OMICCIOLI, Giovanni
OMICCIOLI, Giovanni. – Nacque a Roma il 25 febbraio 1901 da Abilio e da Zelinda Ercolani, primogenito di una famiglia molto numerosa.
Frequentò le scuole fino alla terza elementare, con scarso impegno. Già nel 1911 lavorava come apprendista meccanico nell’officina di un amico di famiglia e dall’anno seguente, insieme ai fratelli, iniziò ad aiutare il padre nel mestiere di imballatore, per il quale era molto conosciuto fra gli artisti di via Margutta a Roma (Biografia, 1986, p. 91).
A partire dal 1933 stabilì una profonda amicizia con Mario Mafai, del quale inizialmente subì l’influenza, ed entrò in contatto con gli esponenti della Scuola romana, ricevendo apprezzamenti anche da Felice Carena, Filippo De Pisis e Armando Spadini. Dal 1934, insieme ad altri cultori e artigiani romani che coltivavano la pittura per passione, iniziò a dipingere vari paesaggi romani, come il Tevere, Grotta Rossa e Monte Mario (Ciarletta, 1975, pp. 9-11, 123).
La critica ha rintracciato nei suoi lavori influenze di Maurice Utrillo, soprattutto in alcune vedute urbane, e di Maurice de Vlaminck, senza riconoscere però debiti fondamentali verso nessun artista o corrente in particolare (Giacomozzi, 1985, p. 7).
Alla fine degli anni Trenta iniziò un’attività espositiva costante: nel 1937, a Roma, partecipò alla IV Mostra del sindacato fascista di belle arti e tenne la prima personale alla galleria Apollo (G. O., 1937, pp. n.n.). Nel 1939 fu chiamato alle armi e assegnato a un reggimento di artiglieria a Piacenza, dal quale si congedò nel 1941 (Il libro…, 1982, pp. 67-73).
Nel 1940, alla sua prima Biennale di Venezia (vi tornò poi dal 1948 al 1954), per il concorso del ritratto, presentò Anna (1939; opera andata distrutta a Milano nel 1943 durante un bombardamento, ripr. in Giacomozzi, 1985, p. 10), rivelando l’abilità di rendere l’espressività del volto, il vestito e il bouquet di fiori con rapide pennellate e spessi tocchi di colore, prima prova di una ritrattistica che si mosse sempre fra un’aspra veridicità descrittiva e un lirismo dai tratti linguistici meno concitati (ibid., p. 14 s.). Nel 1941 tenne una personale alla galleria di Roma e prese parte al premio Bergamo (come anche l’anno seguente).
I lavori dal 1941 al 1945 rappresentano le vicende sociali dei quartieri pieni di sfollati e dei ghetti, dipinte con pennellate che risentono della pittura espressionista, come nella famosa serie degli Orti ubicati all’altezza del civico 35 in via Flaminia, dove oggi è piazzale della Marina, influenzati, secondo la critica, dalle serie di Mafai delle Demolizioni e dei Mercatini (Sinisgalli, 1986, p. 83). Erano gli ambienti fatti di baracche, che gli diedero rifugio durante il periodo della Resistenza, con la quale dichiarò di aver collaborato (Il libro…, 1982, pp. 124, 127, 132-134), e nei quali si immergeva non solo per partecipare alla vita dei poveri, ma anche, come raccontava egli stesso, per osservare la vita dei bruchi e delle lumache (Sinisgalli, 1968, p. 83).
Da alcune di queste opere emerge la conoscenza della pittura di Paul Cézanne: Omiccioli appare interessato alla macchia più che al volume, oltre che al tema della povertà sociale, ma senza un’esplicita denuncia (Ciarletta, 1975, p. 20). In Orto n. 50 (1944; Roma, collezione Bruno Sargentini, ripr. ibid., p. 14) la pittura, stesa quasi ovunque a larghe pennellate, si interrompe nella definizione più precisa della figura umana e di un fiore, posti rispettivamente al centro del quadro e sulla linea mediana, in primo piano. In Omiccioli, come rileva la critica, non c’è il dramma della pittura di Vincent Van Gogh, artista che studiava con molto zelo, come è evidente in Studio da Van Gogh (1953; Ancona, collezione Stefania e Fabio Gioia; ripr. ibid., p. 15), ma più spesso un sentimento fiabesco.
