PIERANTONI, Giovanni Nepomuceno Luigi
PIERANTONI, Giovanni Nepomuceno Luigi. – Nacque a Roma il 13 febbraio 1742, da Pietro Antonio, originario di Loreto, e Domenica Allegrini, romana; per i primi anni abitò con i genitori alla svolta di S. Eustachio presso la parrocchia di S. Maria sopra Minerva. A ventuno anni, il 24 maggio del 1763, sposò Flavia Cavaceppi, figlia di Paolo, fratello del famoso restauratore Bartolomeo Cavaceppi, e dal 1774 al 1778 visse con la moglie e due figli in una casa in via del Babuino. Ebbe dunque certamente modo di conoscere la notissima bottega di Cavaceppi e di farvi esperienza insieme ai molti collaboratori che si avvicendavano in quello studio. Frequentò anche lo scultore Pietro Pacilli, tanto che alla sua morte ne ereditò metà delle opere conservate nel laboratorio, dividendole con Vincenzo Pacetti, allievo di Pacilli.
Rimasto vedovo il 4 agosto 1778, il 4 gennaio 1779 contrasse un nuovo matrimonio con Francesca Ambrogi, evento che gli costò l’appellativo di Sposino con cui è menzionato ripetutamente nelle fonti coeve. Dal secondo matrimonio Pierantoni ebbe quattro figli: Gioacchino e Nicola, entrambi morti a soli due anni di età rispettivamente nel 1782 e nel 1783, Anna Antonia e Pietro (1787-1871) che ereditò il patrimonio e l’atelier del padre. Dal 1780 la famiglia visse in una casa in via del Corso presso la chiesa di S. Maria di Montesanto, dove Pierantoni trascorse tutti i suoi giorni; a partire dal 1790 acquistò progressivamente diverse proprietà nell’isolato tra via del Corso, via del Babuino e vicolo della Fontanella, per trasformarle in un unico prestigioso palazzo ancora esistente. Sul portone d’ingresso un rilievo in bronzo con le iniziali dello scultore ricorda questa impresa.
Stabilì stretti rapporti di amicizia e collaborazione professionale con molti degli scultori e restauratori della capitale pontificia. Fin dagli anni Settanta riuscì a vendere al Vaticano diverse sculture restaurate, ma la sua carriera fu segnata dalla nomina nel 1782 come Soprintendente ai restauri per il Museo Pio-Clementino: da quel momento, seguendo le indicazioni di Ennio Quirino Visconti, si occupò quasi esclusivamente di dirigere un imponente laboratorio situato all’interno del palazzo Vaticano presso la Torre de’ Venti. Sotto la sua direzione furono restaurate decine di opere del museo, come per esempio la testa di eroe greco del gruppo del Pasquino (inv. 694), il Sarcofago di S. Elena (inv. 238) o la statua colossale di Cerere (inv. 254).
Tra gli interventi più tardi si deve a lui il restauro della statua colossale dell’Antinoo Braschi, rivenuto tra il 1792 e il 1793 da Gavin Hamilton presso Palestrina, acquistato dalla famiglia Braschi, poi da papa Gregorio XVI nel 1844 per il Laterano e nel 1862 trasferito ai Musei Vaticani dove oggi si conserva (inv. 256).
Dopo un serrato dibattito tra i collezionisti e gli eruditi dell’epoca sulle modalità di restauro, Pierantoni integrò tutta la parte inferiore del corpo, compreso il ricco panneggio, prova evidente delle sue doti di sculture e restauratore dell’antico.
Più rari gli interventi documentati nella collezione dei Musei Capitolini: «una Venere di scoltura al naturale» (Diario ordinario, n. 1692, 19 marzo 1791, p. 16) e un Apollo-Pothos, integrato sull’esempio di quello del Pio Clementino (Stuart Jones, 1912, pp. 294 s.).
La posizione di privilegio all’interno del museo fu all’origine della sua fortuna economica, ma gli costò anche l’invidia e la rivalità di diversi scultori dell’epoca, primo fra tutti di Pacetti, che si oppose alla sua nomina come accademico di S. Luca; nonostante questo parere negativo, venne ammesso in Accademia il 16 novembre 1783. L’incarico al museo gli fruttò inoltre nel 1788 la patente di Scultore dei Sacri Palazzi Apostolici e il 13 giugno 1790 l’elezione tra i Virtuosi al Pantheon.
