Pastrone, Giovanni
Regista e produttore cinematografico, nato ad Asti il 13 settembre 1883 e morto a Torino il 27 giugno 1959. Tra i maggiori pionieri e sperimentatori del cinema muto, dopo anni di incessante attività registica e produttiva di corto e mediometraggi di ogni genere (tra cui spiccano le comiche con André Deed nel personaggio di Cretinetti), è stato l'artefice del primo grande kolossal nazionale che ottenne un successo mondiale, il lungometraggio Cabiria (1914) diretto con il nome d'arte di Piero Fosco che utilizzò poi per altri film come Il fuoco (1915), Tigre reale (1916), Hedda Gabler (1920).
Assunto a ventiquattro anni come impiegato nella casa di produzione torinese Rossi & C., dopo essersi occupato di contabilità, vi esordì molto presto nella regia, realizzando decine di cortometraggi di lunghezza variabile tra i 25 e i 250 metri di argomento vario, che spaziano da drammi storici come Napoleone I (1907), a comiche come Il cane geloso (1907) e Ladro per forza (1910), melodrammi come Il piccolo spazzacamino (1908) e attualità (Frontiera russo-giapponese, 1909), includendo sperimentazioni di trucchi visivi alla Méliès come in Da dove escono (1908): con queste agili opere, P. si impose immediatamente come artista dal temperamento eclettico e metodico. Allo stesso tempo, animato da propositi imprenditoriali, il regista si occupò con competenza dei problemi tecnici della ripresa e della proiezione (nel 1912 avrebbe brevettato il 'corridoio a pressione', un ingegnoso sistema di perforazione della pellicola in grado di eliminare gran parte dello slittamento e del tremolio tipici della proiezione dell'immagine a 16 fotogrammi al secondo). Quando nel 1908 il fondatore Carlo Rossi lasciò la società, P. la rilevò insieme a Carlo Sciamengo, tramutandola nella Itala Film. Nominato direttore generale e artistico, proseguì l'attività registica a ritmi sostenuti e avviò un rinnovamento della sua professione, che trasformò da mestiere di puro intrattenimento a impegno artistico e di contenuto, seguendo l'esempio dei film d'arte Pathé Frères. P. fu tra i primi in Italia a impostare in maniera originale le moderne tecniche di produzione attraverso piani di ripresa definiti, scene numerate e un uso 'linguistico' del montaggio. Allo stesso tempo, cominciò a organizzare, sull'esempio delle produzioni americane e francesi, un 'parco attori' in esclusiva della società, strappando alla Pathé il comico André Deed, ribattezzato in Italia Cretinetti. Il successo strepitoso delle comiche (a partire da Cretinetti re dei poliziotti, 1909), dirette non solo da P. e uscite a cadenze regolari fino al 1919, consentì al regista e alla società di essere conosciuti all'estero.
Nacque poi il primo kolossal storico-mitologico diretto da P. e da Romano Luigi Borgnetto: La caduta di Troia (1911), con effetti speciali di alta spettacolarità, come nella scena finale dell'incendio. L'esito del film, accolto con freddezza dalla critica e dal pubblico italiani ma acclamato all'estero, indusse P. a recarsi nel 1911 negli Stati Uniti per dirigere la Itala Film Corporation of America. Tornato in Italia, riuscì poi a mettere a segno un colpo da maestro ingaggiando il grande attore teatrale Ermete Zacconi, notoriamente riluttante nei confronti del cinema, per Padre (1912) di Gino Zaccaria e Dante Testa, dramma sociale e sentimentale a lieto fine: l'esperimento si risolse in una delle prime interpretazioni prive di enfasi e naturali della storia del cinema. L'anno successivo P. importò in Italia un genere che in Francia si andava diffondendo con grande rapidità: il feuilleton poliziesco. Nacque così Tigris (1913) di Vincenzo C. Dénizot, un film in cui l'attore Edoardo Davesnes, mascherato, interpretava con bravura i tre diversi protagonisti (un malvivente, un rispettabile signore e il commissario di polizia) e che si concludeva con un singolare svelamento dei tre personaggi. In questa operazione centrale fu il ruolo dell'operatore Segundo de Chomón: in Tigris apparvero avanguardistiche riprese in soggettiva ed effetti di frammentazione della visione che, insieme alle frequenti riprese notturne e alle accelerazioni narrative del finale, resero il film una sorta di prototipo del genere noir, antecedente di Fantômas (1913-14) di Louis Feuillade.
