NICOTERA, Giovanni
NICOTERA, Giovanni. – Nacque a Sambiase (Catanzaro) il 9 settembre 1828 da Felice e da Giuseppina Musolino, originaria di Pizzo e sorella di Benedetto e Pasquale, patrioti radicali appartenenti a una famiglia di tradizioni illuministiche e giacobine.
Aderì non ancora quindicenne ai Figliuoli della Giovine Italia, società neocarbonara fondata dallo zio Benedetto, imprigionato dal 1839 al 1842. Frequentò il liceo di Catanzaro, dove fu allievo di Luigi Settembrini, e iniziò studi di letteratura e giurisprudenza, presto abbandonati per dedicarsi interamente alla causa rivoluzionaria. Nel 1846, dopo il secondo arresto di Musolino e Settembrini, assicurò, infatti, la continuità della rete cospirativa creata dai suoi due maestri politici. Dopo aver rischiato di essere incarcerato già nel 1847, fece la sua prima comparsa sulla scena politica nel corso della rivolta lametina del 1848, promossa dal barone Francesco Stocco e da Musolino, assumendo il comando della guardia nazionale di Sambiase e svolgendo opera di collegamento fra il centro lametino e Pizzo, dove risiedeva il nucleo principale della rivolta antiborbonica. La reazione dell’esercito fu feroce e la repressione costrinse all’esilio sia Musolino, condannato a morte, sia Nicotera, che avrebbe dovuto scontare una pena di 25 anni. Scelsero come meta Corfù, insieme ad altri 15 fuggiaschi. Di lì, con passaporto inglese, tornarono in Italia in tempo per partecipare alla difesa della Repubblica Romana. Nicotera militò dapprima nella Legione italiana sotto il comando del generale ticinese Antonio Arcioni, poi nel battaglione guidato da Luciano Manara. Partecipò ai combattimenti presso Palestrina e Velletri, oltre che nella capitale, dove fu ferito a un braccio nella difesa di Porta S. Pancrazio. La sconfitta della Repubblica determinò la sua fuga da Roma; dopo brevi tappe a Genova e a Nizza, raggiunse Musolino a Torino. Durante l’esilio piemontese ebbe modo di estendere le sue amicizie e, in particolare, di frequentare Rosolino Pilo e Carlo Pisacane. Inoltre i contatti che lo zio aveva mantenuto con Raffaele Poerio favorirono la conoscenza della figlia del generale, Gaetanina, cugina di Alessandro e Carlo Poerio, con la quale si sposò nel 1860.
Musolino e Pisacane manifestavano orientamenti contrastanti rispetto a Giuseppe Mazzini, in particolare sulla geografia delle insurrezioni, che essi ritenevano possibile innescare nel Sud. Anche Nicotera era favorevole a una rivoluzione patriottica che partisse dalla Calabria. La repressione preventiva compiuta dalle truppe borboniche proprio in quella regione a metà degli anni Cinquanta fece ritenere a molti esuli che si stesse preparando nel Mezzogiorno un grande movimento. In realtà, attorno ai rivoluzionari si stava creando il deserto politico. I contatti avviati da Pisacane con Mazzini allontanarono Musolino, ma non Nicotera.
Il 27 giugno 1857 il gruppo di Pisacane diede l’assalto alla guarnigione borbonica di Ponza, ma già il 1° luglio le forze napoletane avevano sconfitto duramente i patrioti. Alcuni fra gli scampati alla controffensiva delle truppe regolari trovarono la morte per mano di quei contadini che avevano immaginato si sarebbero uniti alla causa rivoluzionaria. Nicotera fu uno dei pochi sopravvissuti. La prigionia ne determinò un atteggiamento oscillante e durante il processo alternò il tentativo di minimizzare la portata politica dell’impresa a un comportamento sprezzante nei confronti della giuria. Si ebbero così due impressioni contrapposte: da una parte se ne esaltò la condotta di combattente e fiero patriota, dall’altra pesò su di lui il sospetto della delazione, rafforzato dalla commutazione della pena di morte in ergastolo. Incarcerato dapprima a Castel Capuano, scontò tre anni di carcere nell’isola di Favignana e fu liberato al momento della spedizione garibaldina del 1860, alla quale si unì.
