PICCAMIGLIO, Giovanni
PICCAMIGLIO, Giovanni. – Nacque a Genova in data imprecisata, presumibilmente tra il 1410 e il 1420. Come risulta da un atto del notaio Antonio Fazio (ASGe, Notai Antichi, 575, doc. 142), era figlio di un Cosma attivo fra il 1398 e il 1428, insieme al fratello Ambrogio, sulle tratte commerciali fra Genova, la Penisola iberica, l’Inghilterra e le Fiandre in società con alcuni dei maggiori protagonisti del commercio occidentale genovese, e di una Isabella di cui non è noto il casato.
Gli atti dei notai genovesi (Notai Antichi, 452, doc. 114 e 719/III, doc. 141) e le registrazioni del suo stesso libro di conti (Heers 1959) ci informano che Giovanni Piccamiglio ebbe almeno tre fratelli, Gregorio, Niccolò e Tommaso, oltre a due sorelle, Pomelina e Caterina, la seconda delle quali (già defunta nel 1467) andò in sposa a un esponente di spicco di una delle più importanti famiglie dell’aristocrazia mercantile dell’epoca, Federico Centurione (Notai Antichi, 869/I, doc. 236). I fratelli, e soprattutto Tommaso, secondo uno schema tipico dell’attività mercantile del tempo, furono tra i più importanti soci delle attività di Giovanni, alle quali sicuramente giovarono i legami di parentela con i Centurione, che avevano concentrato nelle proprie mani il redditizio mercato dello zucchero e della frutta secca prodotta nel Regno di Granada. Giovò all’attività economica di Piccamiglio anche il matrimonio con Maddalenetta Fieschi di Canneto, che gli assicurò stretti contatti con uno dei consortili aristocratici più potenti della città.
Dal matrimonio nacquero almeno due figli maschi, Cosmelino (presumibilmente il maggiore, secondo le regole onomastiche seguite in ambito genovese) e Battistino, ancora infanti nel 1459, e tre figlie: Brigidina, Violantina e Marietta, due delle quali già sposate alla stessa epoca. Il quadro familiare che è possibile desumere dalle registrazioni del libro di conti appare infine completato dalla presenza di Pometa, vedova di Ambrogio, dei generi Tommaso di Savignone e Niccolò Spinola e di un numeroso personale di servizio. Giovanni Piccamiglio risiedeva nell’antica casa di famiglia nella Contrada di San Marcellino, presso il porto, ma era proprietario di numerosi altri immobili, case e botteghe nella zona, e soprattutto di una ben più lussuosa residenza suburbana a Sampierdarena, dove aveva acquistato e fatto ristrutturare una villa rustica, riportandone in produzione gli annessi terreni agricoli e le vigne.
Secondo le consuetudini genovesi dell’epoca, la sua attività professionale di mercante iniziò con un periodo di ‘formazione’ e apprendistato negli insediamenti orientali dell’impero commerciale genovese: nel 1445 lo troviamo nell’isola di Chio, nel 1450 a Pera e nel 1453 ancora a Chio con la qualifica di habitator. Ma a partire almeno dal 1453 Piccamiglio, seguendo anche in questo caso l’esempio di molti suoi contemporanei, stabilizzò la propria vita e le sue attività entro i limiti del percorso che univa la sua residenza cittadina a quella suburbana – con la sola eccezione di un trasferimento a Savignone, nell’entroterra, per sfuggire all’epidemia di peste del 1458 – mantenendo i contatti con il mondo del commercio e della finanza internazionali attraverso fratelli e altri intermediari.
Il quadro dell’attività di Giovanni, desumibile principalmente dai conti registrati da lui stesso e da una serie di atti notarili, ce lo presenta pienamente inserito nella corrente di trasformazione che il mondo economico genovese nel suo complesso stava attraversando nei cruciali anni a cavallo della metà del XV secolo: gli spazi commerciali che interessano Giovanni Piccamiglio, i suoi fratelli e i suoi soci sono prevalentemente, come già per Cosma e Ambrogio, quelli del Mediterraneo occidentale e dell’Atlantico, ma soprattutto l’attività finanziaria risulta ampiamente prevalente rispetto a quella puramente commerciale.
In effetti, la relativamente ridotta attività mercantile di Giovanni di cui abbiamo notizia si diresse essenzialmente verso la Penisola iberica, in particolare a Valencia dove poteva contare sulla presenza del fratello Tommaso e del cognato Federico Centurione, e verso l’Inghilterra, dove ancora una volta l’intermediazione dei Centurione gli consentì di trarre guadagno dalle esportazioni di guado verso i mercati inglesi, molto più che verso l’Oriente, campo d’azione di Gregorio e Niccolò (anche se nel 1445, durante la permanenza a Chio, aveva partecipato al commercio dell’allume orientale), adeguandosi a quelli che erano i flussi predominanti della ‘riconversione a Occidente’ delle attività economiche genovesi in conseguenza dell’espansione ottomana nel Levante. Tuttavia, l’impressione principale che si ricava dall’esame delle attività del Piccamiglio ci conferma come egli si trovasse evidentemente più a suo agio con la finanza piuttosto che con il commercio.