Nei primi anni Quaranta, insieme a Giulio Turcato, Ettore Colla e Antonio Scordia, frequentava lo studio dello scultore Giuseppe Mazzullo, riferimento per i giovani artisti romani non legati al regime. Nel 1943 dipinse l’olio Tre partigiani impiccati (Roma, collezione privata; ripr. in O., 1979, p. 37) e tenne un’altra personale a Roma, alla galleria Minima il Babuino nella quale riscosse un certo successo fra artisti, critici e appassionati d’arte, con vendite comunque molto scarse (Il libro…, 1982, pp. 96-99). Nel 1944 espose a La Campana e nel 1945, con Mafai, Renato Guttuso e Afro Basaldella, realizzò la prima testata del quotidiano L’Unità; con l’olio Fucilazione di Bruno Buozzi a La Storta (1944; Roma, collezione privata; ripr. in O., 1979, p. 43) partecipò alla Mostra dell’arte contro le barbarie organizzata dal quotidiano alla Galleria di Roma.
Conclusa la serie degli Orti nel 1945, per i successivi cinque anni dipinse scene di miseria a ponte Milvio: Strada a ponte Milvio (1949; Galleria civica di Gallarate) e Ponte Milvio (1950; Messina, collezione Irrera; entrambi riprodotti in Ciarletta, 1975, pp. 256, 247) sono scorci di vie urbane con pochi passanti e persone intente a trasportare le loro povere merci.
Questi scenari gli forniscono il tema per una pittura memore della lezione impressionista, per la resa delle fronde, e della pittura fauve, che dichiarava di apprezzare nelle prove di Albert Marquet e Raoul Dufy (Il libro…, 1982, p. 144), per la linearità nervosa dei fusti degli alberi. Nell’ultima opera si accenna al motivo della trasformazione dei ritmi urbani, attraverso la rappresentazione dei tre principali modi di spostarsi delle classi sociali non privilegiate: a piedi, con il carretto e con il tram, in uno spazio vuoto di persone, ma ravvivato da squillanti colori caldi e contrasti cromatici vivaci di rossi, blu e gialli nelle insegne delle botteghe, che formano piccole aree di pittura quasi astratta nel complesso figurativo della scena.
Nel 1946, quando dipinse l’olio su cartone Demolizione del cinema americano (Roma, collezione privata; ripr. in O., 1979, p. 51), dove ancora è presente il ricordo delle demolizioni di Mafai, espose a Roma nelle gallerie La prora e Il cortile (Il libro…, 1982, p. 100 s.); a Venezia ricevette il premio La Colomba, presso l’omonima trattoria, da una giuria in cui spiccavano i nomi di Virgilio Guidi e De Pisis (Russo, 1983, p. 14).
Nel 1947 tenne una personale alla galleria del Naviglio di Milano e a Torino alla libreria del Bosco. Nel 1948 espose alla Quadriennale di Roma (come poi anche nelle tre edizioni dal 1956 al 1965), tenne una personale alla galleria del Secolo a Roma e realizzò decine di dipinti che ritraggono il circo Amar, installato alla Passeggiata archeologica (Il libro…, 1982, p. 129).
Sempre nel 1948 realizzò alcuni collage con scene di vita urbana (ripr. in Venturoli, 1969, pp. 55-65), particolari della vegetazione, animali, tutti dotati di un intenso tono fiabesco e in alcuni casi con un linguaggio moderatamente influenzato dal cubismo, ma che lascia sempre chiaramente leggibile la scena rappresentata.
Dal 1949, anno in cui si susseguirono diverse personali tra Asti, Modena, Napoli e Roma, dipinse soggetti legati al paesaggio del Vercellese, ritrasse i barboni di porta Ticinese a Milano, in Svizzera e nei Paesi Bassi. Nel 1950 prese in affitto uno studio a via Margutta 51, tenne una mostra a Roma, presso lo studio d’arte Palma e, su incoraggiamento di Corrado Alvaro, poi si trasferì per due anni sui monti della Sila, in Calabria (Il libro…, 1982, p. 131). Nel 1951 espose a Legnano, alla galleria del Grattacielo (come anche nel 1955 e nel 1956), visitò Bucarest e altre città della Romania. L’anno seguente presentò i suoi dipinti a Milano alla galleria d’arte La colonna e a Roma alla galleria della Cassapanca.
Nell’estate del 1953 soggiornò a Pizzo Calabro (G. O., 1953), espose a Roma alla galleria il Pincio, vinse il premio Marzotto e dipinse l’olio Baracche sotto la neve (Napoli, collezione Magrassi, ripr. in Ciarletta, 1975, p. 269), esposto alla Biennale di Venezia l’anno seguente.
Nell’opera, che rappresenta un paesaggio innevato, la presenza umana è poco più di una macchia scura che interrompe cromaticamente il bianco dell’alta neve, completamente avvolta e dominata da una natura ostile, sotto un cielo minaccioso, con l’orizzonte totalmente chiuso da alcune baracche fatte di assi di legno, addossate una sull’altra.