Rientrato a Napoli, si prese cura di Enrichetta De Lorenzo e ne adottò la figlia, Silvia Pisacane (1853-1888), che si trasferì presso di lui nel 1871 dopo la morte della madre. Gravemente malata di tubercolosi, Silvia fu coinvolta suo malgrado in uno dei più clamorosi scandali politico-affaristici dell’Italia liberale, quando nel 1878 il padre adottivo prestò la sua cospicua dote all’amico senatore matesano Achille Del Giudice in vista di un investimento che si rivelò fallimentare. Nonostante la condanna al risarcimento subita alla fine di una lunga vertenza giudiziaria, Del Giudice non restituì la somma, ma nel 1888 fu costretto a dimettersi dalla Camera alta prima di essere travolto da una nuova causa penale intentatagli da Nicotera.
Il carattere impulsivo, insieme con le indecisioni mostrate nelle imprese militari, mutarono il giudizio benevolo che Mazzini si era fatto di Nicotera come combattente. Tuttavia, partecipò alle imprese garibaldine di Aspromonte, Bezzecca e Mentana, diventando parte integrante della ‘Sinistra militare’, ma non rinunciando all’attività politica nelle fila dell’opposizione parlamentare.
Se fu chiara la sua opzione repubblicana fino al 1860, apparve successivamente pronto a transigere rispetto alla forma di Stato e ad avviare mediazioni e trattative con gli avversari politici. Nel 1861 offrì al generale Enrico Cialdini il sostegno dei democratici nella lotta contro il brigantaggio in cambio di posti di responsabilità per il suo schieramento. In seguito, il successo della Sinistra nelle elezioni del 1865, la sua coloritura radicale, l’impossibilità di trattare con la Destra gli fecero pronunciare dichiarazioni di fedeltà ai principi repubblicani, ma già l’anno dopo sembrò disposto a un’alleanza con il grande avversario degli anni precedenti, Urbano Rattazzi, nella convinzione che la spaccatura tra la Destra piemontese e quella toscana potesse favorire una più ampia rappresentanza meridionale nel governo. La mancata attenzione di Rattazzi, la crisi di Mentana e l’azione di Antonio Starrabba di Rudinì come prefetto di Napoli isolarono per qualche tempo la Sinistra meridionale. Nicotera continuò ad alternare pronunciamenti moderati e comportamenti radicali, anche se la partecipazione alla campagna garibaldina conclusasi a Mentana lo collocava a tutti gli effetti nel fronte democratico. La sua stessa partecipazione ai lavori parlamentari era subordinata all’idea del Parlamento come cassa di risonanza della politica radicale, tanto da seguire, come altri esponenti della Sinistra storica, la prassi delle dimissioni ogni volta che la Destra proponeva misure ritenute inaccettabili o quando pareva prospettarsi un’iniziativa garibaldina.
Dotato di un forte pragmatismo, allestì una rete di relazioni in grado di raccogliere attorno a sé il disagio delle condizioni del Mezzogiorno continentale e di attribuirne la responsabilità alla Destra. Iniziò così a lavorare al progetto di una nuova maggioranza che facesse perno sulla Sinistra, ma che non disdegnasse mediazioni con settori della Destra onde giungere all’obiettivo di stanziamenti per il Mezzogiorno. Abbandonò definitivamente l’opzione repubblicana e si distaccò dall’ala più radicale della Sinistra, imponendosi all’attenzione nazionale come punto di riferimento dell’opposizione meridionale sulla base di una piattaforma moderata che non aveva lo spessore e la tensione etica del primo meridionalismo intellettuale, ma che riuscì a conquistare un elettorato meno sensibile a programmi di progresso sociale che alla possibilità di ottenere lavori pubblici, incentivi fiscali, risorse per gli enti locali, provvedimenti per l’agricoltura. Superate le divergenze con la Sinistra giovane di Francesco De Sanctis e di Francesco De Luca, fu l’artefice principale della grave sconfitta subita dalla Destra nel Mezzogiorno continentale in occasione delle elezioni politiche del 1874.