Nel 1784 realizzò una statua di Pio VI destinata alla Nuova Biblioteca del Collegio germanico.
La scultura raffigura il pontefice nell’atto simbolico di sollevare il Genio delle belle arti; sulla base della statua tre bassorilievi rappresentano altrettanti episodi fondamentali del pontificato: La visita di Pio VI alla Nuova Sacrestia Vaticana; La visita alle Paludi Pontine, dov’è raffigurato anche l’ingegnere idraulico bolognese Gaetano Rappini, progettista della bonifica; La visita di Pio VI alla sala delle Muse. Pur nelle soluzioni formali non sempre brillanti, si legge un’attenzione particolare alle maestranze specializzate coinvolte nelle imprese pontificie, che animano il secondo piano, esplicito omaggio al ruolo avuto da Pio VI nella promozione dei mestieri legati all’arte e all’architettura.
Anche se si dedicò essenzialmente al restauro, Pierantoni scolpì alcuni ritratti del pontefice: sono noti un ovale con cornice di granito e metallo (realizzata, quest’ultima, da Giuseppe Valadier) e un busto proveniente dalla biblioteca di Terracina e oggi nel locale palazzo comunale (Piva, 2007, pp. 254-257).
Di frequente si occupò di stime di collezioni di antichità: nel 1787 Philipp Hackert e Domenico Venuti lo incaricarono di valutare le sculture della Collezione Farnese; nel 1793 fu chiamato a valutare, insieme a Pacetti, Antonio Salvi e Andrea Volpini, le sculture rinvenute in uno scavo del marchese Azzolini. Nel 1799 con Carlo Albacini e Pacetti fu esecutore testamentario dell’immensa eredità di Cavaceppi. Nel 1808, con gli stessi scultori, stimò la collezione di antichità di palazzo Rondinini, mentre nel 1815 fu interpellato insieme ad Annibale Malatesta per la raccolta Vitali.
Intrattenne un rapporto di fiducia privilegiato con gli antiquari e pittori Gavin Hamilton e Thomas Jenkins, per i quali lavorò di frequente. Nel 1773, per esempio, restaurò il gruppo marmoreocon Satiro e Ninfa, passato attraverso Jenkins nella collezione di Charles Townley e oggi al British Museum di Londra (inv. 1658). Con Hamilton intraprese negli anni Novanta lo scavo della villa di Lucio Vero in località Acquatraversa sulla via Cassia; dallo scavo emersero molte sculture, alcune delle quali, come il Fanciullo che gioca con le noci (inv. 2419), una volta restaurate da Pierantoni furono vendute ai Musei Vaticani.
Insieme a diversi restauratori dell’epoca fu coinvolto da Ennio Quirino Visconti per completare le sculture antiche emerse dallo scavo dell’antica città di Gabii acquistate da Marcantonio Borghese, in vista dell’allestimento del Museo Gabino. Pierantoni restaurò diverse sculture, tra cui la statua di Caligola e la Testa colossale di Tiberio, dimostrandosi specialista nel restauro dei ritratti.
Fu intermediario negli acquisti di antichità per diversi committenti stranieri: alla fine degli anni Ottanta fu in contatto con Marcello Bacciarelli, romano naturalizzato polacco, primo pittore del re Stanislao I di Polonia e suo consigliere artistico, mentre nel 1795 lavorò per il principe Stanislao Augusto Poniatowski.
Nel 1803 riuscì a vendere al banchiere Thomas Hope una statua di Antinoo di grandi dimensioni; la scultura, fatto piuttosto raro, presentava una testa antica pertinente, con il ritratto ideale del giovane prediletto di Adriano. Alla statua, che oggi è conservata alla Lady Lever Art Gallery di Port Sunlight (inv. LLAG208), Pierantoni integrò buona parte del corpo e gli avambracci con la coppa e l’anfora – riferimenti a Ganimede –, dimostrando notevoli capacità mimetiche.
Tra le poche sculture di invenzione rintracciate fino a oggi, si può ricordare William Pitt il Giovane come Ercole fanciullo che strangola i serpenti con le teste di lord North e mr. Fox, realizzato entro la fine del secolo (Sforza, 2004, pp. 39-43).
Pierantoni possedeva una piccola raccolta di dipinti, senza pezzi di particolare pregio, ma esempio tipico del collezionismo minore di questi anni con un gusto piuttosto articolato (Piva 2007, pp. 284 s.). Durante la sua carriera mise insieme una notevole collezione di sculture antiche, che nel 1817 furono acquistate dai Musei Vaticani grazie all’intermediazione di Antonio Canova.
