OLDRENDI, Giovanni
OLDRENDI, Giovanni (Giovanni da Legnano). – Nacque presumibilmente a Milano poco prima del 1320 da Conte, esponente di una famiglia originaria di Legnano.
Avviato poco dopo il 1340 agli studi giuridici presso l’Università di Bologna, compare per la prima volta, con la qualifica di scholaris, come testimone in un documento del 6 agosto 1348 con il quale Oldrado de Mayneriis, vicario generale del vescovo di Bologna, conferì un canonicato nel monastero di S. Michele in Bosco. Presso lo Studium fu sicuramente allievo di Paolo Liazari, canonista e uomo politico bolognese, che era stato, a sua volta, discepolo del grande canonista Giovanni d’Andrea.
Nel novembre 1350 – un mese dopo che i Pepoli avevano venduto la signoria sulla città di Bologna all’arcivescovo di Milano, Giovanni Visconti – Iohannes de Lignano de Mediolano, ormai prossimo al completamento degli studi, fu chiamato a far parte di una commissione composta di altre sette persone, tre giuristi e quattro notai, incaricata di curare la restituzione di beni e diritti a quanti erano stati costretti all’esilio dai Pepoli.
Nel dicembre successivo con il titolo di legum doctor, segno che aveva già portato a termine gli studi in diritto civile, fu incaricato di tenere la sua prima lettura universitaria con uno stipendio di poco superiore ai 37 fiorini. Superato l’esame privato in diritto canonico, nell’aprile 1351 fu incaricato di leggere il Sesto e le Clementine. Da quel momento la sua carriera universitaria, ricostruibile attraverso i mandati di pagamento emessi dal Comune di Bologna, non incontrò ostacoli: nell’agosto 1351 fu incaricato di sostituire Giovanni di San Giorgio nella lettura del Decreto; nel 1352, conseguito il dottorato pubblico in diritto civile e canonico, fu lettore ordinario del Decreto e straordinario delle Clementine; nel 1353 ebbe anche la lettura straordinaria del Sesto e, grazie all’intervento dell’arcivescovo Visconti, ottenne dal Consiglio degli anziani del Comune un aumento dello stipendio annuale per la lettura del Decreto, che fu portato a 200 fiorini. Sul finire degli anni Cinquanta il suo salario, pari a 300 fiorini annui, equivaleva a quello dei maggiori maestri dello Studium.
A partire dall’agosto 1352, quando fu nominato arbitro per comporre amichevolmente una vertenza tra il rettore della chiesa di S. Donato e gli eremitani di S. Giacomo, intraprese anche una redditizia attività come arbitro, avvocato e consulente che gli permise la costituzione di un consistente patrimonio immobiliare.
La prima abitazione nota era situata nella parrocchia di S. Mamolo, dove abitava ancora nel 1379, ma già nel 1366 aveva acquistato dal famoso civilista napoletano Niccolò Spinelli un edificio basso, utilizzato come scuola, situato nella parrocchia di S. Giacomo dei Carbonesi; nell’agosto 1379, acquistò da Galeotto Malatesta di Rimini, per la rilevante somma di 3000 lire di bolognini, alcuni edifici adiacenti alla scuola e avviò una prima ristrutturazione dell’intero complesso edilizio destinato a diventare l’abitazione principale della sua famiglia.
Gradualmente Giovanni si inserì anche nella vita pubblica bolognese – al 1355 risale un primo incarico diplomatico, del quale non conosciamo le ragioni, a Venezia – e instaurò un rapporto privilegiato con Urbano V, pontefice dalla solida formazione giuridica, al quale nel 1364 dedicò il trattato De pace. Inoltre, con il trattato De pluralitate beneficiorum (1365) sostenne l’azione riformatrice del papa tesa a limitare l’accumulo di benefici ecclesiastici e a riaffermare l’obbligo di residenza imposto ai chierici dalle norme canoniche.
L’insegnamento universitario, la composizione di trattati su argomenti di rilevante importanza e l’impegno su questioni relative al governo della Chiesa amplificarono la sua notorietà: il 24 agosto 1368 a Modena, l’imperatore Carlo IV concesse a Giovanni e ai suoi due fratelli, Bianco e Percivalle, il titolo di conte palatino con la facoltà di creare notai e legittimare figli naturali; il 25 maggio 1370, in occasione di un incontro avvenuto a Montefiascone, Urbano V gli accordò i cospicui proventi dell’ufficio della catena sul Po nel distretto ferrarese.