Quel successo partiva da lontano. L’azione politica dispiegata nel collegio di Salerno (comprensivo anche di Sapri), in cui fu eletto ininterrottamente dal 1861 al 1892, rivelava una compattezza nei consensi che annullava ogni distinzione tra schieramenti e ceti sociali. Si presentava come il martire di Sapri, ma non rinunciava a servirsi di ex borbonici che vedevano in lui l’avversario del nuovo regime e del piemontesismo. Inoltre, insieme con Giuseppe Lazzaro e al duca Gennaro Sambiase Sanseverino di San Donato, fu molto attivo nella vicenda amministrativa del Municipio e della Provincia di Napoli. Nonostante i contrasti ripetuti con i rappresentanti moderati del potere centrale, in particolare con il prefetto di Rudinì, i tre intesserono una fitta rete politica che, grazie al sostegno della massoneria e al consenso diffuso della piccola borghesia, assicurò a San Donato il controllo quasi ininterotto dell’amministrazione provinciale dal 1871 al 1901.
Oltre al collegio di Salerno e all’area napoletana, in cui operava l’Associazione del progresso, un terzo polo territoriale che dava forza a Nicotera era la Calabria. Dal 1869 aveva insistito in Parlamento per il rafforzamento di alcune infrastrutture importanti come gli approdi di Paola e di Pizzo, lamentando l’isolamento regionale, che l’avrebbe poi portato a ripresentare continuamente la proposta modernizzatrice del tracciato ferroviario tra Eboli e Reggio Calabria. Da questi tre poli estese poi la sua influenza politica a Benevento, Caserta, Avellino e alla Puglia, mentre nell’area lucana si appoggiò su grandi notabili di livello nazionale come Pietro Lacava e Ascanio Branca. Questa articolata costellazione politica interregiornale poté contare altresì sul sostegno di alcuni fogli periodici: il Corriere delle Puglie a Bari, L’Avanguardia a Cosenza, La Costituzione a Benevento. Fattasi così portavoce della Sinistra meridionale, la rete nicoterina non riuscì però a impiantarsi in Sicilia, dove erano presenti altri leader e interessi già coalizzati.
Nel giugno 1875 fu ricevuto dal re, che voleva mostrare la sua apertura verso possibili alternative politiche e riconoscere pubblicamente la svolta moderata impressa dal leader calabrese alla Sinistra meridionale. Il prestigio conferitogli dalla legittimazione del sovrano lo incoraggiò a continuare nella direzione intrapresa. Nel discorso di Salerno del 4 luglio 1875, contraddicendo il programma unitario della Sinistra, si pronunciò contro il suffragio universale e l’abolizione della tassa sul macinato.
Il suo approdo a una politica moderata nasceva dalla convinzione che il riscatto del Sud non fosse perseguibile facendo leva sulle masse popolari, che non erano in grado di far sentire la loro voce, ma sull’elettorato già elevato alla piena cittadinanza, sulle deputazioni che ne erano espressione in Parlamento e sulla capacità di condizionare gli altri schieramenti. Le riforme democratiche rischiavano di compromettere, secondo la sua visione, la negoziazione per il Sud, mentre la dimostrata affidabilità sociale rappresentava il prerequisito per questo tipo di mediazioni. Se alcuni esponenti della Destra videro in questa dichiarazione la possibilità di un passaggio di Nicotera tra le loro fila, in realtà era ferma la sua convinzione di non accettare alcuna subordinazione a quello schieramento. L’idea era piuttosto quella di inserire la Sinistra meridionale all’interno di un’area centrista che potesse giovarsi delle spaccature interne al fronte moderato.
