ORDELAFFI, Giovanni
ORDELAFFI, Giovanni. – Nacque a Forlì, intorno al 1350, da Ludovico Ordelaffi e da Caterina Malatesta, figlia di Malatesta detto Guastafamiglia, signore di Rimini.
Nonno di Giovanni era Francesco (II), signore di Forlì, Cesena e Forlimpopoli, che nel 1350 aveva appena ripreso una politica di forte ostilità nei confronti della Chiesa. Il padre Ludovico era, per così dire, l’astro nascente degli Ordelaffi, cui era affidato il comando delle spedizioni condotte contro i castelli soggetti al papato e ai suoi alleati. Morto nel 1356 Ludovico, nell’aprile 1357 Cesena, che era stata affidata a Cia Ubaldini, moglie di Francesco, si ribellò. Gli Ordelaffi resistettero finché poterono all’assedio delle truppe del legato papale Egidio de Albornoz, giunte in soccorso degli insorti, ritirandosi prima nella Murata e poi nella rocca di Cesena: infine il 21 giugno furono costretti ad arrendersi. Cia, suo figlio minore Sinibaldo e i due nipoti, Giovanni e il fratello Tebaldo, furono fatti prigionieri dal cardinale; furono liberati soltanto nel luglio 1359, quando Francesco consentì ad Albornoz di entrare a Forlì e rinunciò alla signoria sulla città.
Non si hanno informazioni sulla vita di Giovanni negli anni che seguirono. Sia il nonno Francesco sia lo zio Sinibaldo si dedicarono al mestiere delle armi, al servizio in particolare dei Visconti e di Venezia. È certo che anche Giovanni, il fratello Tebaldo e i due cugini Cecco (Francesco III) e Pino ricevettero un’educazione militare. Fu probabilmente in quegli anni che la sorella di Giovanni fu data in sposa a uno dei tanti figli naturali di Bernabò Visconti, di nome Sagramoro.
Nel 1375 gli Ordelaffi riuscirono a rientrare a Forlì e Sinibaldo assunse la signoria sulla città. Le cronache ricordano al fianco dello zio Cecco e Pino, ma non Giovanni, che probabilmente si trovava impegnato su qualche fronte bellico. La sua assenza non indica comunque che tra lui e Sinibaldo non corressero buoni rapporti. Alla fine del 1378, anzi, Giovanni agì come procuratore dello zio nelle trattative con papa Urbano VI che portarono, all’inizio dell’anno successivo, alla riconciliazione degli Ordelaffi con il papato e alla concessione a Sinibaldo del vicariato apostolico.
Alla fine del Trecento nell’Italia centrosettentrionale si scontravano con intensità crescente i progetti espansionistici delle maggiori realtà politiche – i Visconti di Milano, Venezia, Firenze, il papato – con la rete sempre più ampia e complessa dei loro alleati e aderenti. La domanda di soldati di professione era in continuo aumento e le potenze si contendevano i condottieri più abili. Molti dei più celebri condottieri erano stranieri, ma sempre più numerosi, negli ultimi decenni del XIV secolo, furono anche gli italiani, provenienti soprattutto dalla piccola e media nobiltà rurale, dalle aristocrazie urbane e da famiglie, come appunto gli Ordelaffi, titolari di piccole signorie monocittadine, che tentavano di sopravvivere a una competizione regionale sempre più dura. Per questi ultimi le condotte erano una fonte di guadagno – l’imitazione dei modelli principeschi delle grandi corti richiedeva notevoli risorse economiche – ma anche uno strumento per creare e consolidare una rete di relazioni e di amicizie che potevano essere fondamentali nei frequenti momenti di difficoltà e rovesci politici.
I nipoti del signore di Forlì continuarono perciò anche dopo il ritorno della famiglia al potere a porre le proprie competenze militari al servizio delle maggiori potenze. Nel 1379 Cecco comandò le truppe veneziane nella guerra di Chioggia, che vide scontrarsi Venezia da una parte e, dall’altra, Genova sostenuta dai da Carrara signori di Padova. Del resto il nonno Francesco (II) aveva trascorso gli ultimi anni proprio al servizio della Serenissima. Secondo alcuni storici locali anche Giovanni Ordelaffi avrebbe combattuto nella guerra di Chioggia, ma in realtà il suo nome non è ricordato nelle cronache.
Nel 1382 Giovanni fu chiamato come senatore a Siena, carica corrispondente al ‘conservatore del buono e pacifico stato’ (o denominazioni simili) di altre città: un ufficiale forestiero con prerogative di rilievo, connesse in particolare con la tutela dell’ordine pubblico e la prevenzione e la repressione dei disordini politici. Poco dopo, tuttavia, fu congedato dal governo senese per il suo comportamento non consono al ruolo che ricopriva. Un suo litigio con il podestà di Siena, a quanto sembra per futili motivi, aveva provocato una rissa tra le rispettive familie, che si era conclusa con la morte di un membro dell’entourage di Ordelaffi. Quest’ultimo, nonostante, su pressione delle autorità senesi, avesse accettato di pacificarsi con l’avversario, pochi giorni dopo si era vendicato, facendo uccidere un conestabile del podestà.
Nel 1385 Sinibaldo venne deposto da una congiura ordita dai nipoti Cecco e Pino e incarcerato nella rocca di Ravaldino. A Giovanni, che a quanto sembra aveva rapporti particolarmente buoni con lo zio, i cugini preclusero il ritorno a Forlì. Nel luglio dell’anno successivo, con l’appoggio secondo le cronache di molti cittadini, accompagnato dal condottiero Corrado Lando e dai suoi soldati, egli organizzò un complotto per rientrare in città, liberare lo zio e riportarlo al potere. Il piano fu però scoperto e sventato e Sinibaldo in novembre morì prigioniero.
