PENNACCHI, Giovanni
– Nacque a Bettona (Perugia) il 17 giugno 1811 da Giuseppe e Matilde Guiducci, originaria di Assisi.
Primo di quattro figli, a undici anni entrò come convittore laico nel seminario di Foligno, ma tre anni più tardi la famiglia lo trasferì nel collegio di Spello retto dall'educatore Vitale Rosi, legato al movimento dell'educazione popolare e influenzato dalla moderna pedagogia elvetica. Su consiglio dallo stesso Rosi, Pennacchi si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza e si stabilì così a Perugia poco prima dell'insurrezione del 1831, durante la quale si unì alle manifestazioni contro il governo del papa. L'8 maggio 1833 fu fra gli universitari più attivi nel partecipare al tumulto della farmacia Tei, causato da una dura perquisizione poliziesca a uno dei luoghi di ritrovo dei liberali perugini; nella repressione che ne seguì Pennacchi fu colpito da un provvedimento di espulsione dall'Ateneo. Con Margherita Ricci, giovane di antica, ma modesta famiglia perugina, che aveva sposato nel 1834, decise allora di ripiegare nell'ambiente della provincia per dedicarsi all'attività didattica. Dopo aver insegnato grammatica e retorica nelle piccole scuole del paese nativo, nel 1838 conseguì per concorso la cattedra di belle lettere presso le scuole comunali di Amelia, dove rimase per un decennio; nonostante la stima delle autorità locali, che gli affidarono anche la riforma degli ordinamenti educativi cittadini, fu costantemente sorvegliato dalla polizia che lo sospettava di servirsi dell'insegnamento per l’attività di propaganda politica.
Nella seconda metà degli anni Trenta si era effettivamente accostato all’attività cospirativa entrando in una rete di sociabilità in cui carboneria, Giovine Italia e retaggi massonici si sovrapponevano; tali affiliazioni gli valsero anzitutto a consolidare i rapporti con le élites perugine (come i Danzetta e i Guardabassi) già protagoniste dell'età napoleonica e impegnate in una sotterranea opposizione allo Stato della Chiesa. Dai primi anni Quaranta prese poi parte ad alcune iniziative culturali sospette.
Condividendo il processo di progressiva marginalizzazione dello Stato pontificio, la vita intellettuale umbra si presentava largamente impermeabile ai saperi specialistici e ai risvolti di mercato; priva di più moderni spazi di formazione dell'opinione pubblica essa continuava a svolgersi nel chiuso di salotti e accademie, assumendo le forme prevalenti dell'erudizione e di un attardato settecentismo. Le ipoteche rappresentate dalla tradizione arcadica rendevano complicata la penetrazione di tendenze diverse, e anche figure più inclini a idee nuove non sembravano sfuggire al condizionamento del clima dominante. Fra queste coordinate si svolse la formazione giovanile dello stesso Pennacchi che ebbe il suo noviziato nel capoluogo quale assiduo frequentatore di salotti nobiliari e come attivo socio dai primi anni Trenta dell'Accademia dei Filedoni, nata nel 1816 in continuità con l'arcadia perugina, e principale luogo di aggregazione della società cittadina. La produzione di quei primi anni nel genere dei componimenti d’occasione per nozze o celebrazioni di esponenti dell'alta nobiltà, destinata a costellarne in abbondanza anche tutta la vicenda letteraria successiva, ne attestava peraltro l'immedesimazione di fondo con tutta quella tradizione culturale.
Se nella forma rimase ancorato a un classicismo convenzionale, nei contenuti Pennacchi non fu però estraneo a taluni fermenti culturali del secolo e alla ricerca, per quanto non sempre pienamente compresa, di opzioni nuove. Con altri giovani letterati partecipò così a una pubblicazione periodica avviata nel 1840 a Spoleto, La Rondinella o Strenna umbra, in cui scrisse alcune liriche anche la moglie Margherita, mentre nel 1841 con Ariodante Fabretti e Giuseppe Cocchi fu tra gli iniziatori dell'Eco degli Appennini umbri di Todi. La nuova Strenna, che in modo stilisticamente non eccelso cercava di promuovere una letteratura di intonazione civile, incorse rapidamente nei rigori della censura; intenzionata a promuovere le istanze romantiche nella cultura umbra, pur con aspetti riconducibili alla nuova scuola, a cominciare dall'interesse per la letteratura popolare e da una rilettura allusivamente patriottica di episodi della storia regionale, essa continuò però a esprimersi in prevalenza in quelle forme retoriche radicate nella formazione dei suoi redattori e in molta parte della provincia italiana.
Nei mesi febbrili del biennio riformatore 1846-47, Pennacchi fu fra i più attivi nel mettere i suoi versi al servizio delle riunioni letterarie dell'Accademia dei Filedoni, divenuta il principale centro di propagazione delle istanze neoguelfe. Versi in cui, come nelle ottave L'esule (Perugia 1846), si insisteva sulla redenzione assicurata da Pio IX a un’Italia a lungo asservita e imbelle, ma regno per eccellenza di una mitologica evasione. Nel 1848 impegno politico ed educativo, destinati a connotare la vita di Pennacchi, andarono di pari passo; trasferitosi a Spoleto, su invito della città, per riorganizzare le scuole appena sottratte ai gesuiti, vi divenne uno degli animatori del locale circolo popolare. Indicato fra i candidati proposti dai circoli per le consultazioni a suffragio universale (maschile) per l’Assemblea costituente romana, nel gennaio 1849 risultò eletto a Spoleto con 6374 voti; nella prima adunanza fu scelto come uno dei suoi segretari e quale membro della commissione per la Pubblica Istruzione. Rimasto in città fino allo scioglimento dell'Assemblea da parte dei Francesi, nella sua qualità di segretario riuscì a mettere in salvo numerosi documenti e a portare con sé a Perugia un cimelio come il testo originale della costituzione della Repubblica con le firme autografe dei deputati.