Durante la solenne cerimonia organizzata nella chiesa bolognese di S. Domenico il 3 gennaio 1371 per commemorare Urbano V, morto ad Avignone il 19 dicembre precedente, Giovanni tenne l’orazione ufficiale alla presenza del clero cittadino, di una grande folla di fedeli e di alcuni fra i principali signori dell’area romagnola e marchigiana (Azzo e Bertrando Alidosi, Nicolò d’Este, Guido da Polenta, Pandolfo Malatesta, Rodolfo da Varano, Roberto da Camerino).
Pochi mesi dopo, il nuovo pontefice Gregorio XI lo incaricò di acquistare dai Pepoli un edificio in strada Castiglione, da destinare a collegio per gli studenti poveri.
Nel marzo 1376 Bologna fu coinvolta nella rivolta contro il Papato e nel conflitto noto come ‘guerra degli Otto santi’ (1375-78). Il vicario pontificio Guillaume de Noëllet, fu costretto a lasciare la città e fu instaurata una forma di governo popolare, ma la reazione di Gregorio XI fu durissima e il territorio bolognese fu devastato da milizie di mercenari bretoni. Giovanni, rimasto estraneo alla ribellione, nella primavera del 1376 fu inviato ad Avignone con l’obiettivo di raggiungere un accordo con il papa.
Prima di partire per un viaggio lungo e pericoloso, il 27 marzo 1376 dettò il suo testamento con il quale dispose una dote per la nipote Caterina, cresciuta nella casa del testatore e figlia di suo cugino Nioto; al fratello Percivalle e ai nipoti Giovannolo e Contolo, figli del defunto Bianco, riservò l’usufrutto sui beni posseduti nel contado di Milano, a Legnano e a Cerro, con l’obbligo di far celebrare una messa l’anno, nel giorno anniversario della sua morte, nella chiesa di S. Giovanni, ubicata nel sestiere milanese di Porta Romana, e un’altra messa nella chiesa di S. Martino prope Lignanum; ai nipoti del defunto vescovo Giovanni Nasi destinò i libri di medicina; per la moglie Novella, figlia del giurista bolognese Federico di Giovanni d’Andrea, dispose la restituzione della dote e l’usufrutto sui beni posti in Bologna; alla figlia Antonia concesse mille ducati d’oro per la costituzione della dote e la facoltà di tornare a vivere nella casa paterna una volta rimasta vedova; al figlio naturale Marco, nato nel 1351 da una relazione con una donna non sposata e destinato alla vita ecclesiastica, attribuì una rendita annua di 50 lire di bolognini. L’unico figlio maschio legittimo, Battista, ancora minore e come tale affidato alla tutela della madre Novella, fu infine nominato erede universale.
Giunto ad Avignone nel mese di giugno, Giovanni fu benevolmente accolto dal pontefice ma come persona privata e non come ambasciatore dei bolognesi. Il suo intervento, incentrato sull’argomentazione che non si poteva punire con l’interdetto una città intera quando le responsabilità della ribellione andavano imputate a singoli cittadini, incontrò il favore del pontefice che ordinò al cardinale Robert de Genève di far allontanare dal territorio bolognese le milizie mercenarie, risparmiando a Bologna gli orrori che, di lì a poco, avrebbero sconvolto Cesena.
Dopo il rientro di Gregorio XI a Roma (17 gennaio 1377), Giovanni fu inviato presso la curia pontificia con l’obiettivo di raggiungere una pace definitiva con il papa. L’accordo, concluso ad Anagni il 4 luglio 1377, prevedeva l’istituzione in città di un vicario generale, con funzioni di raccordo tra l’autorità pontificia e il governo cittadino, incarico che, su indicazione del pontefice, maturata il 21 luglio 1377, e con delibera delle magistrature cittadine, riunite nella cattedrale di S. Pietro il 27 dicembre successivo, fu affidato per tre anni allo stesso Giovanni.
Il 15 gennaio 1378, in considerazione della sua attività di docente presso lo Studium, del suo continuo impegno in favore dei cittadini di Bologna e, in particolare, della sua attività di mediazione con il pontefice, il Consiglio dei quattrocento, a larga maggioranza, concesse a Giovanni e ai suoi discendenti la cittadinanza bolognese con tutti i privilegi a essa connessi.
