PASSANNANTE, Giovanni
PASSANNANTE, Giovanni. – Nacque a Salvia di Lucania (Potenza) il 19 febbraio 1849 da Pasquale e Maria Fiore.
La famiglia era molto povera e viveva in un tugurio. La madre ebbe dieci figli, quattro dei quali morirono in tenera età.
Rimasto storpio alla mano destra per una scottatura nell’acqua bollente, fin da bambino Giovanni fece lavori giornalieri, custodendo le capre e andando a servizio. Lasciò il paese a diciassette anni come avevano già fatto altri suoi fratelli e sorelle: ad accudire i genitori rimase solo una figlia nubile.
Dopo essere stato a servizio a Vietri di Potenza, trovò lavoro in casa di un ex capitano degli eserciti napoleonici, Giovanni Agoglia, che lo portò con sé a Salerno e gli insegnò a leggere e scrivere. Nel 1868 scoprì gli scritti di Giuseppe Mazzini, e divenne repubblicano.
Nel dicembre 1869 partecipò a una delle sessioni dell’Anticoncilio, organizzato al Teatro S. Ferdinando di Napoli per «opporre alla cieca fede, sui cui è fondato il cattolicismo, il gran principio del libero esame» (L’Anticoncilio di Napoli del 1869, promosso e descritto dal già deputato Giuseppe Ricciardi, Napoli 1870, p. 11). L’incontro fu sciolto dalla questura.
Il 19 marzo 1870, giorno di San Giuseppe, in una trattoria di Salerno fu festeggiato l’onomastico di Garibaldi e di Mazzini, al suono dell’inno di Garibaldi: ritratti a olio delle due celebrità risorgimentali e piccole statue di Masaniello decoravano le tavolate. Passannante conservò il giornale mazziniano Il Popolo d’Italia con il resoconto del banchetto. Due mesi più tardi, in concomitanza con un tentativo insurrezionale in Calabria e proteste studentesche a Napoli, scrisse un proclama in cui, appellandosi all’Alleanza repubblicana universale, invitava a gridare «per tutta l’Italia che vogliamo la Repubblica», con evviva a Mazzini, a Garibaldi e ai «nostri fratelli di Calabria!» (Galzerano, 2004, inserto 21): lo portò nel caffè che frequentava abitualmente e ne fece correggere l’italiano da amici repubblicani. La notte del 15 maggio 1870 uscì dalla locanda in cui alloggiava con una quindicina di quei proclami scritti a mano, una caffettiera piena di colla e un pennello. Scoperto dai carabinieri, fu arrestato. Rimase in carcere tre mesi.
Amnistiato, fece ritorno a Salvia, dove lavorò alcuni mesi come giornaliero in cambio del vitto e dove, nel settembre 1870, scrisse un testamento per rinunciare alla sua parte di eredità «per mettere pace, essendovi continua questione» (Sullo stato di mente di G. P. Tentativo di regicidio, in Rivista sperimentale di Freniatria e di Medicina legale in relazione con l’antropologia e le scienze giuridiche e sociali, V, 1879, p. 176). Partendo da Salvia, nella primavera 1871, lasciò uno scritto per l’onomastico di Mazzini e di Garibaldi, e una copia della Nuova Basilicata del 23 marzo 1871 con notizie sulla Comune di Parigi. La sorella e la madre non sapevano leggere (in famiglia erano tutti analfabeti), e conservarono quei fogli come un suo ricordo.
Lavorò come apprendista cuoco e lavapiatti all’albergo Croce di Savoia di Potenza, da cui dopo tre mesi si licenziò perché, stando alle sue parole, il padrone non lo pagava: dal canto suo, il padrone gli rimproverava di perdere tempo a leggere i giornali. In occasione del congresso repubblicano del 1874, gli fu perquisita la stanza dove viveva.
Nel 1876 trovò lavoro come cuoco presso la famiglia di August Engler, proprietario della fabbrica di tessuti detta degli Svizzeri a Salerno. Chi lo frequentava disse che aveva l’abitudine di parlar male dei preti cattolici. In quel periodo, Passannante frequentava la chiesa evangelica di Salerno e leggeva la Bibbia di Giovanni Diodati. Anni dopo, il 26 marzo 1879, avrebbe scritto in una lettera al direttore delle carceri di Napoli, Tito Ceccherini: «Io era prima Cristiano cattolico Apostolico Romano, ed ora sono Cristiano evangelico Italiano» (Galzerano, 2004, p. 737).