Per Agostino Depretis il successo della Sinistra nel Mezzogiorno rappresentava una risorsa, ma al tempo stesso un problema a causa dell’accrescersi del suo peso; per Nicotera la vittoria poneva le esigenze del Meridione in primo piano, ma la sua componente rischiava di rimanere emarginata. Ciononostante, promosse una sorta di gruppo di pressione per influire sul leader della Sinistra parlamentare organizzando nel settembre 1875 a Napoli una riunione nel corso della quale più di 30 deputati si pronunciarono a favore di una distinzione fra Sinistra moderata e radicale. Anche Crispi si unì a tale pronunciamento. Il fine di Nicotera non era spaccare il suo campo in due tronconi distinti, ma quello di far pesare la posizione di forza della deputazione meridionale sulla bilancia degli schieramenti interni. Depretis, da parte sua, trovò la sintesi: inserì nel discorso di Stradella del 1875 alcuni punti della piattaforma nicoterina (lavori per il Tevere; apertura della ferrovia Eboli-Reggio Calabria, omissione dell’elettività del sindaco), ma accantonò la questione della distinzione interna alla Sinistra (anche perché, a quel punto, avrebbe rischiato di dover cedere la leadership a Nicotera).
Per dare più forza alla sua proposta politica, Nicotera si risolse alla pubblicazione di un proprio periodico, Il Bersagliere, che divenne la tribuna dell’opposizione meridionale, ma lo allontanò da Crispi, risolutamente contrario a una divisione dello schieramento e ad affiancare un altro organo di stampa a Il Diritto, foglio ufficiale della Sinistra. Fu l’inizio di uno scontro destinato a durare nel tempo. Il giornale di Nicotera fu ora alternativo alla linea ufficiale, ora – soprattutto in occasione delle scadenze elettorali – ligio alla linea unitaria. Ne furono direttori prima Giuseppe Turco, poi, dall’ottobre 1877, Martino Speciale. Ma Nicotera ne rimase l’ispiratore, pur sostenendo in Parlamento, nel novembre 1876, di non avere più rapporti stabili con il giornale.
Resa evidente la sua posizione moderata, tra il 1875 e il 1876 tentò di riavviare i contatti con esponenti della Destra. Dapprima avvicinò Quintino Sella, proponendogli il riscatto delle tre reti ferroviarie italiane e l’impegno per il pareggio di bilancio in cambio del reperimento di risorse per la costruzione della Eboli-Reggio Calabria. La somma ingente richiesta per quella linea e la diffidenza di Sella nei confronti della deputazione meridionale non favorirono l’accordo. Quindi avviò trattative con la componente toscana cui, tuttavia, non chiarì mai quale sarebbe stato il suo ruolo in un eventuale governo di Sinistra. Rimaneva evidente il comune intento di battere il presidente del Consiglio Marco Minghetti: per Nicotera si trattava di allestire una nuova maggioranza disposta a stanziare risorse per le opere pubbliche nel Mezzogiorno, per la Destra toscana di rimuovere gli ostacoli che il presidente del Consiglio poteva frapporre agli interessi finanziari e agrari dei maggiorenti di quella componente, primo fra tutti il disegno di riscatto delle ferrovie. Offrendo il mantenimento delle concessioni, Nicotera ottenne il distacco della Destra toscana dalla maggioranza proprio il giorno in cui Minghetti annunciava il raggiungimento di un importante obiettivo strategico: il pareggio di bilancio. Era il 18 marzo 1876, data che sarebbe transitata nei manuali di storia come la «rivoluzione parlamentare». Formato un governo presieduto da Depretis, a Nicotera doveva spettare ovviamente un posto di rilievo. Avrebbe voluto per sé il ministero dei Lavori pubblici per realizzare le infrastrutture ferroviarie e portuali ritenute indispensabili per il Sud. Diventò invece titolare del ministero dell’Interno.
