MAGGINI, Giovanni Paolo
Nacque a Botticino Sera, nei pressi di Brescia, ove venne battezzato il 25 ag. 1580, da Giovanni e Giulia, della quale è ignoto il cognome.
La famiglia era originaria del luogo e non risulta avesse alcun rapporto con la liuteria. Benestanti e proprietari di diversi beni terrieri, probabilmente i Maggini erano di estrazione e cultura contadina. Il padre del M. era già in età piuttosto avanzata, mentre Giulia, sua madre, era molto più giovane. La coppia aveva diversi figli. Dopo pochi anni dalla nascita del M. la famiglia si trasferì a Brescia: una polizza d'estimo del 1588 dimostra, infatti, come a questa data abitassero ormai in città, dove il fratello maggiore del M., Bertolino, esercitava l'attività di calzolaio (cfr. Berenzi).
Alla fine del '500 Brescia era già da tempo un centro rinomato per la costruzione di strumenti ad arco e i prodotti degli artigiani locali, molto richiesti e ricercati, venivano esportati in tutta Europa. Centro indiscusso dell'attività liutaria era la bottega di Gasparo Bertolotti da Salò, la principale della città per qualità e quantità della produzione, probabilmente seconda in Italia soltanto a quella cremonese della famiglia Amati. Dopo essersi trasferito in città, il M. entrò come garzone nel laboratorio di Gasparo. Fortuite testimonianze gettano luce su questa situazione: con particolare riferimento ad alcuni atti redatti dal notaio Gio. Pietro Sandrinelli (Livi, 1896, p. 45).
Tali atti vedono il M. chiamato a presenziare in veste di testimone e come tale è chiaramente identificato; tra i suoi dati personali viene regolarmente indicata la posizione professionale di assistente di Gasparo. Il più antico di questi atti è il testamento di una donna risalente al 6 marzo 1598 (ibid., p. 57), ed è pertanto certo che almeno da questa data il M. lavorasse con Gasparo, ma è presumibile che la sua collaborazione durasse già da qualche anno, dato che i ragazzi destinati a svolgere un apprendistato venivano normalmente accettati in bottega nell'età della prima adolescenza, se non prima.
Il 15 maggio 1604 il M. era ancora garzone di Gasparo e presenziò a un ennesimo atto insieme con un condiscepolo, Giacomo Lafranchini (Livi, 1891, p. 14).
Senza dubbio, nei primi anni del '600 il M. si era ormai solidamente impadronito delle tecniche costruttive del maestro, del suo stile e della sua concezione degli strumenti, ed era in grado di mettersi in proprio. Nel 1607 acquistò una casa con bottega in contrada del palazzo vecchio del Podestà (ora via Dante) e, almeno a partire da questa data, pare certo che egli abbia avviato un suo laboratorio. I rapporti con l'anziano maestro paiono essere rimasti molto buoni, al punto che il figlio di Gasparo, Francesco, divenne forse per un breve periodo socio in affari del Maggini. Entro pochi anni la sua bottega prese il posto in precedenza occupato da quella del maestro (morto nel 1609) e divenne la più importante di Brescia, punto di riferimento per un mercato non soltanto locale.
Nel 1615 il M. sposò Anna Foresti, figlia di un pellicciaio, e ricevette dal suocero una cospicua dote, registrata con atto notarile (Livi, 1896, p. 59). Questo matrimonio con una donna di famiglia agiata testimonia lo status sociale ormai raggiunto dal M., e diversi altri documenti (principalmente notarili) comprovano la solidità della sua condizione economica, in parte forse derivante dall'eredità paterna, ma senza dubbio principalmente basata sull'attività professionale come liutaio. Particolarmente interessanti si rivelano due polizze d'estimo, rispettivamente del 1617 e del 1626: nella prima il M. si definisce "maestro di violini" e dichiara di avere un lavorante pagato 180 lire annue; nella seconda si afferma che la paga del dipendente è aumentata a 300 lire (Berenzi). Questi è quasi certamente da identificare con il già citato Lafranchini che aveva presenziato come testimone alle nozze del M. e, a quella data, abitava nella sua casa. Non più allievo, viene definito "magistro a violinis": ciò che sottintende il suo status professionale come artigiano iscritto a una corporazione. Pare quindi che il M. fosse titolare dell'attività e che avesse alle sue dipendenze un altro maestro liutaio, caso praticamente unico nel panorama della liuteria italiana dell'epoca. Le due polizze riportano anche una valutazione della consistenza del magazzino dell'attività: nel 1617 100 lire, nel 1626 150 lire, "in mercantia di violini, lignami et cordi di essi violini". Un altro indizio della crescente disponibilità economica del M. è il suo acquisto, nel 1622, di una casa con bottega di maggiori dimensioni, sita nella contrada delle Bombaserie a Sant'Agata, ora piazza Vittoria, dove venne anche spostata la bottega.