Il grosso dei proventi che consentivano a Giovanni e ai suoi familiari di condurre una vita agiata derivavano, oltre che dall’accorta gestione del patrimonio immobiliare di famiglia, dall’abilità con cui il personaggio si muoveva in alcuni dei settori più dinamici dell’economia genovese: le assicurazioni, i prestiti a interesse, i cambi e la compravendita di titoli di debito pubblico. Se infatti il Piccamiglio appare un mercante di mediocri fortune, notevole era la sua capacità nella gestione di capitali; le abbondanti riserve di denaro liquido di cui appare costantemente fornito gli permettevano infatti di approfittare al meglio delle occasioni offerte dal mercato dei titoli di debito pubblico (ad esempio nel 1457 e nel 1462-63), ma anche di offrire prestiti a tassi ragionevoli (intorno al 15%) a coloro che si rivolgevano a lui per finanziare operazioni commerciali. L’attività nel settore delle assicurazioni marittime era ovviamente favorita dall’ampia disponibilità economica di Giovanni e dai suoi legami con i Centurione, attraverso i quali ebbe modo di estendersi fino all’Inghilterra e alle Fiandre, tanto che si può valutare come già nel 1456-1459 questo fosse percentualmente il più rilevante dei suoi interessi e in seguito la principale occupazione del banco di «Giovanni Piccamiglio e Compagnia», la cui esistenza è attestata negli anni 1469-70.
La stabile presenza in città, gli stretti legami con alcune delle famiglie protagoniste della politica cittadina e la notevole esperienza nel campo finanziario furono anche alla base del notevole cursus honorum rapidamente percorso dal Piccamiglio nell’ambito delle magistrature politiche e amministrative genovesi. Già nel 1454 fu tra i dodici membri del Consiglio degli anziani (formalmente la massima istanza politica della città a fianco del Doge), ma fu nel 1458 – un anno difficile, segnato dalla peste, dalla guerra civile e dal passaggio di Genova sotto la signoria di Carlo VII di Francia – che entrò nel vero cuore della politica e della finanza genovesi, la Casa di San Giorgio, come membro del gruppo di Protettori delle compere. Nel 1460 lo troviamo in un altro ruolo chiave, tra i Padri del Comune (ai quali era affidato il controllo di tutta la ‘macchina’ portuale genovese e di una serie di altre realtà economiche fondamentali, dall’urbanistica ai mercati, dall’ordine pubblico all’acquedotto), e nel 1461 sedette nuovamente tra gli Anziani del Comune. Fu però nel 1469 che raggiunse il vertice della sua carriera politico-amministrativa entrando a far parte del potente ‘Ufficio del 1444’, una magistratura incaricata della liquidazione dei banchi e dei residui composta di soli otto membri con un mandato particolarmente lungo che, grazie alle loro competenze sulle nomine dei funzionari della Casa, li metteva in grado di orientare in modo duraturo lo sviluppo delle attività di San Giorgio.
Nonostante il prestigio delle cariche politiche furono quindi certamente gli incarichi in San Giorgio quelli nei quali Giovanni Piccamiglio ebbe modo di mettere maggiormente a frutto le proprie competenze nel campo finanziario, e contemporaneamente quelli che gli fornirono le condizioni più propizie per effettuare vantaggiose operazioni sui titoli del debito pubblico a tutto vantaggio dell’incremento di quel capitale che, come si è visto, alimentava abbondantemente tutte le sue attività nel campo della finanza e del prestito; la mancanza di ulteriori registrazioni non ci consente tuttavia di seguire oltre il 1470 le vicende della famiglia e del capitale di questo fortunato uomo d’affari, che pure presumibilmente visse fino agli ultimi anni del XV secolo.
Membro di una famiglia dell’aristocrazia mercantile da lungo tempo presente sulla scena del commercio internazionale genovese, anche se non tra le principali protagoniste, Giovanni Piccamiglio può dunque essere considerato un rappresentante paradigmatico del gruppo più consistente dei mercanti genovesi attivi in posizioni di secondo piano su mercati dominati dalle grandi consorterie familiari che regolavano anche la politica cittadina di Genova nella seconda metà del XV secolo.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Genova, Antico Comune, 785, c. 13r.; Archivio Segreto, 555; 568; 569; 571; Notai Antichi, 657/II, doc. 162; 592, doc. 261; 719/III, docc. 129, 154; 832/III, docc. 23, 28; San Giorgio, 23731; 26382; 33460; 33462; 33793; 33823; 38202; J. Heers, Le Livre de comptes de Giovanni Piccamiglio homme d’affaires Génois, 1456-1459, Paris 1959; A. Roccatagliata, Notai genovesi in Oltremare. Atti rogati a Chio (1453-1454, 1470-1471), Genova 1982, doc. 41; G. Giacchero, I Genovesi assicuratori marittimi nell’arco di cinque secoli, in La storia dei Genovesi, VI, Genova 1986, pp. 57 s.