Si iscrisse a una società di mutuo soccorso fra operai, ma se ne allontanò, perché disgustato da come venivano amministrati i fondi. Alla fine del 1877 aprì per poco tempo con un socio una trattoria a Salerno.
Il 1878 in Europa fu un anno di attentati alla vita di sovrani e uomini politici: a San Pietroburgo contro il governatore della città, a Berlino due volte contro l’imperatore Guglielmo I, a Madrid contro re Alfonso XII. I giornali italiani ne parlarono diffusamente. Gli internazionalisti scrivevano nei loro manifesti che prima o poi la vendetta degli oppressi sarebbe stata ‘doverosa’. Ma anche in vari settori dell’universo repubblicano, pensare alla repubblica significava evocare Bruto che uccideva Giulio Cesare, ovvero il tirannicidio.
Il 17 novembre 1878 era in programma a Napoli la visita del re Umberto I con la giovane regina Margherita e il figlio. Passannante si trovava a Napoli da circa un anno, cambiando spesso datore di lavoro e ricorrendo agli amici per piccoli prestiti: da qualche settimana condivideva una stanza con altri tre uomini presso una donna affittaletti. Seguiva la propaganda internazionalista, conservandone manifesti che invitavano ad agire: «Lasciate le ciarle e fate la Rivoluzione! Figli di Masaniello, sorgete!» (Porcaro, 1975, pp. 80 s.). Quel pomeriggio Passannante si trovava tra la folla in festa. Al passaggio della prima carrozza, dov’erano seduti i sovrani con il figlio e il presidente del Consiglio Benedetto Cairoli, uscì dalla folla plaudente con un foglio in mano come se volesse consegnare una supplica. Si avvicinò alla vettura e con un coltello da cuoco colpì di striscio Umberto I a un braccio e ferì leggermente alla coscia Cairoli, che cercò di fermarlo afferrandolo per i capelli. Un capitano dei corazzieri a cavallo, di scorta al re, vibrò una piattonata di sciabola sulla testa di Passannante, che fu bloccato dalle guardie con la testa sanguinante. Quello che Passannante teneva in mano era una stoffa rossa e dei fiocchi a mo’ di bandiera con attaccato un foglio dove aveva scritto con penna e inchiostro «Morte al re, Viva la Repubblica Universale, Viva Orsini» (G. P. Processo per attentato regicidio. Dibattimento svoltosi innanzi alla Corte Ordinaria d’Assisie [sic] di Napoli, Napoli 1879, p. 83): il coltello era cucito alla bandiera. Pochi giorni dopo il Consiglio comunale di Salvia chiese e ottenne di cambiare il nome del paese in Savoia di Lucania. Arresti e perquisizioni furono effettuati in tutta Italia.
Il processo sì aprì presso la corte di assise di Napoli il 6 marzo 1879 e si chiuse il giorno dopo. Una perizia escluse qualsiasi malattia mentale e concluse che l’imputato mirava alla repubblica universale. Il procuratore generale Francesco La Francesca sostenne che l’attentato era premeditato e chiese la pena capitale. La premeditazione o meno non venne valutata (per esempio determinando se un coltello con una lama da 8 centimetri fosse compatibile con la volontà di uccidere). Il difensore d’ufficio, avvocato Giuseppe Leopoldo Tarantini spiegò che Passannante era stato rovinato dalle «pericolose dottrine» che facevano di Orsini e Agesilao Milano (che avevano attentato alla vita rispettivamente di Napoleone III e del re Ferdinando I) «degli eroi» (ibid., p. 66), chiese ai giurati di essere «umani», e finì il discorso con «Gloria ad Umberto I! Evviva il Re!» (ibid., p. 70). In meno di un quarto d’ora la corte condannò Passannante alla pena di morte e al pagamento delle spese processuali; non furono trovati complici. In capo a due settimane l’avvocato difensore fece ricorso in Cassazione perché il suo assistito era stato processato con l’accusa di aver agito «con volontà omicida», mentre ai giurati era stato chiesto di decidere se l’imputato avesse attentato al re «sia per uccidere sia solamente per ferire» (Il Pungolo, 21 marzo 1879). La corte di Cassazione rigettò il ricorso. Umberto I commutò la pena di morte in ergastolo.
