MOSSI, Giovanni
– Nacque presumibilmente verso il 1680, dato che dal 1694 risulta attivo come violinista a Roma (Sgaria, 1995, p. 1122); viene definito «romano» nei frontespizi delle sue prime 5 raccolte strumentali.
Nei documenti contemporanei a Roma figurano altri tre musicisti di nome Mossi: Bartolomeo, suo padre (nei pagamenti che ricevette nel 1704 e nel 1707 a S. Luigi dei Francesi Mossi è registrato come «Gio.[vanni] di Bartolomeo»; Lionnet, 1986, pp. 193 s., doc. 221), suonatore di viola, attivo tra il 1674 e il 1726; Giuseppe, virtuoso di viola e suonatore di violoncello, probabilmente fratello di Giovanni (Sgaria, 1995, p. 1124); Gaetano, cantore nella Cappella Pontificia, indi nella Cappella reale portoghese, di cui si ignora se imparentato con Giovanni.
Sulla formazione musicale di Mossi nulla sappiamo di preciso; l’affermazione che sia stato allievo di Arcangelo Corelli non è documentata. È presumibile che lo stesso Bartolomeo abbia impartito al figlio i rudimenti del violino e l’abbia introdotto nell’ambiente musicale cittadino. Le prime notizie su Mossi violinista risalgono al 1694: il nome, seguito dall’indicazione «figlio di Bartolomeo», compare nell’elenco dei «musici di Roma, nell’anno che il sig. Gio. Paolo Colonna si portò in Roma» (Mischiati, 1983, p. 222). Nello stesso periodo un «Giovannino di Bartolomeo» compare tra i violinisti aggiunti in esecuzioni musicali patrocinate dal cardinale Ottoboni in S. Maria Maggiore, in S. Lorenzo in Damaso e nell’oratorio di S. Marcello (Marx, 1968). L’uso frequente del diminutivo «Gioannino» fa supporre una carriera di violinista iniziata da ragazzo; il 27 aprile 1700 il nome compare per la prima volta nei verbali della Congregazione dei musici di S. Cecilia proprio con tale diminutivo (Sgaria, 1995, p. 1125); nella stessa Congregazione gli fu poi assegnata la carica di consigliere (1708 e 1716) e di prefetto delle feste (1713; ibid.). Attorno al 1716 fu aggregato al sodalizio come professore di violino, come risulta dal fascicolo che raccoglie gran parte delle richieste di sussidio inviate da Mossi alla Congregazione nel periodo 1731-41: «1716. Posizione del Sig. Giovanni Mossi aggregato come professore di violino» (Roma, Accademia nazionale di S. Cecilia, Archivio storico, Cat. III, b. 109, fasc. 2175).
Nei primi anni d’attività partecipò a numerose esecuzioni patrocinate da importanti mecenati romani e da istituzioni prestigiose. «Gioannino» compare come violinista di ripieno nella premiazione del concorso dell’Accademia del disegno di S. Luca in Campidoglio il 19 aprile 1703 e il 7 maggio 1705 (Sgaria, 1995, p. 1126), e nelle liste di pagamento relative a tre oratorii patrocinati dal cardinale Benedetto Pamphilj nella propria residenza privata e nell’oratorio della Chiesa Nuova (Marx, 1983, pp. 167 s.). Dal 1704 al 1711 compare spesso a S. Luigi dei Francesi, in particolare per la festa del santo il 25 agosto (Lionnet, 1986). Si potrà identificare con Mossi anche il «Giovanni» documentato negli oratorii dati a S. Girolamo della Carità nelle stagioni 1704-05 e 1705-06 (Sgaria, 1995, p. 1126). Nel 1708 figura tra i violinisti nell’esecuzione dell’oratorio La Resurrezione di Händel patrocinato dal marchese Francesco Maria Ruspoli.
Dal libretto di una cantata a due voci, In onore del glorioso nome di s. Gaetano (Roma 1711, musica di Giuseppe Draghi Cardinalino), abbiamo notizia d’un impiego stabile tenuto in questi anni: il violinista, che sul frontespizio figura come «Poeta» della composizione, risulta «virtuoso del signor duca di Bracciano», ossia Baldassare Odescalchi. Il libretto della cantata è dedicato a madama Colbert principessa di Carpegna.