L'ultimo documento in cui il M. risulta ancora vivente risale al 5 luglio 1630, quando morì uno dei suoi due figli gemelli nati appena due mesi prima (Ravasio, 1990, p. 38).
La morte del M. deve essere collocata tra questa data e i primi mesi del 1632.
In questo periodo Brescia fu devastata dalla peste, e questa viene tradizionalmente considerata la causa della sua morte, senza tuttavia che esista alcuna prova certa.
Dei dieci figli avuti dalla moglie, diversi gli sopravvissero, ma nessuno esercitò il mestiere di liutaio e pare probabile che la bottega venne definitivamente chiusa già al momento della sua morte: la polizza d'estimo del 1632 (Berenzi) è intestata al figlio Carlo, allora solo un bambino, ma successivamente questi risulta essersi dedicato al commercio della seta. È dunque priva di fondamento la notizia, comune nella bibliografia liutaria ottocentesca, di una produzione bresciana nella parte centrale del XVII secolo attribuita a un figlio del Maggini.
L'abbondanza di documentazione d'archivio che lo riguarda rende il M. un liutaio relativamente ben conosciuto dal punto di vista storico. Purtroppo, nessuno degli atti notarili rinvenuti si riferisce a transazioni nel campo degli strumenti musicali o all'attività della bottega e le indicazioni delle polizze d'estimo sono di sicuro interesse ma forniscono informazioni alquanto limitate. Si è suggerita un'attività del M. come commerciante di strumenti in parallelo a quella di liutaio, ma questa ipotesi non pare al momento suffragata da alcuna prova. La nostra conoscenza del M. come liutaio deriva dallo studio dei suoi strumenti.
Il M. operò in un periodo in cui il violino era ancora uno strumento dalle dimensioni e dal carattere musicale non compiutamente stabiliti. Con la sua opera egli contribuì alla definizione della morfologia di questo strumento e degli altri della sua famiglia. A giudicare dalla quantità relativamente abbondante di strumenti a lui attribuiti giunti fino ai nostri giorni, il M. fu un liutaio molto produttivo, anche in considerazione della brevità dell'arco temporale della sua carriera. Catalogare la sua produzione è molto difficile, anche perché nelle poche etichette ritenute originali non si trovano indicazioni circa la data di costruzione degli strumenti.
Da un punto di vista stilistico, il M. fu un continuatore della linea aperta dal suo maestro, Gasparo da Salò: i suoi modelli sono di dimensioni generose, con casse armoniche caratterizzate da una parte centrale piuttosto allungata, resa ancora più evidente dall'andamento delle "c", che non tendono a richiudersi, ma vengono lasciate aperte dalle punte piccole e corte. I fori armonici sono in genere piuttosto lunghi, con palette strette e occhi superiori a volte più grandi di quelli inferiori. Il M. sperimentò diversi posizionamenti per le "f", avvicinandole al bordo e aumentandone l'inclinazione verso la mezzeria dello strumento. Tipiche sono anche le sue bombature, molto piene e addirittura leggermente rigonfie nella zona terminale superiore e inferiore della cassa. Frequente pare essere stato l'uso di un filetto doppio, spesso impreziosito da ulteriori decorazioni a intarsio sul fondo degli strumenti. Le teste sono a volte scolpite in maniera non precisa e terminano rapidamente nell'occhio centrale, presentando una voluta accorciata rispetto a quelle cremonesi. La vernice è invariabilmente di colore bruno e di pasta consistente, il legno di aspetto non sempre ottimo.