Passannante fu rinchiuso in una cella bassa e completamente al buio sotto il livello del mare. Dopo due anni, privo di forze, fu cambiato di cella. Nessun contatto, neanche con il secondino; nessun libro; al buio, e sempre alla catena. Agostino Bertani, il medico e deputato radicale che, dopo molte insistenze, ebbe nel 1885 il permesso di spiarlo per pochi minuti dalla serratura, fu sconvolto dal vedere un uomo ammalato di scorbuto «senza un filo di forza» (A.M. Mozzoni, Ricordi e note dell’isola d’Elba. IV, in Critica sociale, 10 maggio 1891, p. 106), che «s’aiutava a stento con le mani a sorreggere la pesante catena di diciotto chilogrammi» (ibid., p. 108). Nel 1889, dopo una nuova perizia, fu dichiarato pazzo dagli stessi medici che avevano escluso qualsiasi patologia mentale al tempo del processo, e quindi trasferito nel manicomio di Montelupo Fiorentino, dove gli fu permesso di leggere e scrivere. Chi lo poté visitare pochi anni dopo, lo trovò a letto e con gli occhi chiusi. Fra questi l’avvocato e deputato toscano Giovanni Rosadi che gli chiese se lo riconoscesse. Senza aprire gli occhi, Passannante gli rispose: «Tutti ci conosciamo perché tutti siamo fratelli; e le donne sono nostre sorelle; ma sono ingiustamente dimenticate; infatti si dice umanità e fratellanza, mentre si dovrebbe dire anche donneittà e sorellanza» (G. Rosadi, Tra la perduta gente, Firenze 1908, p. 313).
Ormai cieco, morì a Montelupo Fiorentino il 14 febbraio 1910.
Il cranio e il cervello furono staccati dal corpo e conservati nel manicomio e in seguito presso l’Istituto superiore di polizia. Il 28 febbraio 1936 vennero trasferiti nel Museo criminologico di Roma, dove rimasero esposti per settant’anni. Nel maggio 2007, in seguito a un’ampia mobilitazione, i resti di Passannante furono sepolti a Savoia di Lucania.
Scritti: Passannante ha lasciato dei quaderni di appunti, a cui teneva molto. Sono composizioni di un autodidatta che parlava dialetto, non conosceva la grammatica italiana e non usava la punteggiatura. Obiettivo di Passannante era «la pace generale» (Ricordo per l’avvenire. Al popolo universale, Salerno 1879, in G. P. Processo per attentato regicidio, cit., p. 112), la cui bandiera fu innalzata per primo da Gesù Cristo con il suo sangue. La rivoluzione napoletana del 1799 abolì «il potere baronale, e servile della signoria» (ibid., p. 113); la rivoluzione del 1860 al contrario aveva cambiato «la sorte delle strade ma non quella delle popolazioni» (ibid., p. 122). I repubblicani dovevano dar vita a una federazione di comuni, di province e di Stati, fino a organizzare una «società universale» o «repubblica universale» (ibid., p. 119). Lavoro e assistenza per tutti; abolizione della pena di morte; bandite le guerre nazionali; disarmo. Esempi storici erano tratti dalla storia romana, come Bruto, Muzio Scevola, Lucrezia, Attilio Regolo, Fabio, Cincinnato; dalle rivolte del Mezzogiorno, e da personaggi come Masaniello «onesto eroe amalfitano» e Giovanni da Procida «eroe salernitano» (ibid.); da figure religiose come Gesù Cristo; dalla storia repubblicana e in primo luogo da Mazzini.
Fonti e Bibl.: Notizie sulla famiglia di Passanante e sulla sua vita sono rinvenibili nel volume, basato sulla relazione del medico Vincenzo Cavalli, di G. Virgilio, P. e la natura morbosa del delitto, Roma 1888, pp. 12-17; nella perizia medico-legale con relazione di Augusto Tamburini (pubblicata in Sullo stato di mente di G. P. Tentativo di regicidio, cit., pp. 170-189); negli interrogatori dal momento dell’arresto al processo (G. P. Processo per attentato regicidio, cit., pp. 79-112); negli interrogatori dell’accusato e dei testi negli atti processuali alla corte di assise di Napoli (Archivio di Stato di Napoli, Corte d’appello. Processi politici, b. 15, f. 104 bis). La biografia più aggiornata è opera di Giuseppe Galzerano, G. P. La vita, l’attentato, il processo, la condanna a morte, la grazia ‘regale’ e gli anni di galera del cuoco lucano che nel 1878 ruppe l’incantesimo monarchico, Casalvelino Scalo 2004; vi sono riportati molti documenti, fra i quali: la perizia medico-legale (pp. 393-410), la requisitoria del procuratore generale La Francesca (pp. 470-484), il discorso dell’avvocato difensore Tarantini (pp. 485-498), scritti di Passannante (pp. 685-741) e il suo il testamento del 7 settembre 1870 (p. 685). Il testo dell’accusa del procuratore generale del re, datato 3 marzo 1871, per «affissione in un luogo pubblico della città di Salerno (Strada Capo di Piazza) di uno scritto eccitante il popolo alla rivolta per proclamare la repubblica universale», è riprodotto in A. Parente, G. P. anarchico o mattoide?, Roma 1989, app. 10; il testo del Rapporto dei periti sullo stato di mente di G. P., s.d., ibid., app. 3.
