MOROSINI, Giovanni
– Scarne sono le informazioni che si riferiscono a questo personaggio, esponente di spicco di un vasto gruppo parentale in forte ascesa politica nella Venezia della seconda metà del X secolo.
Coinvolto nelle lotte tra fazioni in seno all’aristocrazia veneziana, operò in stretta relazione con i duchi Pietro I Orseolo (976-78) e Tribuno Memmo (o Menio; 979-91). Si legò al giovane Romualdo di Ravenna e all’abate Guarino, trascorrendo tra il 978 e il 982 un soggiorno a S. Michele di Cuxà, nei Pirenei Orientali presso Perpignan. Rientrò a Venezia nel 982 e vi ebbe un ruolo centrale nella fondazione del monastero di S. Giorgio Maggiore, di cui fu il primo abate fino alla morte. La sua vita deve essere analizzata in relazione ai rapporti con Guarino, Romualdo e alle spinte riformistiche della seconda metà del X secolo da una parte, alle lotte intestine all’aristocrazia veneziana nel medesimo periodo dall’altra.
Abbandonata Ravenna e S. Apollinare in Classe, nel terz’ultimo decennio del X secolo Romualdo raggiunse nel vicino territorio veneziano l’eremita Marino. Insoddisfatto dell’anacoretismo lagunare seguì l’abate Guarino quando questi, nel suo viaggio del 978 dalla Francia meridionale a Roma, incontrò ravennati e veneziani che in quel torno di anni andavano politicamente orientandosi verso Occidente. Guarino fu legato sia all’ambiente riformatore cluniacense delle origini, sia all’aristocrazia più vicina ai Guglielminidi; amico e corrispondente di Gerberto d’Aurilliac, infaticabile viaggiatore, fu un riformatore d’avanguardia al pari di Maiolo, attivo fino alla morte avvenuta nel 997. Sul modello di Cluny dove si era formato, Guarino diede vita a una federazione monastica con centri principali in S. Pietro di Lézat e S. Michele di Cuxà. Oltre a entrare in contatto con l’eremita Marino, magister di Romualdo, Guarino fu referente spirituale di Pietro I Orseolo, il cui governo attraversava un momento di crisi a soli due anni dalla morte violenta del suo predecessore Pietro IV Candiano.
Il 3 settembre 978, sotto la guida di Guarino, Morosini fuggì da Venezia con suo suocero il duca Pietro, il nipote di questi Giovanni Gradenigo, gli eremiti Marino e Romualdo. Dopo una prima sosta presso il monastero di S. Ilario, valicarono le Alpi attraverso la chiusa di S. Michele e raggiunsero S. Michele di Cuxà.
Agli ideali fioriti presso Cluny e diffusi da Guarino presso l’abbazia pirenaica, i due anacoreti continuarono a preferire l’eremitismo che coltivarono per circa un decennio; alla medesima esperienza indussero Morosini, Pietro Orseolo e Giovanni Gradenigo, quest’ultimo riconosciutosi subditus di Romualdo. La vita dedita al lavoro agricolo e alla penitenza di Morosini presso il romitorio di Longadera durò circa un anno, trasformandosi poi in vita comunitaria presso Cuxà.
Oltre alla vocazione spirituale, la fuga in Francia va messa in relazione anche con la situazione politica lagunare caratterizzata da faide familiari.
La famiglia dei Coloprini, legata alle concessioni di Ottone II e imparentata con i Candiano, entrò in conflitto con quella dei Morosini, filobizantina, imparentata con gli Orseolo e in fase di crescita politica. La fine tragica di Pietro IV Candiano nel 976 interruppe l’alleanza di Venezia con l’Impero coinvolgendo anche i due Vitale Candiano, rispettivamente fratello e figlio del duca assassinato e già destinatari di privilegi imperiali. Il primo, Vitale Ugo Candiano, probabilmente comes di Vicenza e Padova, rimase nel Regnum; il secondo conservò la cattedra arcivescovile di Grado cercando un appoggio in Ottone II e recandosi alla sua corte in Sassonia; soggiornò nella Marca Veronese per rientrare a Venezia nel 978, in corrispondenza con la fuga in Francia di Morosini e del duca Pietro. Fu in quest’occasione che divenne duca un altro Vitale Candiano (978-979), con la missione di ristabilire buoni rapporti con l’Impero. Fece seguito l’elezione a duca di Tribuno Memmo, volta a trovare un compromesso tra le opposte clientele.
Il nuovo clima politico permise a Morosini di rientrare in patria nel 982. Secondo alcuni fu egli stesso a richiedere a Tribuno Memmo di creare in laguna un ritiro ispirato agli ideali spirituali romualdini; per altri invece il monastero ebbe uno spirito più cluniacense che romualdino. Nella promozione del monastero benedettino di S. Giorgio Maggiore, sull’omonima isola di fronte a S. Marco, la storiografia ha tuttavia riconosciuto il tentativo di ricomposizione delle fazioni aristocratiche in lotta tra loro con il consenso dello stesso patriarca Vitale Candiano. Morosini, come nucleo centrale del monastero, ottenne la chiesa di S. Giorgio, già fondata dai Partecipazi nell’isola dove i Memmo (Menio) possedevano alcune proprietà. Il 20 dicembre 982, nella residenza del duca e alla presenza di un gran numero di maggiorenti – tre vescovi e quasi 60 testimoni – fu stipulato e sottoscritto l’atto con il quale fu conferita a Giovanni Morosini S. Giorgio, ceduta con il suo tesoro, i codici, le vigne, i terreni circostanti sui quali erigere nuovi edifici, unitamente al diritto di prosciugare gli acquitrini attigui e metterli a coltura.
La fondazione di S. Giorgio Maggiore non pose fine ai conflitti interni; Giovanni Diacono narra della morte di Domenico Morosini per opera dei Coloprini, costretti questi ultimi a riparare a Verona sotto la protezione di Ottone II. Diretta conseguenza furono l’assedio di Venezia, un blocco navale e un editto imperiale con il quale si vietò ai sudditi di commerciare con la città lagunare. Vano fu il tentativo di far intervenire Bisanzio, mentre i Morosini si vendicarono con il saccheggio dei palazzi dei Coloprini. La minaccia sulla città lagunare si dissolse l’anno seguente con la morte di Ottone II: i Coloprini si rifugiarono a Pavia, ospiti dell’imperatrice Adelaide che si adoperò insieme al marchese di Toscana Ugo, affinché fossero riammessi nelle loro case. Tribuno Memmo acconsentì, ma la vendetta dei Morosini si consumò alla prima occasione.
Nonostante il trentennale operato come abate della comunità benedettina insediata presso l’isola di S. Giorgio, di Morosini rimangono scarsissime notizie relative alla sua gestione del monastero. Pur in mancanza di evidenze documentarie, gli studiosi hanno concordemente collocato la data della morte intorno all’anno 1012.
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