Non si sa quanto durò il servizio alla corte dell’Odescalchi; doveva essere cessato nel 1716, anno in cui diede alle stampe l’opera prima, 12 Sonate a violino e violone o cimbalo (Amsterdam, Jeanne Roger), dedicata al cardinale Wolfgang Hannibal von Schrattenbach, vescovo di Olmütz, che avrà forse conosciuto nel 1714 durante il primo soggiorno romano del prelato: nella dedica Mossi non fa infatti allusione ad alcuna posizione di «virtuoso» presso la corte di Odescalchi. Delle due opere successive (VIII Concerti a tre e a cinque instromenti, op. 2, e VI Concerti a 6 instromenti, 4 violini, alto viola e basso continuo, op. 3) possediamo le edizioni di Jeanne Roger pubblicate ad Amsterdam intorno al 1720. L’assenza di dediche lascia aperto il dubbio circa gli antigrafi di cui si valse l’editore neerlandese: manoscritti forniti dallo stesso compositore, oppure copie non autorizzate, o infine – ipotesi più improbabile – un’edizione italiana oggi perduta? (cfr. Rasch, 2002, p. 249)
Negli anni successivi (1717-29 e 1733-37), in diverse produzioni musicali patrocinate dal cardinale Pietro Ottoboni per le Quarant’ore e per le feste di s. Lorenzo (10 agosto) e di s. Damaso (11 dicembre) Mossi figura come musicista del «concertino», accanto ad Antonio Montanari e Domenico Ghilarducci. Il legame col cardinal Ottoboni durò negli anni: a lui Mossi dedicò anche la sua ultima opera, le sonate da camera dell’Op. 6. Nel carnevale 1724 partecipò a esecuzioni musicali patrocinate da Marcantonio Borghese al teatro d’Alibert; nei due anni successivi è attestato a S. Giacomo degli Spagnoli tra i violinisti di ripieno per la «Messa di Spagna» celebrata il 23 gennaio per s. Idelfonso. Nel 1727 uscì ad Amsterdam (edita questa volta da Michel-Charles Le Cène, che aveva sposato la sorella di Jeanne Roger) l’Op. 4 – ma in alcuni esemplari indicata come Op. 2 – una raccolta di 12 Concerti a quattro violini e violoncello obligati, dedicati a Maria Vittoria Altieri, consorte di Nicolò Maria Pallavicini principe di Gallicano: un passaggio della dedica che apre l’Op. 4 («implorando da V.E. non solo a quest’opera, ma anche a me medesimo la continuazione dell’alto suo patrocinio [...]») farebbe pensare a un impiego stabile o continuativo presso la principessa. Nel novembre 1727, pochi mesi dopo l’uscita di questa raccolta, apparve ad Amsterdam l’Op. 5 (XII Sonate o Sinfonie a violino solo con il violoncello) priva di dedica. Nel 1733, sempre ad Amsterdam, uscì l’Op. 6 (in alcuni esemplari indicata come Op. 3) che raccoglie 12 sonate da camera per violino e violoncello o cembalo. La lunga pausa editoriale sarà magari stata causata dai problemi di salute che il violinista cominciò ad accusare almeno dal 1729, attestati in molte lettere e suppliche da lui indirizzate alla Congregazione di S. Cecilia per godere dei sussidi riservati ai musicisti bisognosi (Roma, Accademia nazionale di S. Cecilia, Archivio storico).
Il 9 giugno 1731 scrisse: «sono quasi tre anni che si ritrova infermo di dolori e per tal causa è inabile a poter procacciarsi il vitto» (in Sgaria, 1995, p. 1138); col passar degli anni le richieste d’aiuto si fecero più frequenti e pressanti. Al 1737 risale la sua ultima sortita pubblica, nella cappella Borghese in S. Maria Maggiore, di nuovo per le Quarant’ore. In seguito la sua situazione economica si fece sempre più insostenibile, forse anche per l’aggravarsi della «tormentosa malattia chiamata da’ medici rachitide» (ibid., p. 1140). L’ultima richiesta alla Congregazione risale al settembre 1741, l’ultima sovvenzione elargita è del 6 ottobre dello stesso anno.