Fu Canova ad assegnargli anche l’ultimo prestigioso incarico della sua carriera: il restauro del gruppo del Laocoonte, rientrato da Parigi dopo le requisizioni francesi e fratturato in più parti dopo un incidente occorso durante il trasporto sulle Alpi. Pierantoni, insieme a Francesco Massimiliano Laboureur, nel gennaio 1816 redasse una relazione sullo stato di conservazione della scultura (D’Este, 1864, pp. 450-452, nn. 99-100) in vista del restauro.
Morì il 3 dicembre del 1817 e fu seppellito nella chiesa di S. Maria di Montesanto, dove il figlio Pietro allestì nella prima cappella a destra la tomba di famiglia.
Nel 1814 Giuseppe Tambroni lo annoverò nel capitolo Dell’arte dello scalpellino tra «i più intelligenti e rinomati» della Roma del Settecento (Rudolph, 1982, p. 77); nella Lettera sopra il restauro Giovanni Gherardo De Rossi, nel 1826, ne ricordò le qualità come Sopritendente ai restauri del Vaticano e lodò in particolare l’integrazione dell’Antinoo Braschi (pp. 34 s.).
Fonti e Bibl.: G.G. De Rossi, Lettera sopra il restauro di un’antica Statua di Antinoo, e sopra il restauro degli antichi marmi nei tre secoli precedenti al nostro, in Nuovo giornale de’ letterati, XIII (1826), 28, pp. 23-38; A. D’Este, Memorie di Antonio Canova scritte da Antonio D’Este e pubblicate per cura di Alessandro D’Este con note e documenti, Firenze 1864, pp. 450-452, nn. 99-100; H. Stuart Jones, A catalogue of the ancient sculptures preserved in the Municipal Collections of Rome. The sculptures of the Museo Capitolino..., Oxford 1912, pp. 294-295; C. Pietrangeli, Lo scultore G. P. e un rilievo nel Museo di Roma, in Bollettino dei musei comunali di Roma, XXII (1975), pp. 33-39; O. Rossi Pinelli, Artisti, falsari o filologhi? Da Cavaceppi a Canova: il restauro della scultura tra arte e scienza, in Ricerche di Storia dell’arte, XIII/XIV (1981), pp. 41-56; S. Rudolph, Giuseppe Tambroni e lo stato delle belle arti in Roma nel 1814, Roma 1982; C. Pietrangeli, Una nuova opera dello scultore G. P., in Bollettino dei musei comunali di Roma, XXXI (1984), pp. 76-79; C. Piva, Il laboratorio alla Torre de’ Venti: G. P. “Soprintendente alli restauri” in Vaticano, in Neoclassico, XXIII/XXIV (2003), pp. 97-108; M.R. Sforza, Gli ultimi anni della Roma di Pio VI: lo Sposino, “Scultore del Papa”, e i nobili inglesi, ibid., XXVI (2004), pp. 28-45; R. Carloni, Lo scultore G. P. tra gelosie professionali e commercio antiquario, in Strenna dei romanisti, LXVI (2005), pp. 131-148; Id., G. P. “scultore dei Sacri Palazzi Apostolici” e antiquario romano, in Bollettino dei musei comunali di Roma, n.s., XIX (2005), pp. 95-144; C. Piva, G. P. “novo restauratore del Vaticano” (1742-1817), in Il corpo dello stile. Cultura e lettura del restauro nelle esperienze contemporanee. Atti del Seminario internazionale di studi... 2004, a cura di C. Piva - I. Sgarbozza, Roma 2005, pp. 193-206; C. Piva, Restituire l’antichità. Il laboratorio di restauro della scultura antica del Museo Pio-Clementino, Roma 2007, pp. 243-301; J. Hughes, The myth of return: restoration as reception in Eighteenth-century Rome, in Classical receptions journal, III (2011), 1, pp. 1-28; S. Sperindei, Parentele tra scultori romani. Le relazioni familiari tra Paolo Cavaceppi, Massimiliano Laboureur e G. P., in Lazio ieri e oggi, XLVII (2011), 554, pp. 13-15; T.L.M. Vale, Contributo alla scultura romana del tardo Settecento: un ritratto inedito di Pio VI, in Arte cristiana, CII (2014), 883, pp. 267-272.