NESI, Giovanni
NESI, Giovanni. –Nacque a Firenze il 14 gennaio 1456 da Francesco di Giovanni e da Nera di Giovanni Spinelli.
Il padre, setaiolo, residente nel quartiere di S. Croce (popolo di S. Simone, gonfalone Bue), fu priore nel 1465 e nel 1476; possedeva una casa e terreni a Barberino Val d’Elsa, luogo da cui la famiglia ebbe origine con il nome di Petrucci. Il bisavolo di Nesi, Guccio di Nese, vissuto ai primi del Trecento era stato maestro di pietra e legname; suo figlio Nese, cuoiaio, ottenne il priorato nel 1378 e nel 1381; alla sua morte, nel 1383, fu sepolto in S. Croce.
L’agiatezza della famiglia permise a Nesi di vivere di rendita, come lui stesso afferma nella portata al Catasto dell’8 gennaio 1495, dove dichiara di essere «sanza alcuno aviamento», e di dedicarsi agli studi letterari. Non è chiaro da chi ricevette la prima istruzione. Ebbe però stretti rapporti con Donato Acciaiuoli, di cui può considerarsi discepolo; fra i due dovette intercorrere anche una certa amicizia, come testimonia una lettera affettuosa, datata 5 ottobre 1474, di Acciaiuoli a Nesi. Oltre che dell’aristotelismo di Acciaiuoli, la formazione di Nesi risentì del magistero di Cristoforo Landino e dei temi etico-civili che avevano caratterizzato gli scritti di Leonardo Bruni e di Matteo Palmieri.
L’esordio letterario si ebbe con alcune orazioni recitate in confraternite fiorentine, congregazioni laiche che a Firenze rappresentavano un luogo di immediata fruizione della cultura, dando modo di interpretare, pur attraverso argomenti religiosi, le istanze politiche e sociali che fervevano nella città. In questa linea le orazioni di Nesi costituiscono una sorta di compendio delle virtù sia del buon cristiano sia dell’ottimo cittadino. La Ioannis Nesii adulescentuli oratiuncula, che risale al 13 dicembre 1472, fu recitata presso la Compagnia di S. Niccolò; presso la Compagnia di S. Antonio da Padova il 7 aprile 1474 recitò l’Orazione del Corpo di Cristo e il 23 marzo 1475 l’Orazione de Eucharestia; dell’11 aprile 1476 è l’Orazione sull’umiltà, recitata presso la Confraternita della Natività, seguita nel 1478 da una Sulla carità; a queste si aggiunge un sermone sulla Passione di Cristo per cui non è precisabile l’anno (Vasoli, 1977, p. 73).
All’influenza di Acciaiuoli si devono i quattro libri del dialogo De moribus, scritto nel 1484 e dedicato al figlio undicenne del Magnifico, Piero de’ Medici.
Il dialogo, conservato nel ms. Plutei 77.24 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, riporta una discussione sull’Etica di Aristotele che si immagina avvenuta nell’anno 1477 in casa di Acciaiuoli. Alla discussione avrebbero partecipato, insieme con il maestro, molti giovani intellettuali fiorentini, fra cui Bernardo di Alamanno de’ Medici, Filippo Valori, Iacopo di Giovanni Salviati e Antonio Lanfredini. I primi tre libri possono considerarsi un compendio dell’Etica nicomachea e riguardano le virtù civili del buon cittadino, il quarto svolge considerazioni di carattere neoplatonico. Nel 1503, in un quadro storico-politico completamente mutato, Nesi si accinse a una revisione dell’opera con l’intenzione di darla alle stampe e cambiò la dedica, indirizzandola ai giovani fiorentini, verso i quali erano riposte le speranze della neonata Repubblica. Il De moribus non fu però mai stampato; la seconda redazione è conservata nel ms. 194 della Burgerbibliothek di Berna.
Il 23 marzo 1486, presso la celebre Confraternita dei Magi, nella quale avevano declamato anche Acciaiuoli, Landino e Alamanno Rinuccini, e della quale faceva parte Lorenzo il Magnifico, Nesi pronunziò una seconda orazione De charitate, nella quale espose la propria dottrina su questa virtù teologale e, con chiare allusioni alla rivelazione platonica ed ermetica, ne rivelò i principi attraverso un linguaggio intriso di metafore luminose e solari, che ricordano le speculazioni di Marsilio Ficino sul «fuoco d’amore», simbolo della divina potenza e segno della carità universale. Già nel De moribus i temi tipici dell’umanesimo civile erano stati piegati in direzione platonica e, accanto a Acciaiuoli e a Landino, Nesi aveva celebrato come suo maestro Ficino. Lo stesso filosofo, in una lettera indirizzata a Martino Uranio, annovera Nesi fra i suoi discepoli.
Il percorso intrapreso da Nesi lo condusse quasi naturalmente nell’Accademia Ficiniana e all’adesione alla filosofia neoplatonica. Gli anni trascorsi nell’Accademia coincisero con le relazioni che intrattenne con la famiglia Medici e con la frequentazione di personalità che gravitavano intorno all’orbita medicea, come il Poliziano, Bartolomeo della Fonte, Naldo Naldi, Alessandro Braccesi, Ugolino Verino, il quale nel suo De illustratione Urbis Florentiae pone Nesi fra i letterati più illustri del tempo e gli dedica un carme della sua raccolta di Epigrammi: Ad Ioannem Nesium, quomodo a peccatis sit abstinendum.