La caratteristica che contraddistingue le opere del M. è un senso di forza dell'insieme, riscontrabile nell'aspetto esteriore degli strumenti ma anche nelle loro qualità acustiche, ed è evidente l'attenzione per la resa musicale dei suoi lavori. Molti musicisti apprezzano la sonorità caratteristica delle opere del M., che presentano una voce forte e profonda, dal timbro solitamente scuro ma di straordinaria ricchezza. Oltre ai violini, molto ricercate sono anche le sue viole, in genere ridotte rispetto al grande formato originario.
Il M. ebbe una carriera molto fortunata. Egli occupò il posto in precedenza del suo maestro come punto di riferimento per la produzione di violini a Brescia. Tuttavia non sappiamo se ebbe allievi diretti, e in effetti la sua morte coincise con un subitaneo, drammatico declino della liuteria bresciana. Nondimeno, la sua influenza sulla liuteria successiva fu straordinaria: già nel corso del Seicento i suoi strumenti furono copiati e presi a modello da vari liutai e soprattutto a partire dal primo Ottocento ebbe inizio una produzione di copie più o meno fedeli, generalmente di facile identificazione e spesso di modesta o infima qualità. Mentre questa semplice imitazione dei suoi strumenti ha avuto un esito importante solo da un punto di vista quantitativo, dato l'altissimo numero di copie in circolazione, decisamente più rilevante fu il contributo derivante dallo sviluppo da parte di altri liutai di idee riscontrabili nello stile del Maggini. In particolare, si è soliti vedere uno spunto magginiano nello sviluppo da parte di Antonio Stradivari della sua celebre "forma lunga" ("long pattern"), il modello utilizzato dal maestro cremonese per i violini nel suo periodo di distacco dallo stile di Amati, nell'ultimo decennio del Seicento. Ancora più rilevante appare l'influenza del M. sull'opera della maturità di Giuseppe Guarneri del Gesù, tra 1730 e 1744: in questo caso i modelli bresciani sono riscontrabili particolarmente nella modalità di sviluppo delle bombature, ma un'ispirazione magginiana pare anche sottostare alla ricerca di Guarneri per nuovi profili di fori armonici, disegnati su modelli originali del tutto differenti da quelli classici della tradizione cremonese. Non a caso, anche per caratteristiche sonore gli ultimi strumenti di Guarneri si possono avvicinare ai migliori esiti della tarda scuola bresciana.
Fonti e Bibl.: A. Berenzi, Di G.P. M., celebre liutaio bresciano, Brescia 1890; C. Lozzi, I liutai bresciani e l'invenzione del violino, in Gazz. musicale di Milano, L (1891), pp. 1-28 (estratto); G. Livi, Gasparo da Salò e l'invenzione del violino, in Nuova Antologia, 16 ag. 1891, pp. 1-19 (estratto); M.L. Huggins, G.P. M.: his life and work, London 1892; G. Livi, I liutai bresciani, Milano 1896, pp. 45, 57, 59; U. Ravasio, I liutai, in Gasparo da Salò e la liuteria bresciana tra Rinascimento e Barocco (catal.), a cura di F. Dassenno - U. Ravasio, Cremona 1990, pp. 29-43; B. Falconi - U. Ravasio, Regesto di documenti gaspariani 1563-1624, ibid., pp. 83-91; U. Ravasio, Vecchio e nuovo nella ricerca documentaria su Gasparo da Salò e la liuteria bresciana, in Liuteria e musica strumentale a Brescia tra Cinque e Seicento. Atti del Convegno, Salò, 1990, Brescia 1992, pp. 25-43; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, IV, pp. 569 s.; The New Grove Dict. of music and musicians, XV, pp. 582 s.; Die Musik in Geschichte und Gegenwart (ed. 2004), XI, Personenteil, coll. 800 s.