Chi si aspettava da un ex repubblicano, garibaldino, esponente della Sinistra storica, un atteggiamento di favore nei confronti della mobilitazione politica e sociale, rimase profondamente deluso. L’azione di Nicotera fu caratterizzata da una forte ingerenza del governo negli affari locali e dal ricorso sistematico a metodi illiberali in materia di ordine pubblico. Benché nel 1871 la Sinistra avesse abbandonato l’Aula in segno di protesta al momento dell’approvazione della legge sull’ammonizione e sul domicilio coatto, Nicotera fece di tali misure due elementi essenziali della sua politica di prevenzione, che fu particolarmente sistematica nei confronti del movimento internazionalista. Anche quando rese di pubblico dominio l’azione di schedatura di molti oppositori compiuta da suoi predecessori, non smise di servirsi di una rete informativa, anzi la potenziò. La cifra repressiva fu confermata dall’atteggiamento verso le manifestazioni di piazza, in controtendenza rispetto alle posizioni assunte dalla Sinistra nell’opposizione ai governi della Destra. Dopo un primo indirizzo ai prefetti in cui si raccomandava una condotta trasparente, nei mesi successivi il tono mutò e la pressione su di essi fu resa evidente dalla movimentazione continua: tra l’aprile 1876 e il marzo 1877 rimasero nella sede già occupata soltanto cinque di essi. I rapporti con le amministrazioni locali furono improntati a una severa vigilianza: 180 Municipi furono sciolti, fra cui quello di Napoli. La misura presa nei confronti di questo Comune, pur giustificata da numerose illegalità, era destinata a riaffermare il controllo personale di Nicotera. Interessato a stabilire relazioni con la finanza vicina al Vaticano, si accordò altresì con il marchese Filippo Berardi perché, orientando il voto delle guardie di pubblica sicurezza, riuscisse positivamente la prima prova elettorale della cattolica Unione romana nelle consultazioni amministrative del 1877.
Da una simile condotta non potevano che emergere dissidi all’interno della Sinistra, e in particolare fra il ministro dell’Interno e gli esponenti del gruppo più orientato su posizioni liberali radicali, come Giuseppe Zanardelli, Benedetto Cairoli e Agostino Bertani. Ma Depretis, pur non avendo in simpatia Nicotera, non poteva disfarsi di un elemento così prezioso dal punto di vista elettorale. Come ministro dell’Interno, infatti, aveva ‘organizzato’ le elezioni del novembre 1876, esercitando forti pressioni sui prefetti affinché appoggiassero i candidati governativi, e regalato così alla Sinistra una larghissima maggioranza parlamentare che rendeva ininfluente l’appoggio di correnti del campo opposto.
Il peso acquisito da Nicotera era peraltro apparso evidente fin dal discorso di Stradella che precedette il voto, in cui Depretis aveva criticato il modo d’esazione della tassa sul macinato, ma tacendo sulla sua eventuale abolizione, e si era pronunciato sulla necessità di infittire la rete ferroviaria riconoscendo la priorità al tratto richiesto da Nicotera. La forza politica di Nicotera apparve ancora più marcata con l’elezione di Crispi al pur prestigioso ruolo di presidente della Camera, che suonò come un’emarginazione a fronte della sua ascesa ministeriale. A opporre Nicotera e Crispi, oltre alla creazione del giornale Il Bersagliere, si aggiunse la forte campagna antimafiosa, condotta, senza eccessivo rispetto delle libertà costituzionali, dal prefetto di Palermo, Antonio Malusardi.
Al ministro dell’Interno toccava l’onere di presentare un progetto di riforma dell’ordinamento locale conforme al programma della Sinistra. Recepì di malavoglia alcune aperture, come l’elettività del sindaco e del presidente della deputazione provinciale, e aderì alla fine all’idea di un ampliamento della base elettorale amministrativa, temperandolo con il voto femminile che, secondo le sue proiezioni, avrebbe dovuto rappresentare un contrappeso moderato all’allargamento del suffragio. Tuttavia, il disegno non si realizzò perché a Sinistra non vi era unità d’intenti su quei temi. Riguardo all’elettorato politico, non si assunse il compito di proporre un proprio disegno di legge, che lo avrebbe esposto alle inevitabili tensioni con Cairoli, fautore del suffragio universale maschile, e preferì percorrere la strada della commissione parlamentare. Questa concluse i lavori nel maggio 1876, ma Nicotera prese tempo prima di presentare un progetto che ne traesse le conseguenze, puntando a limitare l’estensione del diritto elettorale ai ceti medi urbani e a escluderne le masse contadine. La crisi ministeriale incombente e la mancanza di volontà di operare seriamente per attuare riforme incisive impedì che tale progetto diventasse legge.