Costretto all'esilio, nel dicembre del 1849 si rifugiò a Genova dove riuscì a ottenere diversi incarichi scolastici: dalla cattedra di lettere nel liceo ginnasio, a quella di declamazione nell'istituto civico di musica, fino alla direzione del collegio dell'istituto commerciale di Ippolito d'Aste. La lunga permanenza nel Regno di Sardegna, ma soprattutto l'entusiasmo per la guerra del 1859, lo spinsero a maturare crescenti perplessità verso il suo recente passato politico e a confluire su posizioni sempre più filosabaude, ben testimoniate dalle lettere indirizzate fra la primavera del 1859 e il 1860 all'amico Annibale Vecchi, storico fiduciario mazziniano per l'Umbria; come gli scrisse lapidario il 6 ottobre 1860: «Repubblicano qual fui nel '49, oggi io voto la per la Monarchia, perché la Monarchia oggi mi fa la Nazione» (Degli Azzi, 1906, p. 43).
L'avvenuto processo di integrazione nell'Italia liberale fu del resto accompagnato da una serie di impieghi ricevuti al suo ritorno in Umbria, soprattutto nel campo a lui congeniale della riorganizzazione del sistema scolastico e dell'impegno educativo. Per decreto ministeriale fu posto a capo della nuova regia scuola normale femminile e fino al 1877 fu preside del liceo classico inaugurato nel 1861. Ancor più rilevante l'incarico, ricoperto fino alla morte, di rettore dell'Università libera di Perugia dipendente dal municipio, ma pareggiata alle università regie, che interpretò come difesa di un modello universitario policentrico «gloria del bel Paese» e di «ogni provincia italiana» (Ermini, 1971, p. 705). Una tale concentrazione di cariche fu con ogni probabilità favorita dai suoi legami con la massoneria; protagonista delle vicende che ne scandirono localmente il processo di rinascita sulla scena pubblica, nel 1860 risultò fra i primi iscritti della loggia La Fermezza e nel 1881 fu tra i fondatori della loggia Francesco Guardabassi entrata nel Grande Oriente d'Italia.
Tale protagonismo sociale e le tante incombenze non gli impedirono di continuare a dedicarsi agli studi letterari. Gli sforzi maggiori degli ultimi anni, poi sfociati nei Cenni biografici di Francesco Guardabassi (Perugia 1876), furono diretti a omaggiare il notabile per eccellenza del Risorgimento perugino, divenuto fin dagli anni preunitari un campione del moderatismo. La sua vicenda appariva funzionale nella narrazione di Pennacchi a ridimensionare le scelte passate sue e di molti della sua generazione, presentando l'adesione alla Repubblica Romana come il necessario prodotto del comportamento del papa più che di una reale volontà rivoluzionaria.
Pennacchi morì a Perugia il 7 giugno 1883.
Opere: oltre a quelle citate, si ricordano: Prose e poesie scelte di G. P., precedute da un discorso commemorativo del prof. Biordo Brugnoli, Perugia 1913.
Fonti e Bibl.: Lettere di e a Pennacchi si conservano in diversi fondi archivistici: Perugia, Biblioteca Augusta, Fondo Fabretti, ms. 2170; Fondo Ansidei Manzoni, su cui si veda: Gli archivi umbri e l'Unità. Guida alle fonti documentarie 1859-1865, a cura di E. David et al., Perugia 2011, pp. 273 s.; Arch. di Stato di Perugia, Museo storico del Risorgimento umbro, b. 1, contenente 35 lettere a Annibale Vecchi, in parte riprodotte in G. Degli Azzi, Inventario-Regesto del Museo storico del Risorgimento umbro, in Archivio storico del Risorgimento umbro, II (1906), 4, pp. 38-44; Fondo famiglia Guardabassi, bb. 26 e 33; Sottosezione dell'Arch. di Stato di Spoleto, Fondo famiglia Campello, b. 49; Firenze, Biblioteca nazionale centrale, fondi De Gubernatis, Tommaseo, Vannucci, Vieusseux. Necr., G. Bianconi, Per la commemorazione del prof. G. cav. P. da Bettona, Assisi 1883; Alla cara e veneranda memoria di G. P. questo numero i redattori dell'Unione liberale consacrarono, in Unione liberale, 23 giugno 1883. Inoltre: G. Degli Azzi, G. P., in Dizionario del Risorgimento nazionale, III, Milano 1933, pp. 833 s.; G. Ermini, Storia dell'Università di Perugia, II, Firenze 1971, ad indicem; U. Bistoni - P. Monacchia, Due secoli di massoneria a Perugia e in Umbria, 1775-1975, Perugia 1975, ad indicem; A. Lupattelli, I salotti perugini del sec. XIX e l'Accademia dei Filedoni nel primo secolo di sua vita (1816-1916), Foligno 1976, ad indicem.