Apertosi il grande scisma d’Occidente, determinato, dopo la morte di Gregorio XI, dall’elezione di Urbano VI, l’8 aprile 1378, e dalla crescente opposizione dei cardinali ultramontani, culminata con l’elezione di Clemente VII il 20 settembre 1378, Giovanni intervenne immediatamente sulla questione. Nel mese di luglio scrisse un primo consilium favorevole a Urbano VI, come risposta a una richiesta del cardinale Giacomo Orsini; il 18 agosto una lettera a Pedro de Luna per invitare il giovane cardinale aragonese a meditare sui rischi di una lacerazione radicale; tra agosto e ottobre compose un lungo e meticoloso trattato, il De fletu Ecclesie (edizione critica a cura di B. Pio, Legnano 2006), per sostenere con solide argomentazioni giuridiche e con singolari previsioni astrologiche la legittimità dell’elezione di Urbano VI. Posizione confermata due anni dopo, nel 1380, con un secondo trattato, Super electione Urbani VI (parzialmente edito in O. Raynaldus, Annales ecclesiastici, XVII, Roma 1659, in appendice).
Il De fletu Ecclesie divenne la punta di diamante della propaganda urbanista, ebbe una vasta diffusione presso le corti e le università europee e fu aspramente contestato dai sostenitori di Clemente VII che scrissero trattati esplicitamente contrari alle posizioni del giurista bolognese, come il De planctu bonorum di Jean Le Fevre (1379) o i trattati De schismate dei cardinali Pierre Flandin (primavera 1379) e Pierre Barriere (1380).
La difesa serrata della legittimità dell’elezione di Urbano VI contribuì a instaurare un rapporto privilegiato fra il nuovo pontefice e Giovanni che, recatosi ancora una volta presso la curia pontificia nell’autunno del 1378, ottenne dal papa la nomina di un cardinale ‘bolognese’, il napoletano Filippo Carafa, da poco subentrato come vescovo di Bologna al limosino Bernard de Bonneval, la concessione del contado di Imola al Comune di Bologna e la soluzione dell’annosa vertenza tra la città e la Chiesa concernente il possesso della rocca di Cento.
Nel febbraio 1381 Giovanni fu confermato per un anno nell’incarico di vicario con lo stipendio ragguardevole di 214 fiorini e 10 soldi per ogni bimestre a carico del Comune di Bologna. Alla scadenza del secondo mandato, nella primavera del 1382, guidò la sua ultima ambasciata presso il pontefice che, probabilmente su suo stesso suggerimento, concesse il vicariato sulla città, sul contado e sul distretto di Bologna alla magistratura degli anziani consoli, riconoscendo in tal modo una maggiore autonomia agli organi cittadini di governo.
Negli ultimi anni della sua vita, nonostante l’impegno politico, Giovanni non trascurò l’insegnamento e fu di gran lunga il docente più pagato dello Studium, con un onorario che nel 1381 era di 620 lire, quasi doppio rispetto a quello di altri affermati canonisti come Lorenzo dal Pino, Gaspare Calderini e Giovanni da Lamola.
Nel corso degli anni il prestigio crescente di Giovanni da Legnano indirizzò verso lo Studium un numero notevole di giovani desiderosi di acquisire una formazione canonistica di alto livello. Nel nutrito gruppo dei suoi allievi molti furono quelli che ricoprirono un ruolo importante nella vita religiosa, politica e culturale europea; fra questi diversi furono cardinali: il romano Giacomo Orsini, protagonista delle vicende che portarono allo scisma del 1378; il napoletano Filippo Carafa, che fu anche vescovo di Bologna; il romano Cristoforo Marroni, vescovo di Isernia, nominato cardinale nel 1389; Francesco Uguccione da Urbino, vescovo prima di Faenza, poi di Benevento, infine di Bordeaux, cardinale dal 1405; Cosmato Migliorati di Sulmona, prima arcivescovo di Ravenna nel 1387, quindi vescovo di Bologna e cardinale nel 1389, infine papa col nome di Innocenzo VII (1404-1406). Infine, il padovano Francesco Zabarella, forse il più famoso fra gli allievi di Giovanni da Legnano, vescovo di Firenze nel 1410 e cardinale nel 1411, che fu uno dei protagonisti nelle prime fasi del concilio di Costanza.
Colpito da una grave e improvvisa malattia, probabilmente la peste che infuriava in Bologna, morì il 16 febbraio 1383. Secondo gli Annales Forolivienses (1903, p. 72) aveva 65 anni.
Due giorni dopo, le sue esequie furono solennemente celebrate nella chiesa di S. Domenico, alla presenza del vescovo, il cardinale Filippo Carafa, del podestà, dei docenti dello Studium e di una folla di cittadini di diversa estrazione sociale. Il suo corpo fu tumulato all’interno di un’elegante arca monumentale, scolpita dai fratelli veneziani Jacobello e Pierpaolo Dalle Masegne, originariamente posta a destra dell’altare maggiore della chiesa e oggi conservata solo in parte presso il Museo civico medievale di Bologna.