Sia per ciò che riguardava l’ufficio di gabinetto, sia in materia sanitaria, accorpò diverse funzioni con il fine di accentrare presso il ministro e nella figura del segretario generale una vasta serie di competenze. Già in polemica con il responsabile dei Lavori pubblici, Zanardelli, per la condotta tenuta in relazione all’ordine pubblico, acuì la tensione con la sua insistenza a favore del tracciato ferroviario Eboli-Reggio Calabria, realizzato infine fra 1886 e 1892, ma limitatamente al breve tratto Sicignano degli Alburni-Lagonegro. Il suo carattere impulsivo e polemico era noto, ma quando, durante una riunione del consiglio dei ministri tenuta a casa di Depretis, si scagliò fisicamente contro Zanardelli, divenne difficile immaginare che entrambi rimanessero nell’esecutivo. Zanardelli attese poco tempo per dimettersi e, con Cairoli, si schierò all’opposizione. Il presidente del Consiglio fu così lasciato in grande difficoltà: non poteva liberarsi dello scomodo ministro dell’Interno, ma stava perdendo la possibilità di tenere unito il suo schieramento. Oltre alla presa di distanza da parte di molti esponenti della Sinistra, Nicotera si trovò a fronteggiare una violenta campagna di stampa lanciata dalla Gazzetta d’Italia. Il foglio, vicino all’ex ministro Girolamo Cantelli, reagiva alla dichiarazione di Nicotera di aver ricevuto risorse tratte da Cantelli dai fondi segreti del ministero. Oltre alle critiche relative all’azione di governo, il giornale tratteggiò la biografia di Nicotera come quella di un traditore che aveva denunciato i propri compagni dopo la disfatta della spedizione di Sapri, di un uomo di scarso coraggio e bassa moralità. Nicotera vinse la battaglia legale per diffamazione, ma si moltiplicarono i dubbi sulla sua persona.
Per liberarsi di lui senza rompere con la Sinistra meridionale, Depretis e Crispi architettarono un tranello in cui Nicotera cadde ingenuamente. Era nota la sua tendenza a fare del proprio ufficio una sorta di servizio di informazioni, in parte destinate al Bersagliere. Dal teatro della guerra russo-turca fu fatto spedire un telegramma, a firma «Alessandro», al principe Leone Bobrinsky, residente a Roma, in cui erano contenute false notizie circa il ferimento del principe russo Wladimiro. La firma fu interpretata al ministero come un’autentica missiva dell’imperatore e la notizia passata, e pubblicata, nel Bersagliere. Il ministro ne uscì screditato sia sotto il profilo della correttezza (era stato violato il segreto telegrafico), sia sotto quello della sua credibilità politica. Non gli rimase che dimettersi, ma si vendicò pochi mesi dopo promuovendo la diffusione delle prove della irregolare condizione civile di Crispi, che, da poco unitosi in matrimonio con Lina Barbagallo, risultava ancora sposato con Rosalie Montmasson e di fronte allo scandalo fu costretto a sua volta a lasciare il ministero dell’Interno, dove era succeduto a Nicotera.
Per alcuni anni Nicotera rimase in un sostanziale isolamento, fino a quando, nell’autunno del 1883, di fronte all’involuzione conservatrice di Depretis, si unì ad alcune personalità autorevoli della Sinistra – Crispi, Zanardelli, Cairoli e Alfredo Baccarini – per fondare la cosiddetta Pentarchia. Il gruppo, che poteva contare su 86 deputati e sul giornale La Tribuna, intendeva rifiutare l’accordo trasformistico con la Destra di Minghetti, tornare al programma originario della Sinistra e riavvicinarsi al gruppo radicale.