Morì nel 1742, in una data imprecisata tra l’8 gennaio e l’8 febbraio: lo si deduce dalle cinque messe fatte celebrare in suffragio dalla Congregazione di S. Cecilia in quest’ultima data (ibid., p. 1141).
Almeno fino a metà Settecento le opere di Mossi furono conosciute ed eseguite in Europa, grazie alla diffusione delle edizioni di Roger e Le Cène. Già nell’anno della pubblicazione dell’Op. 1 (1716) il suo nome compare in una raccolta miscellanea edita da Roger, comprendente composizioni di Giuseppe Valentini e Antonio Vivaldi. Una copia manoscritta del Concerto op. 3 n. 5, attualmente a Manchester, fu realizzata probabilmente a Roma nel 1717 dal violinista tedesco Georg Pisendel (ibid., p. 1134; McVeigh - Hirshberg, 2004, p. 156 n. 6). Dal 1723 Michel-Charles Le Cène ristampò le prime tre opere già edite da Roger, utilizzando le stesse lastre di rame ma cancellando dal frontespizio il nome della cognata per sostituirlo col proprio; non risulta però che siano pervenuti esemplari dell’Op. 2 nella ristampa di Le Cène (Sgaria, 1995, pp. 1135). La ristampa di queste edizioni transalpine è una prova del gradimento con cui l’opera di Mossi dovette essere accolta in Europa. Nel 1726 un «Menuet by sig.r Mossi» venne pubblicato a Dublino in una miscellanea di musiche per violino e basso continuo (A third collection for the violin of the newest English airs and minuets), mentre intorno al 1750 la Sonata op. 6 n. 1 venne ripubblicata a Londra da Elizabeth Hare in una miscellanea di 6 composizioni violinistiche selezionate da «the best composers in Italy».
Vi è una certa confusione circa la numerazione delle raccolte di Mossi, dovuta forse a una precisa strategia editoriale di Le Cène. Alcuni esemplari dell’Op. 4 sono infatti indicati come Op. 2, mentre altri esemplari dell’Op. 6 sono indicati come Op. 3. In tal modo, oltre alla numerazione ordinaria (da 1 a 6) – pensata per il mercato d’oltralpe – si configura una seconda numerazione costituita dalle tre sole opere contenenti una dedica (forse le sole pienamente autorizzate dal compositore), destinate al solo mercato italiano (Rasch, 2002, p. 249).
Nel campo della sonata l’influsso della codificazione stilistica corelliana è evidente nell’organizzazione interna delle raccolte, nell’alternanza di movimenti lenti e veloci, nel linguaggio violinistico. Segnali di un mutamento stilistico si colgono nell’Op. 6: rispetto alle precedenti, queste sonate mostrano una maggior varietà sul piano formale, soprattutto per quanto concerne i movimenti di danza (compare il minuetto e si osserva la preferenza per la siciliana in luogo della sarabanda). Anche la scrittura violinistica si arricchisce di linee melodiche riccamente fiorite e indirizzate verso una netta cantabilità, ben evidente anche nelle indicazioni apposte a inizio movimento («affettuoso», «amoroso», «cantabile»). L’affinità col modello corelliano è palese anche nei concerti, sia nel taglio della forma perlopiù in quattro movimenti, sia per la scrittura strumentale che risulta, soprattutto sotto il profilo contrappuntistico, assai legata a moduli tardoseicenteschi. Per altri versi i concerti di Mossi mostrano tratti stilistici tipici della generazione post-Corelli; e c’è chi vi ha còlto l’influsso del compositore romano Giuseppe Valentini, coetaneo di Mossi. Quest’influenza si osserva per esempio in scelte di organico che palesano un gusto orchestrale nuovo: è il caso del concerto conclusivo dell’Op. 4 per quattro violini obbligati (interessanti i parallelismi col concerto op. 7 n. 11 di Valentini, di egual organico; cfr. Pavanello, 2002, p. 125). Modificazioni interessanti si rilevano anche nella scrittura adottata e nei nuovi equilibri sonori che essa determina: soprattutto nei concerti dell’Op. 3, al violino primo sono assegnati episodi solistici riccamente ornati, sia nei movimenti fugati, sia nei tempi iniziali; alle volte essi svolgono anche funzione di collegamento con i movimenti lenti centrali. Più in generale si osserva che i concerti dell’Op. 3 e 4, alla stregua di quelli d’altri compositori romani come Antonio Montanari e il menzionato Valentini, presentano tratti stilistici che, pur nell’alveo della tradizione corelliana, per certi versi la superano in direzione di nuovi assetti formali, in particolare la forma a ritornello (McVeigh - Hirshberg, 2004, p. 156).