Nel 1954, anno in cui tenne mostre alla galleria La Tartaruga di Roma e al palazzo della Provincia di Catanzaro, iniziò a rappresentare la desolazione del litorale laziale, fra Torvaianica e Passoscuro, un tema rimasto poi presente fino ai suoi ultimi anni. Nel 1955 espose alla galleria Il Pincio e si recò per la prima volta a Marzocca, vicino a Senigallia, nel villaggio dei pescatori, dove sarebbe tornato periodicamente fino al 1974. Nel 1956, fra le varie esposizioni, si segnalano quelle alla galleria alla Capannina di Porfiri di Roma, alla galleria del Ponte di Napoli e alla galleria del Vantaggio di Roma.
Nel 1957 gli fu organizzata una mostra alla Casa degli agricoltori a Ustica, e si dedicò a un’esplorazione capillare delle coste, delle rocce e della vegetazione dell’isola. Poi si recò a Tindari, Erice, Trapani, alle isole Egadi, Selinunte e Segesta, tutti paesaggi che resero più morbida la sua stesura pittorica, conferendo luminosità e trasparenza ai colori. Nel 1958 presentò i disegni e i dipinti che aveva appena realizzato in Sicilia alla galleria La Barcaccia (dove fu presente anche nel 1961 e nel 1963). Sempre nel 1958 espose a Napoli, alla galleria Medea, alla Russo di Roma (come poi nel 1960, 1965, 1967, 1972), e dipinse lo Studio per la crocifissione n. 1 (Musei Vaticani; ripr. in O., 1979, p. 97), donato nel 1970 a Paolo VI per la Collezione d’arte religiosa moderna. Nel 1959 espose alla galleria Gussoni di Milano (dove fu presente anche nel 1961) e si recò a Fiumicino, Scopello e in Valsesia. L’anno seguente visitò anche Scilla e Serravalle di San Marino, località che fu soggetto di alcune prove pittoriche di un lirismo che tende all’astrazione quasi totale.
Omaggio a Debussy (1960; collezione privata, ripr. in Ciarletta, 1975, p. 315) è una composizione ritmica che traduce il motivo del paesaggio in onde astratte e segmentate dai colori fra la terra e il cielo, con un alto orizzonte e un cielo nuvoloso nel quale il ritmo pittorico si distende senza alcuna increspatura cromatica. Analogamente in Campagna di Serravalle n. 1 (1960 circa; Cosenza, Cassa di risparmio di Calabria e Lucania, ripr. ibid.) il paesaggio collinare fornisce l’ispirazione per un sapiente uso dei verdi, dei gialli e dei rossi, in zone delicatamente sfumate, alternate ad altre più materiche, che evocano la vegetazione autunnale sotto un cielo in cui il sole ha appena lasciato traccia del suo passaggio. Alcune acqueforti e disegni coevi, come Balletto jazz n. 1 (1959; Roma, collezione privata, ripr. ibid., p. 101), sembrano partiture musicali, nelle quali è possibile rintracciare elementi quali le chiavi, le note, tracce di pentagrammi, appartenenti al linguaggio sinfonico (l’inchiostro era distribuito sul foglio attraverso una serie di bacchette di legno con punte di vario diametro che aveva ricavato dagli stecchi dei gelati; Venturoli, 1969, p. 23).
Nel 1961 espose a Genova presso la galleria d’arte Rotta e a Verona alla galleria Mazzini, visitò Monaco, Darmstadt, Bonn e Francoforte. Nel 1962 a Firenze tenne una mostra alla galleria Spinetti e vinse la targa d’oro degli orafi al premio Fiorino; poi fu a Torino alla galleria d’arte Gissi e a Messina al Circolo della stampa. Nel 1963 presentò le sue opere a Belluno, presso la galleria Castello, e nel 1964 soggiornò a Rigutino, nei pressi di Arezzo. Nel 1965 una sua esposizione venne ospitata in Argentina dal Museo municipal de artes visuales di Santa Fe e l’anno seguente tenne diverse personali, fra le quali due a Bari, presso la sala consiliare del Comune e alla galleria d’arte la Vernice.
Nel 1966 espose a Roma alla galleria Astrolabio ed eseguì alcuni studi a inchiostro della sala degli Sposi di Andrea Mantegna nel Palazzo ducale di Mantova (ripr. in Ciarletta, 1975, p. 379). Nel 1967 a Parigi, dove visitò musei, gallerie e mostre, soprattutto dei maggiori pittori attivi in città nel XIX e nel XX secolo, eseguì schizzi di capolavori di maestri come Édouard Manet (ripr. ibid., 1975, p. 380), ma non apprezzò per nulla l’arte ambientale e minimal, con l’eccezione di Alexander Calder (Il libro…, 1982, pp. 146, 153-156). L’anno seguente tenne varie esposizioni in Italia e, in occasione della sua mostra itinerante in Unione Sovietica (1968-71) al Museo di belle arti Puškin, visitò Mosca, Leningrado, Vilnius e Riga.
