza di informazioni utili a delinearne compiutamente la personalità. Noto e citato soprattutto come allievo e collaboratore di Filippo Juvarra, ebbe una formazione estranea al percorso accademico ufficiale; favorito in ciò dalla sua posizione sociale, fu piuttosto un raffinato 'dilettante', che presumibilmente poté giovarsi molto presto della frequentazione del maestro messinese.
Fu, come il padre, estimatore d’arte, con una collezione di circa seicento quadri distribuita tra la residenza torinese e la 'vigna' di Mongreno, oltre a una cospicua biblioteca che, venduta alla sua morte alla Regia Università, andò poi quasi integralmente dispersa. In tempi più recenti, cinque album di suoi disegni furono distrutti nell’incendio della Biblioteca nazionale universitaria di Torino nel 1942; la stessa sorte toccò a due ulteriori album riferiti a Juvarra ma contenenti probabilmente anche disegni del collaboratore (Giaccaria, 2001-2002, p. 174). La stretta collaborazione con Juvarra riguardò in realtà solo la prima parte della vita professionale di Tavigliano, caratterizzata da una non comune perizia nel rendere esecutivi i 'pensieri' del maestro, spesso in modo anonimo. Questo fatto rende tuttora difficile attribuire con certezza la sua partecipazione ai diversi cantieri juvarriani, dal momento che i pochissimi disegni autografi riportano il doppio cognome Agliaudi e Baroni e sono quindi databili post 1737. È comunque ragionevole pensare che la collaborazione sia durata circa quindici anni, dal 1720 circa, cioè dal rientro del messinese a Torino, fino alla sua definitiva partenza per Madrid, quando Tavigliano declinò l’invito a trasferirsi in Spagna per restare a Torino (Baroni di Tavigliano, 1758, p.n.n.).
Nell’ambito delle architetture sacre lo stesso Tavigliano si attribuisce la conclusione dei lavori nella cappella di S. Giuseppe in S. Teresa (1724 circa), quelli nella chiesa del Carmine e per la SS. Trinità; qui, dopo l’intervento a fianco di Juvarra, assunse l’assistenza in cantiere alla morte del maestro, progettando e mettendo in opera fino agli ultimi anni di vita gli altari laterali e il rivestimento marmoreo di presbiterio e vestibolo.
Probabilmente dal 1730 circa iniziò invece la sua presenza nel cantiere della chiesa di S. Filippo, dove intervenne nelle modifiche e nei rivestimenti di facciata, oltre che nella realizzazione dell’oratorio attiguo (Baroni di Tavigliano, 1758, p.n.n.).
Inoltre, per la Congregazione dei nobili e avvocati di Torino, di cui fu tesoriere, coordinò gli interventi di decorazione dell’oratorio tra il 1739 e il 1756, disegnando in particolare l’altare e la cornice per la tela di Mattia Franceschini, poi realizzati da Ignazio Perucca, oltre che numerosi arredi e suppellettili (Cifani - Monetti, 2007). Per il vicino oratorio di S. Paolo stilò invece l’istruzione per il rinnovamento di alcuni arredi (ante 1752; Tamburini, 2002, p. 308), mentre per la chiesa del Corpus Domini disegnò il pulpito (1748), realizzato da Perucca e Pietro Valle ma mai messo in opera e poi trasferito a S. Lorenzo (p. 118).
Le frequentazioni dell’ambiente di corte, oltre alla possibilità di accettare incarichi e viaggiare più liberamente degli altri tecnici professionalmente più inquadrati, valsero a Tavigliano l’affidamento, da parte del nunzio apostolico presso la corte sabauda Ludovico Merlini, della realizzazione dell’altare maggiore della chiesa dei Servi a Forlì, città natale del prelato (dal 1753). Unico esempio d’impiego di marmi piemontesi al di fuori dello stato sabaudo, l’altare testimonia il progressivo allontanamento di Tavigliano, in questo settore, dal lessico juvarriano, per avvicinarsi piuttosto alle soluzioni proposte da Bernardo Vittone.