Manifesti pubblicati dalle associazioni internazionaliste nel corso del 1878 sono in La Federazione italiana della Associazione Internazionale dei Lavoratori. Atti ufficiali 1871-1880, a cura di P.C. Masini, Milano 1964, pp. 318-320. Sull’attentato a re Umberto I, si vedano: G.M. Campanella, G. P. Benedetto Cairoli Umberto Primo, London s.d.; U. Alfassio Grimaldi, Il re ‘buono’, Milano 1973, pp. 138-162; C. Brice, Communiquer sur la violence politique: autour d’une tentative d’assassinat du roi d’Italie, Humbert Ier (1878), in Entre violence et conciliation. La résolution des conflits sociopolitiques en Europe au XIXe siècle, a cura di J.-C. Caron - F. Chavaud - E. Fureix - J.-N. Luc, Rennes 2008, pp. 85-98; P. Brunello, Storie di anarchici e di spie. Polizia e politica nell’Italia liberale, Roma 2009, pp. 70-74; C. Brice, Monarchie et identité nationale en Italie (1861-1900), Paris 2010, pp. 300-303. Sul processo, si veda G. Porcaro, Processo a un anarchico a Napoli nel 1878 (G. P.), Napoli 1975. Il dibattimento processuale alla corte di assise di Napoli fu seguito con ampiezza da parecchi quotidiani e riviste illustrate; La Gazzetta piemontese (8-10 marzo 1879) pubblicò sia le cronache di un inviato, sia i resoconti stenografici (www.archivio. stampa.it). Gli atti processuali sono riprodotti anche in G. P. Processo per attentato regicidio, cit., pp. 3-77.
Cesare Lombroso inserì Passannante fra i «mattoidi di genio con idee utopistiche e politiche» (Considerazioni al Processo P., Napoli 1879, p. 44), e qualche anno dopo fra «i profeti e i rivoluzionari» assieme a Davide Lazzaretti, dal momento che «l’originalità [… ] è propria dei geni e dei pazzi, e più ancora di quelli che sono l’uno e l’altro insieme» (Genio e follia in rapporto alla medicina legale, alla critica ed alla storia, Torino 1882, p. 175, ora in Delitto, genio, follia. Scritti scelti, a cura di D. Castelnuovo Frigessi - F. Giacanelli - L. Mangoni, Torino 1995, p. 545). Su questo punto si veda P. Rossi, Reato politico e scuola positiva: il caso di G. P., in Archivio trentino. Rivista interdisciplinare di studi sull’età moderna e contemporanea, XX (2010), 2, pp. 31-70. Anna Maria Mozzoni, che accompagnò Bertani nella visita al penitenziario nell’isola d’Elba, ne fece un resoconto (Ricordi e note dell’isola d’Elba. IV, in Critica sociale, 10 maggio 1891, pp. 106-108); anche l’avvocato Giovanni Rosadi raccontò la visita al manicomio di Montelupo Fiorentino (Tra la perduta gente, Firenze 1908, pp. 313-318). Sulla detenzione a Portoferraio, si veda il paper di Paola Rossi, La relegazione a Portoferraio (31 marzo 1879 - 20 maggio 1889), marzo 2010, consultabile sul sito web del Circolo culturale Sandro Pertini dell’Elba (http://www.circolopertinielba.org/pdf-docs/memoria/portoferraio%20tesi.pdf).
Importante per la mobilitazione che ha portato alla sepoltura dei resti di Passannante è stato lo spettacolo teatrale di Ulderico Pesce, L’innaffiatore del cervello di P. L’anarchico che tentò di uccidere Umberto I di Savoia (Possidente - Potenza 2003), a cui è ispirato il film Passannante (2011), diretto da Sergio Colabona, interpretato da Fabio Troiano, prodotto da FarFilms di Donatella Palermo e distribuito da Emme Cinematografica con la colonna sonora del gruppo musicale folk rock Têtes de Bois, il cui leader Andrea Satta partecipa alla pellicola anche in veste di attore.