Nel maggio 1886, in occasione del secondo voto politico a suffragio allargato e a scrutinio di lista, si impegnò strenuamente in chiave antidepretisina nella campagna elettorale, assumendo la presidenza del comitato elettorale della Sinistra parlamentare da lui costituito a Napoli e compiendo un autentico tour di propaganda che toccò tutto il Mezzogiorno continentale: da Reggio a Catanzaro e Cosenza, passando per Napoli dove tenne un discorso davanti a 5000 persone, e poi a Bari, Brindisi, Lecce, Foggia, Trani, fino a Chieti, Teramo e Avellino. Nel corso del suo viaggio elettorale, ampiamente coperto mediaticamente grazie alla Tribuna, si richiamò alle memorie risorgimentali e rialzò la bandiera della Sinistra storica, chiedendo un voto politico e non personale, che non sarebbe stato in contraddizione con gli interessi locali in quanto questi, se giusti e ragionevoli, avrebbero coinciso con quelli nazionali. Contribuì così fortemente alla tenuta dello schieramento pentarchico, sconfitto nettamente al Centro e al Nord, ma vittorioso nel Sud e in Sicilia.
Nonostante il successo elettorale riportato nelle regioni meridionali, un’alleanza politica così composita non poteva durare a lungo e si concluse nel 1887, quando Crispi e Zanardelli entrarono a far parte dell’ultimo governo Depretis e Cairoli si ritirò dalla politica. Nicotera rimase così nuovamente isolato e si vide progressivamente erodere la base di consenso e il gruppo politico creati attorno a sé: nel 1890 poteva contare soltanto su una ventina di deputati. Nel 1891, tuttavia, si schiuse la possibilità di un suo ritorno al governo nel gabinetto formato da di Rudinì. La maggioranza che sosteneva quel nuovo dicastero era unita nell’opposizione a Crispi, ma molto eterogenea. Il suo atto più importante fu il ritorno al sistema elettorale uninominale cui Nicotera, per la seconda volta ministro dell’Interno, teneva molto.
Durante il suo incarico soppresse la direzione centrale dell’amministrazione civile, mentre le divisioni del personale, delle amministrazioni locali e delle opere pie passarono sotto il controllo diretto del ministro e del sottosegretario. In materia di ordine pubblico, vietò la manifestazione prevista per il 1° maggio 1891 e represse duramente la dimostrazione che violò il divieto. Sotto il suo mandato vennero varate due importanti leggi speciali per Roma e per Napoli, onde far fronte alla grave crisi finanziaria delle due città.
Sfruttando la riacquisita posizione di potere, Nicotera riuscì a ripristinare una sua rete politica a Napoli, anche se la sua restaurata influenza andò poco oltre il suo mandato governativo. Non mancarono tensioni fra il presidente del Consiglio e il ministro per la diversità delle prospettive politiche: mentre il primo si stava adoperando per la costituzione di un partito liberale conservatore, il secondo iniziava una manovra di riavvicinamento a Zanardelli, puntando ad accreditarsi come leader della Sinistra. Per dare concretezza a questo progetto, il giornale La Tribuna, che da organo della Pentarchia era diventata la voce più vicina al ministro, insisté sulla realizzazione di importanti riforme di legislazione sociale. I dissensi emersi in seno al governo circa la consistenza dei fondi da assegnare al ministero della Guerra segnarono la sua crisi definitiva.
Pur risultando eletto nelle successive consultazioni politiche, Nicotera perse rapidamente seguaci e non gli riuscì un tentativo di riavvicinamento a Crispi. Il coinvolgimento nello scandalo della Banca romana indebolì ulteriormente la sua posizione. Favorito dal governatore Bernardo Tanlongo, aveva allargato a una piccola rete di amici la possibilità di finanziamenti facili e aveva impedito al capo della polizia, Ferdinando Ramognini, di indagare sulla illecita emissione in serie doppia di banconote da parte della Banca. La relazione della commissione parlamentare dei sette, incaricata di indagare sulle banche di emissione, pronunciò, nel dicembre 1893, una forte critica nei confronti del suo operato. Il declino dell’uomo politico era ormai segnato.
Dopo una serie di colpi apoplettici, morì a Vico Equense (Napoli) il 13 giugno 1894.