Tra il 1751 e l’estate del 1753 progettò anche l’altare maggiore della Confraternita della Misericordia a Carignano con un’impostazione molto simile a quella dell’altare forlivese, il che fa pensare che due dei disegni superstiti (Torino, Biblioteca nazionale universitaria, d'ora in poi BNUT, Ris. 59/17, cc. 2, 8) fossero varianti di questa proposta progettuale (Balma Mion, 2014-2017, pp. 216-223). Per la stessa sede disegnò inoltre la cornice marmorea destinata all’ancona della Vergine del Suffragio, dipinta da Mattia Franceschini (attualmente entrambe disperse e sostituite), mentre per S. Chiara realizzò il ciborio dell’altare (circa 1756), poi trasferito nella parrocchiale di Novalesa dopo la demolizione di quella chiesa (Gentile, 1980, pp. 191-194).
Tra gli edifici civili si ricordano i cantieri esecutivi degli interventi juvarriani per la villa della Regina a Torino (dal 1731), con la creazione dei 'gabinetti alla China' (Mossetti, 2005) e la realizzazione di ulteriori disegni per mobili e per un chiosco in stile cinese, poi andati distrutti (Olivero, 1942, p. 23), oltre che la progettazione del 'gabinetto cinese' a Palazzo Reale, per cui Tavigliano disegnò anche alcuni arredi (BNUT, Ris. 59/20, c. 31).
Anche se la carenza di materiale documentario sopravvissuto non permette di fare completamente luce sul suo effettivo contributo in questo ambito, sappiamo che nel 1737 elaborò il disegno dell’illuminazione della facciata della villa della Regina per l’incisione allegata al testo celebrativo per il terzo matrimonio di Carlo Emanuele III, realizzando successivamente il padiglione dei Solinghi, già pensato da Juvarra seppure in forme diverse, oltre che l’aggiornamento delle architetture dei giardini al nuovo gusto decorativo.
Durante il cantiere della villa della Regina ebbe inoltre modo di frequentare l’architetto Paolo Antonio Massazza, con cui compì nel 1750 un viaggio in Provenza e che gli dedicò una pubblicazione sull’Arco romano di Susa (Torino 1750).
Di Tavigliano è anche il progetto per l’ospedale di Carmagnola (dal 1751), i cui disegni, simili per impostazione a quelli per l’edificio adibito a collegio (BNUT, Ris. 59/17, c. 60), andarono distrutti in un periodo imprecisato; l’attribuzione può quindi essere ricavata soltanto dai registri di pagamento (Archivio storico dell’Ospedale di Carmagnola, Libro degli ordinati dal 15 aprile 1751 al 4 luglio 1779, p.n.n.).
Dal 1752 progettò il rimaneggiamento del palazzo comunale di Carignano, concluso dopo la sua morte (Bertagna, 1980).
Il 29 agosto 1758 il Conseil de Ville di Nizza decise di adottare uno dei progetti inviati da Tavigliano per abbellire la facciata dell’Hôtel de Ville (Challan Belval, 2007, pp. 78 s.). Sopraggiunti motivi economici fecero probabilmente sì che non venissero installate le quattro statue di coronamento previste, le quali, insieme all’ordine gigante delle lesene, avrebbero costituito un richiamo abbastanza evidente, seppure in forme molto più compresse, a uno degli angoli del Palazzo Reale di Madrid.
Non trovano invece riscontri archivistici di prima mano l’attribuzione (Marocco, 1871) dello scalone del convento del Carmine a Torino, ora Convitto nazionale Umberto I (1741), dei lavori per le chiese di Mongreno (1757) e Tavigliano, per il palazzo Pastoris in piazza S. Carlo e per l’abitazione del conte stesso (Derossi, 1781).
Tra le scarsissime notizie relative alla sfera familiare e privata di Tavigliano si segnala che, seguendo le orme del padre, nel 1739 egli venne eletto decurione di seconda classe di Torino a fianco di Benedetto Alfieri come decurione di prima classe (Tamburini, 1983, p. 41), poi sindaco nel 1743 e mastro di ragione del Comune nel 1755 (Mola di Nomaglio, 2015, p. 146).
Inoltre, nel 1747 gli venne concessa la regia patente di immunità, essendo già padre di dodici figli (citata in Archivio storico della città di Torino, Carte sciolte, n. 2830), che diventarono infine quindici, come risulta dalla causa intentata nei loro confronti dalla contessa Maria Maddalena Nizia per la suddivisione dei beni del defunto marito, sposato nel 1730 (Mola di Nomaglio, 2015, p. 148).
Morì a Torino il 3 febbraio 1762 (Giaccaria, 2001-2002, pp. 172 s.) e venne sepolto, come la moglie, nella tomba di famiglia nella chiesa del Carmine.