Nel 1386, intanto, si era riattivato uno dei tanti focolai di tensione nell’Italia del Nord. Antonio della Scala signore di Verona, nel tentativo di rafforzare la sua posizione nella regione, si inserì nel conflitto tra Venezia e Francesco da Carrara signore di Padova, schierandosi contro quest’ultimo. Lo scontro decisivo si svolse l’11 marzo 1387 sul Castagnaro, un canale emissario del fiume Adige. Il signore di Padova poteva contare sul grande condottiero inglese Giovanni Acuto e su altri capitani italiani di prim’ordine, come Giovanni Ubaldini. Capitano generale delle truppe scaligere era invece proprio Giovanni Ordelaffi, e con lui combattevano Ostasio da Polenta e i due fratelli Ugolino e Taddeo dal Verme, insieme ad altri condottieri. L’epica battaglia, che conobbe ampia risonanza nelle fonti dell’epoca, si risolse a favore dei Carraresi, grazie soprattutto all’abilità strategica di Giovanni Acuto. Ordelaffi, da Polenta, dal Verme e gli altri capitani del fronte scaligero furono presi prigionieri, insieme a migliaia di soldati.
Nell’ottobre 1387 Gian Galeazzo Visconti, alleato di Francesco da Carrara, ne approfittò per occupare Verona e poi Vicenza. Come capitano generale nominò Giovanni Ubaldini, al quale si unirono vari nobili, tra i quali lo stesso Giovanni Ordelaffi, che evidentemente era stato liberato con l’impegno di combattere al servizio dei Visconti. Le truppe al comando di Ubaldini si acquartierarono nel Bolognese, probabilmente su ordine di Gian Galeazzo, che non aveva abbandonato l’ambizione di impadronirsi di Bologna. Non è del tutto chiaro ciò che accadde in seguito: alla fine del 1387 gli uomini di Ubaldini si volsero contro Forlì, con l’intenzione di rovesciare il regime di Cecco e Pino e insediarvi Giovanni Ordelaffi. Da quel momento la compagnia non sembra più ubbidire agli ordini di Gian Galeazzo, in quanto i condottieri perseguivano ormai i propri obiettivi personali. Fallito l’assalto a Forlì, i soldati attaccarono i castelli degli Ordelaffi, Oriolo, Fiumana e le Caminate, sui quali Giovanni rivendicava diritti ereditari, e poi, non avendo ottenuto alcun successo ed essendo andato a vuoto il tentativo di restaurare Ordelaffi nei suoi domini, si spostarono nel Ravennate e nel Cesenate, mirando soprattutto al bottino, ed espugnarono e saccheggiarono vari castelli. Cercarono poi di occupare Santarcangelo e Longiano, ma furono costretti a ritirarsi verso Bertinoro e poi verso Ravenna. Insorsero allora gravi dissensi tra Giovanni e Ubaldini; Ordelaffi abbandonò la compagnia – che si sciolse poco dopo – e si pose al servizio dei Malatesta.
È molto difficile seguire gli spostamenti di Giovanni negli ultimi dieci anni della sua vita. Le compagnie di ventura si scomponevano e ricomponevano in continuazione, i condottieri attraversavano l’Italia alla ricerca del miglior ingaggio, o del bottino più ricco. Per un certo periodo Ordelaffi compare nella compagnia del guascone Bertrando della Sala e dei suoi terribili bretoni – alla quale si era unito un altro celebre condottiero, Giovanni Beltoft – che tra il 1388 e il 1389 devastò l’Umbria e la Toscana. Poi sembra che Giovanni tornasse a operare sul fronte romagnolo.
Nel 1399, finalmente, i due cugini Pino e Cecco gli consentirono di tornare a Forlì; ma Giovanni era già malato, e morì nel corso di quello stesso anno.
Fonti e Bibl.: Cronache senesi, a cura di A. Lisini - F. Iacometti, in Rer. Ital. Script., II ed., XV, 6, pp. 692 s., 725; Galeazzo e Bartolomeo Gatari, Cronaca carrarese, a cura di R. Cessi, ibid., XVII, 1, pp. 236, 244, 259-261, 266-276; Annales Forolivienses ab origine urbis ad a. 1473, a cura di G. Mazzatinti, ibid., XXII, 2, pp. 73 s.; Giovanni di maestro Pedrino depintore, Cronica del suo tempo, a cura di G. Borghezio - M. Vattasso, Città del Vaticano 1934, II, App. II, pp. 439 s., 470 s.; Annales Caesenates, a cura di E. Angiolini, Roma 2003 («Fonti per la storia dell’Italia medievale. Antiquitates», 21), pp. 192-194. Si veda inoltre: P. Bonoli, Storia di Forlì, II, Forlì 1826, pp. 22 s.; E. Balzani Maltoni, La signoria di Francesco O., in Studi romagnoli, XV (1964), pp. 233-276; I. Walter, voce Beltoft, Giovanni, in Dizionario biografico degli Italiani, VIII, Roma 1966, pp. 52-54; G. Pecci, Gli O., con testo riveduto, note, aggiunte e appendice di M. Tabanelli, Faenza 1974, ad ind.; Storia di Forlì, II, Il Medioevo, a cura di A. Vasina, Bologna 1990, p. 173; D. Balestracci, Le armi, i cavalli, l’oro. Giovanni Acuto e i condottieri nell’Italia del Trecento, Roma-Bari 2003, pp. 175, 178 s.