La morte di Giovanni fu annotata, caso unico, nel Liber secretus dei civilisti e sebbene il defunto non fosse un membro del loro collegio, i dottori in diritto civile onorarono la sua memoria partecipando collegialiter ai funerali e, «propter excelentiam tanti viri», otto di essi portarono personalmente il feretro all’interno della chiesa (Liber secretus iuris Caesarei, 1938, p. 24).
Il giorno prima di morire, presenti nella sua casa il cardinale Filippo Carafa, il cognato Andrea da San Girolamo, alcuni ecclesiastici e docenti dello Studium, Giovanni, sano di mente sebbene fiaccato da una grave infermità, apportò diverse modifiche al testamento dettato nel 1376. Dopo aver espresso la volontà di essere sepolto in S. Domenico, confermò suo erede universale il figlio Battista, nato intorno al 1360 dal suo matrimonio con Novella e capostipite della famiglia senatoria bolognese dei Legnani. A Marco, figlio naturale, lasciò 1000 lire di bolognini e una casa con pozzo e orto in Val d’Aposa, un’altra casa posta nella stessa zona fu destinata in uso a Caterina, figlia di Nioto cugino del testatore, sposata al dottore di decreti modenese Egidio de’ Presbiteri. Alla figlia Antonia lasciò altri 1000 ducati da sommarsi a quelli a lei destinati con il primo testamento, rispetto al quale la modifica più rilevante riguardava i beni posseduti in Lombardia, non più assegnati in usufrutto al fratello Percivalle e ai nipoti, figli del defunto fratello Bianco, bensì lasciati in proprietà a Battista, il quale però avrebbe dovuto corrispondere gli alimenti allo zio, al cugino Contolo e ai loro figli maschi. Infine, fra i nomi degli esecutori testamentari precedentemente nominati fu aggiunto quello della moglie Novella che si spense, però, pochi mesi dopo il marito, essendo già morta il 13 febbraio dell’anno successivo.
Nella produzione, ampia e complessa, di Giovanni da Legnano spiccano le opere di diritto canonico, come l’autorevole Lectura super Clementinis (1376-78), che ingloba una rielaborazione del Liber minoricarum decisionum di Bartolo da Sassoferrato con addizioni e conclusioni originali, la Lectura super Decretalibus, i meticolosi trattati De interdicto ecclesiastico (1358), De censura ecclesiastica (1361), De pluralitate beneficiorum (1365); opere di diritto civile, come il De emptione et venditione e il De testibus; scritti di filosofia morale nei quali emergono interessi letterari preumanistici, come il De amicitia (1365 circa) e il Somnium (edizione critica a cura di G. Voltolina, Legnano 2004), compilato nel 1372 e considerato uno dei suoi scritti più significativi.
Coltivò anche discipline che andavano oltre la scientia iuris, fu un uomo di straordinaria cultura e mostrò un’insolita ampiezza di interessi: alla riflessione teologica sono dedicati i trattati De adventu Christi, forse composto nel 1360, il De virtutibus theologicis, scritto tra il 1364 e il 1372, e il De continentia; all’astronomia e all’astrologia il De cometa (1368) e l’ultima parte del De fletu Ecclesie (1378); all’ottica la seconda parte del De arbore consanguinitatis (1371-1373).
Una parte consistente della sua produzione fu direttamente influenzata dall’attività politica: il trattato De bello (edizione critica a cura di T.E. Holland, Oxford 1917) dedicato a Albornoz e scritto mentre la città era assediata dalle truppe di Bernabò Visconti (1360) e l’inedito trattato De pace (1364), che proprio dall’impresa albornoziana prendono le mosse, sono considerati prodromi del diritto pubblico internazionale; il De principatu, incorporato nel Somnium, affronta la questione dell’autorità del pontefice e ne afferma con decisione la plenitudo potestatis; il De iuribus Ecclesie in civitate Bononie (1376-1377) fu concepito in difesa del potere temporale dei papi proprio mentre la città si ribellava al governo del legato pontificio e contiene ampie divagazioni sul rapporto tra l’autorità civile e quella ecclesiastica.
La poliedricità degli interessi culturali, la vastità della produzione giuridica e l’intensità dell’impegno politico fanno di Giovanni da Legnano uno dei principali intellettuali europei della seconda metà del Trecento, non a caso accostato a Francesco Petrarca da Geoffrey Chaucer, che nei Canterbury Tales (9, The clerk’s prologue) ne immortalò la fama definendolo lume della filosofia, del diritto e delle altre discipline «particolari».
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