Un grande successo d'immagine e d'impresa, alimentato da capitali produttivi ingentissimi, fu l'opera a cui più di ogni altra resta legato il nome di P., il sontuoso Cabiria, "visione storica del terzo secolo a.C." che ruota intorno al conflitto tra Roma e Cartagine, nato come risposta al grande successo di Quo vadis? (1913) di Enrico Guazzoni. Oltre all'audace ingaggio realista dello scaricatore di porto genovese Bartolomeo Pagano nella parte di Maciste, P. si avvalse della collaborazione di due nomi eminenti della cultura italiana: Gabriele D'Annunzio, autore delle didascalie (ed erroneamente considerato, forse anche in maniera surrettizia, autore della sceneggiatura e del soggetto, in realtà di P.), e Ildebrando Pizzetti, che per il film scrisse La sinfonia del fuoco. La prima di Cabiria, proiettato in contemporanea a Roma, Milano, Parigi e New York, fu un evento che fece epoca, non soltanto come fenomeno di costume e per il successo senza precedenti ottenuto presso il pubblico mondiale (perfino in Giappone e in Australia) che lo rese un antesignano del moderno cinema industriale, ma anche perché il film apportò tali e tante innovazioni linguistiche nell'uso della macchina da presa (furono cinque i direttori della fotografia di questo grande caleidoscopio di panoramiche, gru e carrelli), degli effetti visivi (supervisionati da S. de Chomón) e delle inquadrature (dal primissimo piano all'uso dinamico della profondità di campo), da ispirare l'opera di molti tra i migliori registi dell'epoca, tra i quali Thomas Harper Ince e David W. Griffith.
La guerra impose una brusca limitazione all'attività della Itala Film: dopo aver prodotto Maciste (1915) diretto da Dénizot e Borgnetto, P. tornò alla regia per un film di grandi ambizioni, interpretato dall'attore-regista Febo Mari e dalla vamp Pina Menichelli, Il fuoco, con cui ribaltò la grandiosità di Cabiria in un dramma sentimentale morboso girato quasi tutto in interni, una sorta di Kammerspielfilm ante litteram, quintessenza di un certo, sovraccarico, spirito liberty. Impostazione che il regista ripeté come schema anche del successivo Tigre reale, tratto da G. Verga, dove spicca un uso del flashback sorprendentemente moderno. Il clima di forte censura dovuta alla guerra in corso pose seri limiti alla fantasia di P. che, come soggettista, fu costretto a cambiare in positivo l'oscuro finale del film di genere fantastico La guerra e il sogno di Momi (1917) di de Chomón, thriller onirico basato sul sogno spaventoso di un bambino che legge le lettere del padre dal fronte, in cui compaiono attori e pupazzi animati. Con la fine del conflitto mondiale il ruolo primario di P. nella Itala Film andò ridimensionandosi, e con esso anche il suo interesse per la regia: dopo una versione cinematografica dell'opera teatrale di H. Ibsen Hedda Gabler e molti progetti falliti, firmò il suo addio al cinema producendo il dramma un po' datato Povere bimbe! (1923) di Gero Zambuto. Mentre continuava a dedicarsi a invenzioni meccaniche nei campi più disparati della tecnologia applicata, a P. venne diagnosticato un tumore al fegato con previsione di decesso imminente: cominciò così a progettare una macchina elettrica a scopi medico-terapeutici con cui si curò, e che cercò invano di far produrre su scala industriale. Riuscì però in qualche modo ad allontanare la sua fine: morì infatti trentadue anni dopo in seguito a un improvviso riacutizzarsi della malattia.
P. Cherchi Usai, Giovanni Pastrone, Firenze 1985; Giovanni Pastrone. Gli anni d'oro del cinema a Torino, a cura di P. Cherchi Usai, Torino 1986.