MOSCA, Giovanni
– Nacque a Roma il 14 luglio 1908 da Benedetto, impiegato dello Stato, e da Emma Ugolini, che morì durante il parto.
Esordì come vignettista inconsapevole a 16 anni, nel 1924. Era stato appena ritrovato (il 16 agosto) il cadavere di Giacomo Matteotti, rapito il 10 giugno di quell’anno, e il turbamento nel Paese era profondo. Emotivamente coinvolto, il giovane Mosca disegnò un grande cane poliziotto che trascinava un carabiniere nel luogo dov’era sepolto il corpo e aggiunse la scritta «Mussolini, cave canem!»; attaccò la vignetta sulla statua di Pasquino nell’omonima piazza romana, dove rimase affissa per una settimana. Un disegnatore del giornale antifascista Il becco giallo, testata appena fondata da Alberto Giannini, la vide e la pubblicò in prima pagina. Mosca, orgoglioso, portò il giornale al padre, il quale, ignaro che la vignetta fosse del figlio, ne elogiò ammirato l’autore coraggioso, ma poi strappò il giornale, ordinandogli di non occuparsi mai di politica.
Conseguito il diploma magistrale, si dedicò all’insegnamento elementare (1931-36); intanto intraprendeva la carriera giornalistica collaborando a Il Cianchettini di Filiberto Scarpelli, a Il Littoriale, a Roma fascista, da cui fu allontanato subito per incompatibilità di vedute, come lui stesso ricorda: «Non potevo dirmi antifascista, semplicemente possedevo un certo senso dell’umorismo che mi permetteva di cogliere l’aspetto ridicolo delle cose e quanto più le si spacciava per serie, tanto più ero tentato di mostrare quanto buffa fosse la sostanza» (La Signora Teresa, Milano 1977, in Del Buono, 1994, p. 214). Scrisse anche per la Gazzetta del Popolo e La Stampa, ma potè esercitare a pieno il suo umorismo solo sulla rivista romana Marc’Aurelio, fondata nel 1931 da Oberdan Cotone e Vito De Bellis, dove tenne varie rubriche (Gerolamo, Cuore, Scienze per tutti), e sul milanese Bertoldo, di cui fu condirettore dal 1936 al 1943. Ebbe rubriche pure sul Corrieredella sera e su La lettura, mensile del Corriere (1937); collaborò inoltre a Il Settebello e diresse il settimanale tabloid Tutto (1938).
Il Bertoldo, il cui primo numero uscì il 14 luglio 1936, «non fu un giornale pedantemente fascista né, tantomeno, antifascista. Fu un giornale italiano per giovani e meno giovani in un’epoca in cui gli italiani avevano molto da piangere, ma proprio per questo avevano bisogno di ridere, di assaporare una certa leggerezza nel vivere» (Del Buono, 1993, pp. n.n.). Fu ideato da Cesare Zavattini, direttore dei periodici Rizzoli, per contrastare il successo del Marc’Aurelio, con lo slogan «trenta centesimi di buonumore», rigorosamente in inchiostro nero (le riviste Rizzoli erano stampate ciascuna con un colore). Quando Zavattini si iscrisse al sindacato giornalisti, Angelo Rizzoli lo cacciò su due piedi e chiamò come direttori Mosca e Vittorio Metz, i quali però tentennavano a lasciar Roma e il Marc’Aurelio: Rizzoli offrì loro casa, trasloco, stipendio di 5000 lire al mese, poi mandò un ‘gorilla’, un certo Conte dell’Anguillara, a braccarli fuori del giornale costringendoli a salire su un vagone letto per Milano. A Mosca e Metz andò la direzione, la copertina a Mario Bazzi, il resto a Carlo Manzoni, Marcello Marchesi, Walter Molino, Giaci Mondaini, Giovanni Guareschi, Saul Steinberg (rumeno, poi fuggito negli Stati Uniti a causa delle leggi razziali del 1938 e futuro astro della grafica mondiale). Dopo due anni di direzione, Metz, insofferente del clima milanese, tornò a Roma; gli subentrò Guareschi, il cui apporto fu fondamentale. Il Marc’Aurelio – avrebbe poi osservato Mosca – era un giornale popolare e romanesco, il Bertoldo puntava invece alla misura e si conquistò un pubblico borghese e qualificato, che ne apprezzava la satira di costume, il taglio surreale e l’umorismo raffinato.
