NICOLA, Giovanni
NICOLA, Giovanni. – Nacque a Caravaggio, in provincia di Bergamo, il 1° agosto 1890.
Frequentata la scuola elementare, poco più che decenne entrò nel mondo del lavoro, trovando un impiego come inserviente presso un albergo di Melzo, in provincia di Milano. Trasferitosi nel capoluogo lombardo nei primi anni del Novecento, divenne presto un attivista sindacale nel settore albergo e mensa. Nel 1907 si iscrisse al movimento giovanile socialista, e, a partire dal 1913, iniziò a ricoprire incarichi all’interno del mondo sindacale e di partito: fu infatti eletto membro dell’esecutivo della Camera del lavoro e del direttivo della Sezione socialista di Milano.
Chiamato alle armi nella primavera del 1916, combatté valorosamente sui teatri di battaglia della prima guerra mondiale, riportando una ferita a Castagnevizza, sull’altipiano del Carso, nel giugno 1917 e guadagnandosi in seguito due decorazioni al merito per la partecipazione ad azioni sull’altipiano di Asiago, sul Piave e sul Grappa.
Ritornato alla vita civile nell’estate del 1919, riprese a pieno ritmo l’attività politico-sindacale. Due anni dopo fu eletto segretario nazionale della FILAM (Federazione italiana lavoratori albergo e mensa). Non aderì alla scissione di Livorno del gennaio 1921, preferendo restare nel PSI (Partito socialista italiano), militando nella frazione più di sinistra, meglio nota come «terzinternazionalista», i cui membri, dopo essere stati espulsi dal partito nel 1923, sarebbero poi confluiti nel 1924 nel PCd’I (Partito comunista d’Italia).
Nell’agosto 1922 fu tra gli organizzatori a Milano dello sciopero generale cosiddetto legalitario, che si risolse in un sostanziale fallimento, finendo per favorire indirettamente la successiva presa del potere da parte dei fascisti. In seguito sviluppò una forte critica dell’operato della maggioranza della CGDL (Confederazione generale del lavoro), culminata nella presentazione, in una riunione del direttivo della Confederazione del gennaio 1925, di una mozione, firmata assieme ad Antonio Juraga e Vittorio Ghidetti, di «condanna senza riserve» dei dirigenti del sindacato, «per l’insufficienza, le incapacità, i tradimenti e l’inerzia» che avrebbero contraddistinto la loro azione negli anni precedenti (Marchetti, 1962, pp. 395 s.). Per tutta risposta, pochi giorni dopo, la CGDL lo espulse dall’organizzazione assieme agli altri due compagni.
Sottoposto più volte a fermi di polizia, venne arrestato nel dicembre 1926 e inviato al confino a Lipari il mese successivo; in seguito fu rinviato a giudizio di fronte al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, che lo condannò nel giugno 1928 a 15 anni e 4 mesi di reclusione nel famoso ‘processone’, assieme, tra gli altri, ad Antonio Gramsci, Umberto Terracini e Mauro Scoccimarro. Trascorse la detenzione presso numerosi istituti di pena (Sassari, Civitavecchia, Spoleto, Padova e Fossano), fino al 1934, quando venne scarcerato in seguito ad amnistia.
Non appena tornato libero tentò di riprendere l’attività illegale a Milano, ma nel 1936, nuovamente ricercato dalla polizia fascista, si rifugiò a Parigi, dove entrò a far parte del Centro estero comunista. Durante il soggiorno francese si dedicò in modo particolare alla redazione del giornale La voce degli italiani. In seguito al patto tedesco-sovietico dell’agosto 1939 gli esponenti dell’emigrazione comunista, compattamente schierati a difesa delle posizioni dell’Unione sovietica, furono in gran parte arrestati dalle autorità francesi: Nicola fu catturato nel gennaio 1940 e internato nel campo di concentramento di Vernet d’Ariège. Estradato in Italia nel novembre 1941, fu nuovamente inviato al confino, prima a Ustica e poi a Ventotene.
Riacquistata la libertà nell’agosto 1943 fece ritorno a Milano, dove andò a dirigere la locale Camera del lavoro. Dopo la crisi dell’8 settembre prese parte attiva al movimento di Liberazione, dapprima come istruttore politico delle formazioni partigiane in Emilia e in Romagna, poi come membro del triumvirato insurrezionale del Piemonte (in una prima fase, dalla primavera del 1944, assieme a Giordano Pratolongo e Arturo Colombi, poi, dal gennaio del 1945, con Giorgio Amendola e Francesco Scotti), in qualità di responsabile sindacale. Nel periodo trascorso in Piemonte fu anche segretario della Federazione torinese del PCI (Partito comunista italiano), carica che ricoprì fino alla liberazione della città.
Dopo la fine della guerra tornò nuovamente a Milano, dove riprese il suo posto di dirigente nella Federazione locale del partito e nella ricostituita CGIL (Confederazione generale italiana del lavoro); in seguito fu eletto, sempre nel capoluogo lombardo, prima nel Consiglio comunale e poi in quello provinciale.
Negli anni Cinquanta fu costretto ad abbandonare l’attività politica e sindacale per il sopraggiungere di una grave malattia che lo costrinse all’infermità per lunghissimo tempo.
Morì a Milano il 18 maggio 1971.
Opere: Il movimento operaio a Milano tra il 1921 e il 1924, inFascismo e antifascismo (1918-1936): lezioni e testimonianze, Milano 1962, pp. 140-144.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale di Pubblica sicurezza, Casellario politico centrale, b. 3534; È morto a Milano il compagno N., in l’Unità, 19 maggio 1971; T. Detti, N. G., in Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico. 1853-1943, a cura di F. Andreucci - T. Detti, III, Roma 1977, pp. 675-677; La Confederazione generale del lavoro negli atti, nei documenti, nei congressi. 1906-1926, a cura di L. Marchetti, Milano 1962, ad ind.; P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, I-V, Torino 1967-75, ad ind.; T. Detti, Serrati e la formazione del Partito comunista italiano. Storia della frazione terzinternazionalista (1921-1924), Roma 1972, ad ind.; L. Longo, I centri dirigenti del PCI nella Resistenza, Roma 1974, ad ind.; G. Cosmacini - G. Scotti, Francesco Scotti (1910-1973). Politica per amore, Milano 2010, ad indicem.