Archivio storico della città di Torino, Carte sciolte, n. 2830; Archivio storico dell’Ospedale di Carmagnola, Libro degli ordinati dal 15 aprile 1751 al 4 luglio 1779, p.n.n.; Torino, Biblioteca nazionale Universitaria, Ris. 59/17 e 59/20; La sontuosa illuminazione della città di Torino per l’augusto sposalizio delle reali maestà di Carlo Emmanuele re di Sardegna e di Elisabetta Teresa principessa primogenita di Lorena [...], Torino 1737, fig. 13; G.P. Baroni di Tavigliano, Modello della chiesa di San Filippo [...], inventato, e disegnato dall’abate, e cavaliere D. Filippo Iuvara [...], dato in luce dal conte G.P. B. di T. [...], Torino 1758; O. Derossi, Nuova guida per la città di Torino, Torino 1781, pp. 196 s.; M. Marocco, La real chiesa parrocchiale di Nostra Signora del Carmine e del Beato Amedeo IX di Savoia, Torino 1871, p. 16; T. (Ignazio Agliaudi), in U. Thieme - F. Becker, Allgemeines Lexikon der Bildenden Künstler, vol. XXXII, Lipsia 1938, pp. 486 s.; E. Olivero, La Villa della Regina in Torino, Torino 1942, passim; D. De Bernardi Ferrero, L’architetto G.P. B. di T. ed i suoi disegni alla Biblioteca nazionale di Torino, in Palladio, n.s., IV (1951), pp. 180-185; A. Baudi di Vesme, Ignazio Agliaudi di Tavigliano, in Id., Schede Vesme. L’arte in Piemonte dal XVI al XVIII secolo, vol. I, Torino 1963, pp. 3 s.; C. Brayda - L. Coli - D. Sesia, Ignazio Agliaudo, conte Gian Pietro Baroni di Tavigliano, in Catalogo degli ingegneri ed architetti operosi in Piemonte nel Sei e Settecento, in Atti e rassegna tecnica della Società Ingegneri e Architetti in Torino, XVII (1963), 3, p. 82; U. Bertagna, Il Palazzo Comunale nelle riplasmazioni settecentesche, in Carignano. Appunti per una lettura della città, a cura di C. Arduino - G. Gentile, IV, Pinerolo 1980, pp. 5-22; G. Gentile, Le sedi delle confraternite, ibid., III, pp. 119-208; L. Tamburini, L’architettura dalle origini al 1936, in Storia del Teatro Regio di Torino, a cura di A. Basso, IV, Torino 1983, p. 36, 41; A. Giaccaria, Libri del conte G.P. B. di T. venduti alla Regia Università di Torino, in Bollettino Società piemontese di archeologia e belle arti, LIII (2001-2002), 2004, pp. 171-196; L. Tamburini, Le chiese di Torino, Torino, 2002, pp. 118, 308; C. Mossetti, I gabinetti di Villa della Regina. Modelli e confronti, in Villa della Regina: il riflesso dell’Oriente nel Piemonte del Settecento, a cura di L. Caterina - C. Mossetti, Torino 2005, pp. 123-152; C. Challan Belval, L’ancien palais communal de Nice, in Archéam, 2007, n. 14, pp. 73-94; A. Cifani - F. Monetti, L’Oratorio della Congregazione dei Nobili e Avvocati di Torino e i suoi capolavori d’arte. Nuovi documenti e scoperte, in Arte cristiana, XCV (2007), pp. 447-460; G. Dardanello, G.P. B. di T. e le collezioni dei disegni di Juvarra, in Il teatro di tutte le scienze e le arti. Raccogliere libri per coltivare idee in una capitale di età moderna. Torino, 1559-1861 (catal.), a cura di I. Massabò Ricci - M. Carassi - S. Pettenati, Torino 2011, pp. 462-467; C. Balma Mion, Altari e marmi piemontesi a Forlì: Ludovico Merlini e G.P. B. di T., in Bollettino Società piemontese di archeologia e belle arti, LXV-LXVIII (2014-2017), 2018, pp. 213-232; G. Mola di Nomaglio, Gli Agliaudi: vicende di un’antica famiglia e di un grande architetto, in U. Grosso - R. Sandri Giachino, Tavigliano e l’antica comunità di Andorno: storia, famiglie, avvenimenti, Biella 2015, pp. 143-153.