«Trasferendosi a Milano l’umorismo dei due direttori si era come scorporato, si era fatto filiforme e stralunato» osservò anni dopo Italo Calvino (Chiesa, 1984, p. 18). Mosca fu per i giovani collaboratori del Bertoldo un vero maestro di tecniche di racconto e disegno moderni; inventò la formula «Pissi pissi bao bao», la tecnica della vignetta col collage, rubriche quali Fesso d’oro, A quel paese, De bello civili, NoiPerdoniamo, per incoraggiare il pubblico a confessare i propri peccati, le lettere illustrate del Charo Paolino (1938). Passato da bisettimanale a settimanale (1939), Bertoldo divenne il principale giornale umoristico italiano: 600.000 copie a settimana. Nella rubrica Il Cestino esordirono come vignettisti Oreste Del Buono e Italo Calvino.
L’ultimo numero del Bertoldo uscì il 10 settembre 1943. Poco dopo Mosca fu rinchiuso nel carcere di Novara per opera della Repubblica sociale italiana e fu salvato dalla deportazione grazie all’intervento di un ufficiale suo appassionato lettore. Nel 1944 illustrò per Rizzoli Le avventure di Pinocchio; intanto aveva pubblicato a Milano L’orfano piccolissimo: tra il romanzo e la favola (1935); Ricordi di scuola (1939), uno spiritoso resoconto della sua esperienza scolastica che diventò un bestseller; il romanzo Non è ver che sia la morte… romanzo con accompagnamento (1941) e Storia di un cappello (1941).
Dopo la guerra, Rizzoli propose a Guareschi e Mosca di riprendere il filone del Bertoldo: nacque così il Candido (dicembre 1945), che avrebbe raggiunto in breve il mezzo milione di copie vendute: «Va comprato e letto con estrema indifferenza perché lascia il tempo che trova e i governi che trova. Perciò leggetelo, non aggrava la situazione», così recitava l’editoriale. Grazie al Candido Mosca divenne un corteggiatissimo opinion leader. Guareschi era molto più polemico e aggressivo (come ricordava Indro Montanelli), Mosca più morbido e distaccato, contrario a qualunque tipo di estremismo. I due in effetti si compensavano: inventarono la rubrica Visto da destra e visto da sinistra in cui uno stesso evento veniva prospettato dai due punti di vista, a firma Spartacus (Guareschi) e Caesar (Mosca).
Il Candido anzitutto rifiutò la retorica che aveva imperversato nei decenni precedenti, come teneva a sottolineare Mosca; puntò sull’umorismo nel racconto e nella grafica; si proclamò anticomunista (con qualche nostalgia monarchica), ma irrise qualunque forma di potere, compreso quello della Democrazia Cristiana, che però avrebbe appoggiato in pieno nelle elezioni del 1948 pur di scongiurare la vittoria del Partito comunista italiano. I comunisti «trinariciuti» furono, appunto, l’invenzione più clamorosa di Guareschi.
Nel 1950 Guareschi rimase da solo alla direzione del giornale. Tornato dalle ferie, infatti, Mosca trovò una lettera che lo sollecitava a dimettersi dalla direzione.
Il 13 agosto nella rubrica Genio e sregolatezza, con l’articolo di fondo a nome Florindo, aveva contestato gli atteggiamenti non limpidi né generosi del governo (sottosegretario della presidenza del Consiglio per la cultura e lo spettacolo era Giulio Andreotti) nei confronti di certi artisti, in particolare dell’attrice Maria Melato. Non era il primo attacco che Mosca rivolgeva al governo. Già nell’agosto del 1948 aveva denunciato con nome e cognome artisti secondo lui favoriti dai finanziamenti dello Stato, tra cui Paolo Grassi e Giorgio Strehler, i quali avevano risposto querelandolo, con conseguenti complicazioni giudiziarie per il giornale. Il 15 settembre 1950 Rizzoli, considerando pericoloso il moralismo poco diplomatico di Mosca e temendo l’inimicizia di Andreotti, scrisse a Guareschi chiedendo le dimissioni dell’amico; querele e incidenti giudiziari costellarono anche in seguito la vita della rivista, che chiuse nel 1961.
Mosca fu richiamato al Corriere della sera, rimanendovi come redattore per 23 anni (1951-74). Vi fece anche l’esperienza di giornalista sportivo, seguendo nel 1958 il Giro d’Italia e il Tour de France in sostituzione di Orio Vergani, ammalato. L’arrivo di Piero Ottone, con le sue idee innovative, portò al conflitto con il vecchio giornalista, che sulla questione della legge sul divorzio chiuse la sua collaborazione (12 maggio). Mosca diresse anche il Tempo di Milano (1950-51) e il Corriere dei piccoli (1952-61). Chiamato nel 1953 al Corriere di informazione, ne divenne critico teatrale e cinematografico.