Fonti e bibl.: Roma, Accademia nazionale di S. Cecilia, Archivio storico, Cat.III, b.109, fasc. 2175: 1271 M. G., aggregato come professore di violino (1731-1741); Ibid., Registri, Congregazioni generali e segrete, reg. 3, verbali del 27 aprile 1700, 22 settembre 1707, 22 settembre 1712, 12 settembre 1713, 25 ottobre 1713, 13 marzo 1715; reg. 4, verbali 27 novembre 1715, 19 novembre 1716, 22 settembre 1717, 11 ottobre 1717, 22 ottobre 1720, 25 settembre 1726; K. Brückner, G. M. Seine Umwelt und seine Sonaten, diss., Universität München, 1921; H.J. Marx, Die Musik am Hofe Pietro Kardinal Ottobonis unter A. Corelli, in Analecta musicologica, V (1968), pp. 104-177; Id., Die «Giustificazioni della casa Pamphilj» als musikgeschichtliche Quelle, in Studi musicali, XII (1983), pp. 167 s. (doc. 111), 177 s. (doc. 157), 181 s. (doc. 173); O. Mischiati, Una statistica della musica a Roma nel 1694, inNote d’archivio, n.s. I (1983), p. 222; J. Lionnet, La musique à Saint-Louis des Français de Rome au XVIIe siècle, ibid., IV (1986), pp. 194 s. (docc. 222-223); M. Talbot, «Lingua romana in bocca veneziana»: Vivaldi, Corelli and theRoman School, in Studi corelliani IV, a cura di P. Petrobelli - G. Staffieri, Firenze 1990, p. 306; G. Sgaria, G. M. (c. 1680-1742): vita e concerti. Uno sguardo alla vita musicale romana del periodo postcorelliano, tesi di laurea, Università di Pavia, a.a. 1991-92, 2 voll. (con edizione critica dei concerti e il catalogo delle opere); Id., G. M., musicista romano del primo Settecento, in Intorno a Locatelli, a cura di A. Dunning, Lucca 1995, pp. 1113-1167; S. La Via, L’ambiente musicale ottoboniano, in G. Rostirolla, Il «mondo novo» musicale di Pier Leone Ghezzi, Milano 2001, pp. 64-66; A. Pavanello, I concerti con quattro violini obbligati di Giuseppe Valentini, G. M. e Pietro Antonio Locatelli, in Italienische Instrumentalmusik des 18. Jahrhunderts. Alte und neue Protagonisten, a cura di E. Careri - M. Engelhardt, in Analecta Musicologica, XXXII (2002), pp. 120-125; R. Rasch, Il cielo batavo. I compositori italiani e le edizioni olandesi delle loro opere strumentali nel primo decennio del Settecento, ibid., p. 249; S. McVeigh - J. Hirshberg, The Italian solo concerto: 1700-1760. Rhetorical strategies and style history, Woodbridge 2004, pp. 156-162; A. Pavanello, Il «concerto grosso» romano. Questioni di genere e nuove prospettive storiografiche, Turnhout 2006, pp. 169-178. The new Grove dictionary of music and musicians (ed. 2001), XVII, p.186; Die Musik in Geschichte und Gegenwart. Personenteil, XII, col. 539.