Fonti e Bibl.: Allo stato delle ricerche non è stato individuato un fondo archivistico personale. Un cospicuo insieme documentario riguardante l’attività di governo di Nicotera è conservato presso l’Archivio centrale dello Stato di Roma, in particolare nei fondi: Ministero dell’Interno. Gabinetto e Presidenza del Consiglio dei ministri, Archivio Depretis e Carte Crispi. Palermo. Presso l’Archivio di Stato di Brescia è utile la corrispondenza rintracciabile nelle Carte Zanardelli (soprattutto i Carteggi e documenti relativi alle cariche politiche e Corrispondenza personale), mentre la Biblioteca civica Carlo Bonetta - Archivio storico civico di Pavia custodisce gli scambi epistolari con Cairoli (Carte Cairoli). Di rilievo anche i corrispondenti toscani della Sala manoscritti della Biblioteca nazionale di Firenze (Carte Cambray Digny), così come una serie di carteggi ordinati presso il Museo centrale del Risorgimento che hanno Nicotera come mittente od oggetto di discussione (Archivio Domenico Farini, Archivio Mancini, Archivio Sprovieri, Archivio Speciale, Archivio Jesse White Mario, Carte Massari). La bibliografia su Nicotera è ricavabile in buona parte da studi locali, dalle ricostruzioni sull’impresa di Sapri e dagli studi generali sulla Sinistra storica. Pochi risultano gli studi biografici: V. Giordano, La vita e i discorsi parlamentari di G. N., Salerno 1878; J. White Mario, In memoria di G. N., Firenze 1894; L.A. Pagano, La spedizione di Sapri e la prigionia di G. N. nelle carte della polizia borbonica di Sicilia, in Rass. stor. del Risorgimento, XXI (1934), 2, pp. 347-377; C. Morandi, La Sinistra al potere e altri saggi, Firenze 1944, pp. 62, 78, 109, 111; G. Carocci, Agostino Depretis e la politica interna italiana dal 1876 al 1887, Torino 1956, ad ind.; G. Procacci, Le elezioni del 1874 e l’opposizione meridionale, Milano 1956, ad ind.; D. Farini, Diario di fine secolo, a cura di E. Morelli, I-II, Roma 1961, ad ind.; A. Moscati, I ministri del Regno d’Italia, IV, La Sinistra al potere, Salerno 1964, ad ind.; A. Salvestrini, I moderati toscani e la classe dirigente italiana (1859-1876), Firenze 1965, ad ind.; A. Capone, G. N. e il mito di Sapri, Roma 1967; L. Cassese, La spedizione di Sapri, Bari 1969; A. Scirocco, I democratici italiani da Sapri a Porta Pia, Napoli 1969, ad ind.; A. Capone, L’opposizione meridionale nell’età della Destra, Roma 1970, ad ind.; L. Mascilli Migliorini, La Sinistra storica al potere. Sviluppo della democrazia e direzione dello Stato (1876-1878), Napoli 1979, ad ind.; A. Capone, Destra e Sinistra da Cavour a Crispi, Torino 1981, ad ind.; M. Ferri, Garibaldini in Ciociaria. Storia della colonna Nicotera nella campagna del 1867 per la conquista di Roma, Frosinone 1988; A. Bojano, Briganti e senatori. Garibaldi, Pisacane e N. nel destino di un senatore del Regno, Napoli 1997; G. N. nella storia italiana dell’Ottocento, a cura di A. Bagnato - G. Masi - V. Villella, Soveria Mannelli 1999; M. De Nicolò, Trasformismo, autoritarismo, meridionalismo. Il ministro dell’interno G. N., Bologna 2001; F. Fusco, Carlo Pisacane e la Spedizione di Sapri, Casalvelino Scalo 2007, ad ind.; C. Pinto, Progettare la nazione. Il movimento democratico meridionale tra il 1857 e il 1860, inTra pensiero e azione: una biografia politica di Carlo Pisacane, a cura di C. Pinto - L. Rossi, Salerno 2010, pp. 287-340; G. Palamara, Patrioti a confronto. Carlo Pisacane, Benedetto Musolino e G. N., Soveria Mannelli 2012.