L’allora direttore Gaetano Afeltra intuì l’importanza della vignetta in prima pagina, presente in molti giornali stranieri, e ne affidò il compito a Mosca, che fu il primo a introdurre nel giornalismo italiano la vignetta quotidiana su fatti di cronaca, anche spicciola o soltanto curiosa. Dalla vignetta al fumetto, dai corsivi alle critiche teatrali, Mosca si mosse con grande classe e leggerezza di toni, da «cantore delle piccole cose di tutti i giorni» come lui stesso si definì. Il suo humour interveniva persino nelle traduzioni dal latino: Le satire di Orazio Flacco «tradotte con coscienza e serietà» (Milano 1939); Le epistole e l’Arte poetica di Orazio Flacco «tradotte e illustrate con doppia coscienza e serietà» (ibid. 1940); i Dialoghi di Luciano «tradotti col dovuto rispetto» (ibid. 1990), e nel rifacimento di commedie di Aristofane come Gli uccelli e Lisistrata (versione cinematografica, 1950).
Tra le altre pubblicazioni da menzionare: Piccoli traguardi (Milano 1945); I ragazzi di villa Borghese (illustrazioni di R. Albertarelli, ibid. 1954); Piedi caldi e piedi freddi. Ricordi di vita militare (ibid. 1956). Diario di un padre (Milano 1968); Racconti sospesi per aria (ibid. 1970); Il nuovo Galateo (ibid. 1980); Appuntamento con Mosca: per parlare delle piccole cose di tutti i giorni (ibid. 1982). È stato anche autore di varie commedie: L’abate di Staffarda. Quattro quadri; L’ex-alunno. Tre atti; Piccoli traguardi. Tre atti unici furono pubblicate a Milano nel 1945. Delle sue opere teatrali furono messe in scena, oltre L’ex alunno (a Genova, nel 1942), anche L’angelo e il commendatore (a Roma, nel 1949); Adamo ed Eva. Atto unico (a Milano, nel 1955). Fra le sue migliaia di vignette, Mosca scelse e raccolse in volumi: L’Italia in 120 vignette, Milano 1962; Le 99 vignette, ibid. 1967; Storia del mondo in 200vignette, ibid. 1978
Dalla moglie, Teresa Caracciolo, ebbe quattro figli: Benedetto, Maurizio e Paolo, giornalisti; Antonello, architetto.
Morì a Milano il 26 ottobre 1983.
Fonti e Bibl.: Alessandro Minardi, direttore del Candido dal 1957, raccolse materiali del Candido stesso e del Bertoldo, ora depositati a Milano presso la Fondazione Mondadori. Il nucleo più cospicuo di documenti e opere grafiche è proprio di Mosca. E. Radius, Orazio in veste recentissima, in Corriere della sera, 21 settembre 1939; E. Possenti, Ricordi di scuola, ibid., 24 febbraio 1940; C. Manzoni, Gli anni verdi del Bertoldo. Un po’ diario, un po’ antologia di sette anni di umorismo, Milano 1964; Dizionario generale degli autori italiani contemporanei, a cura di E. Ronconi, II, Firenze 1974, ad vocem; I. Montanelli, M. o la serietà dell’ umorismo, in Il Giornale, 27 ottobre 1983; A. Chiesa, Come ridevano gli italiani. Un viaggio nella memoria…, Roma 1984; B. Mosca, Caro papà. Ricordi di un figlio, Milano 1984; O. Del Buono, Presenta-zione, in Bertoldo 1936, riproduzione fotolitografica, Milano 1993; Id., Amici, amici degli amici, maestri, Milano 1994, p. 213; C. Mangini - P. Pallottino, Bertoldo e i suoi illustratori, Nuoro 1994; A. Frigerio, Un novecento da ridere, in http:// www. storiain.net/arret/num45/artic1.htm (luglio-agosto 2000); G. Conti, Giovannino Guareschi. Biografia di uno scrittore, Milano 2008, ad ind.; E. Mannucci, G. M. nel castello chiamato «Corriere», in Corriere della sera, 25 settembre 2008; M.G. Minetti, G. M.: l’attualità di un inattuale, in http://www.lastampa.it (26 settembre 2008); G. M.: l’esordio al Corriere, Milano 2008 (con interventi di A. Barberis - B. Mosca); Satyricon. La satira politica in Italia, a cura di R. Polese, ibid. 2009, ad indicem.