Ricoprì anche cariche nel reggimento del governo: fu priore dal maggio al giugno 1485 e dal gennaio al febbraio 1503; partecipò attivamente alle Pratiche, l’organismo che costituiva il luogo di partecipazione più diretta dei cittadini alla vita della Repubblica; fu ufficiale dello Studio nel 1497 e nel 1499 e dall’11 luglio 1505 al 5 gennaio 1506 fu podestà a Prato, dove promosse e partecipò alla riforma degli Statuti.
Segnarono profondamente la sua personalità l’adesione al movimento savonaroliano e l’esperienza di fedele piagnone, documentata sia da testimonianze dirette dei contemporanei − fra cui quella di Silvestro Maruffi, che lo annovera nelle file di seguaci del frate − sia dagli scritti.
Nesi condivise l’esperienza savonaroliana con altri artisti e intellettuali, come Pico della Mirandola e Girolamo Benivieni, anch’essi attratti dal carisma esercitato dalle predicazioni profetiche del frate, il cui desiderio di riforma poteva coincidere con le aspirazioni alla universale concordia, che avrebbe visto unito tutte le religioni, teorizzata da Pico.
La ragione dell’adesione di Nesi al programma riformistico propugnato da Savonarola era però certamente legata alle mutate condizioni politiche di Firenze: il dispotismo di Piero de’ Medici, l’ascesa al soglio papale di Alessandro VI e le minacce delle invasioni straniere avevano interrotto bruscamente il periodo di stabilità che il governo di Lorenzo aveva garantito. Lo scritto di Nesi che maggiormente riflette il suo impegno savonaroliano e il clima denso di aspettative riformistiche di quegli anni è l’Oraculum de novo saeculo, in prosa latina, stampato a Firenze, per i tipi di Lorenzo Morgiani, l’8 maggio 1497, dedicato, in prima redazione, a Giorgio Benigno Salviati, teologo francescano legato alla cerchia medicea e autore delle Profeticae solutiones in difesa di Savonarola. In una seconda redazione l’opera fu diretta a Giovanfrancesco Pico della Mirandola. Si tratta di un saggio pieno di contenuti astrologici e di elementi che riconducono alla cabala. Vi si annuncia l’avvento di un nuovo regno, la renovatio profetizzata dal Savonarola e auspicata da Pico: un ritorno alla mitica età dell’oro, nella quale Firenze, rinnovata nei costumi civili e spirituali, sarebbe andata incontro a un destino glorioso e felice, come una nova Ierusalem.
Nell’Oraculum compaiono anche simboli ermetici e neopitagorici, che Nesi spiegò nel Symbolum, un commentario degli apoftegmata di Pitagora, tramandato nel ms II.I.158 della Biblioteca nazionale di Firenze, indirizzato al monaco camaldolese Paolo Orlandini, anch’egli discepolo di Savonarola (edito in Celenza, 2001). L’opera riflette il tentativo di individuare una mediazione fra le idee di Ficino e quelle di Savonarola, creando un curioso amalgama di varie impostazioni filosofiche e religiose.
L’influsso della speculazione neoplatonica, che recuperava accanto ai testi di Platone anche testi ermetici, orfici, pitagorici e gli oracoli caldei, contagiò, accanto alle suggestioni savonaroliane, anche l’ispirazione poetica di Nesi, che si espresse nel Canzoniere e nel Poema.
Il Canzoniere, pervenuto in un unico esemplare autografo nel ms. 2962 della Biblioteca Riccardiana di Firenze, si presenta, sulla scorta del modello petrarchesco, come una raccolta di rime che celebra la donna amata, Andreola di Francesco di Berto da Filicaia, nata a Firenze il 3 dicembre 1455, sorella di quel Berto da Filicaia, personaggio di spicco nella vita politica fiorentina, dal 20 gennaio 1495 al 30 aprile 1496 membro del Consiglio Maggiore. Molti componimenti risalgono al periodo fra l’ottobre 1497 e il maggio 1498, ma all’interno del corpus sono compresi gruppi di liriche non datate; fra queste 28 sonetti sono ascrivibili con certezza agli anni Ottanta. Il Canzoniere rappresenta il disegno di un’incompiuta autobiografia amorosa contrassegnata da forti toni ficiniani, che funziona come una vera e propria fabula filosofica, sebbene non manchino nella raccolta sonetti d’occasione, indirizzati ad amici e a parenti, e rime di intonazione morale e religiosa che attestano l’infuenza di Savonarola.
L’impresa poetica che doveva maggiormente impegnare Nesi fu il Poema, la cui stesura iniziò dopo il 1499 e rimase incompiuto presumibilmente per la morte del poeta. In 28 canti in terzine, è tramandato in quattro redazioni, di cui tre autografe, conservate a Firenze, Biblioteca Riccardiana nei Mss. 2118, 2123, 2750, 2722. È strutturato come un viaggio ultraterreno, simile a quello dantesco, ma la filosofia che ne sostiene l’architettura è quella ficiniana e neoplatonica.
Morì a Firenze tra il 15 novembre e il 15 dicembre 1506.
Fu sepolto in S. Croce (Arch. di Stato di Firenze, Sepoltuario fiorentino di Stefano Rosselli [1657], filze 624 s.).
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