Nel 1969, fra le varie esposizioni, si segnalano un’antologica con molte acqueforti alla galleria Astrolabio e alla galleria Borgognona a Roma. L’anno seguente tornò nuovamente a Scilla, per preparare la mostra Scilla 70, tenuta alla galleria la Barcaccia di Roma nel 1971.
I temi e gli oggetti dei suoi dipinti, sempre ripetuti, spesso hanno la funzione principale di far risaltare lo spazio (Ciarletta, 1975, p. 21), che in numerose opere dei primi anni Settanta appare come colore puro: gli unici elementi figurativi, che danno il titolo alle opere, servono soprattutto per evitare di collocarle nella pittura non figurativa. Pescatore di Cannelli (1973; Senigallia, collezione privata, ripr. ibid., 1975, p. 446), dove l’uomo è una piccolissima sagoma nera in un paesaggio dominato da un cielo e un mare completamente vuoti, è certamente memore della lezione turneriana, ma anche della pittura informale e monocroma degli anni Cinquanta-Sessanta.
Dai primi anni Settanta iniziò a prendere appunti su vicende biografiche e dell’attualità che viveva, poi confluiti in Il Libro di Giovanni Omiccioli (a cura di M. La Stella, Roma 1982, con Premessa di Omiccioli stesso alle pp. 9-12). Nel 1973 pubblicò, per l’editore Ghelfi di Verona, una raccolta di liriche dal titolo 31 motividi Giovanni Omiccioli (Biografia, 1986, p. 93).
Nel 1974 realizzò una serie di oli su cartone, dove rappresenta una campagna desolata dominata dal cielo con un orizzonte abbastanza basso: la luce e i soggetti sono sempre molto simili e l’artista sembra continuare quegli studi sulla natura e sulla rifrazione dell’atmosfera nel paesaggio campestre, con minime variazioni di soggetto, che hanno interessato pittori come Claude Monet: si veda Cespugli sulla spiaggia (1974; Bologna, collezione privata, ripr. in Ciarletta, 1975, p. 447).
Nelle opere degli ultimi anni allentò l’adesione alla figurazione trattata in modo espressionista, con densi impasti di colore e segni deformanti, per intraprendere, attraverso i colori acrilici, immagini maggiormente oniriche e tendenti all’astrazione: scriveva di tentare invano di raggiungere «il sogno di un colore senza materia» (Russo, 1983, p. 17).
Morì a Roma il 1° marzo 1975.
Su Omiccioli sono stati realizzati diversi documentari, fra i quali Omiccioli a Scilla (1971), del regista Glauco Pellegrini, che ha partecipato ai festival di Venezia e Berlino. Sue opere sono conservate in vari musei d’arte contemporanea italiani e in molti musei comunali. Molto vasto è il mercato delle opere false, soprattutto a partire dagli anni Sessanta (Lombardi, 1991).
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio Fondazione La Quadriennale, busta G. O. (molti cataloghi di raro reperimento, ritagli di stampa e alcuni autografi, fra cui Lettera a Fortunato Bellonzi, Pizzo Calabro 14 luglio 1953, c. 219); Galleria nazionale d’arte moderna, Archivio bio-iconografico, O. G. (oltre 600 fra articoli, piccoli ritagli di stampa e qualche catalogo di raro reperimento); G. O. (catal. invito galleria Apollo), Roma 1937, pp. n.n.; M. Venturoli, Interviste di frodo, Roma 1945, pp. 77 s., 108-111 e ad ind.; G. Bassani, G. O., Roma 1952; L’opera grafica di G. O. (catal., galleria Astrolabio), a cura di C. Giacomozzi, Roma 1969; M. Venturoli, G. O., Roma 1969, pp. 13-26; N. Ciarletta, G. O., Bologna 1975; O. (catal., Ferrara), a cura di G. Pellegrini, Roma 1979; A. Russo, Un poeta, in O., Roma 1983, pp. 14-17; C. Giacomozzi, La pittura di G. O., in O. (catal.), Roma 1986, pp. 7-18 (con antol. critica); Biografia, ibid., pp. 90-93; L. Sinisgalli, Ravvivano le case gli orti di O., ibid., p. 83; M. Lombardi, Quadri falsi in famiglia, Il Messaggero, Roma 9 giugno 1991; I. Millesimi, in La pittura in Italia. Il Novecento/2, II, Milano 1993, p. 805.