MORO, Giovanni
MORO, Giovanni. – Secondogenito di Antonio (cugino ex fratre del futuro doge Cristoforo) di Alvise e di Agnesina Moro di Giovanni di Marino, nacque a Venezia probabilmente nel 1406.
Nulla sappiamo della sua giovinezza, ma raggiunta la maggiore età, il 28 settembre 1431 fu eletto avvocato alla Curia del Proprio e il 19 marzo 1433 andò balestriere con il convoglio mercantile diretto a Beirut e Alessandria. È probabile che negli anni seguenti si sia dedicato alla mercatura, considerata l’assenza nell’ambito della politica veneziana; il suo nome ricompare nel 1438, in occasione del matrimonio con Elena Priuli di Lorenzo di Costantino, appartenente a una delle famiglie più ricche e prestigiose del patriziato.
L’identificazione della moglie e, in prospettiva, la ricostruzione di buona parte della carriera di Moro pongono non pochi problemi, per la coeva presenza di un altro Giovanni, a sua volta figlio di un Antonio, omonimo zio del padre. Vero è che quest’altro Antonio divenne procuratore de Ultra nel 1407, ma non sempre le fonti accompagnano il nome col titolo, sicché sono possibili fraintendimenti: a esempio Giuseppe Giomo (Archivio di Stato di Venezia, Indice dei matrimoni patrizi per nome di donna, sub Loredan Marcolina) certifica il matrimonio avvenuto nel 1430 tra, appunto, questa Loredan e un Giovanni Moro di Antonio, senza precisare se si tratta del procuratore; laddove nella stessa fonte non compare il matrimonio del 1438 con Elena Priuli, forse perché rimasto sterile. Ancora, né il padre né Moro stesso registrano i nomi dei figli alla Balla d’oro, e forse per questa ragione i repertori genealogici non risultano compiutamente attendibili. A complicare ulteriormente le cose, il Giovanni figlio del procuratore ebbe una carriera politica di basso profilo, certo inferiore a quella di Moro, il cui padre peraltro non aveva conseguito l’alta dignità, seconda solo a quella ducale.
Fatte salve queste premesse, quel che appare certo è che Moro, dopo il matrimonio, risiedeva nel sestiere di S. Croce ed era dotato di buoni mezzi, poiché l’11 marzo 1440 vinse l’appalto della galera di Barbaria, che compiva il viaggio Messina-Tunisi. I suoi interessi per la mercatura (probabilmente agevolati dalla nuova parentela acquisita) si fecero più intensi negli anni che seguirono.
Il 4 febbraio 1445 fu tra i compatroni di una galera che andava in Fiandra al comando di un cugino della moglie, Marco Priuli; qualche giorno dopo, il 16 febbraio, fu azionista di un’altra galera, quella di Aigues-Mortes; il 26 maggio fu caratador, ossia compatrono, di una galera che faceva il viaggio di Cipro; l’anno dopo, il 14 maggio 1446, fu la volta della galera diretta alla Tana, in Crimea; il 24 luglio 1447 ottenne la compartecipazione al carico di una galera con destinazione Alessandria, benché figurasse assente da Venezia; il 22 febbraio e il 16 giugno 1448 ebbe dal Senato il permesso di esportare, tramite i suoi agenti a Brescia e Bergamo, un notevole quantitativo di spezie che conservava nei depositi veneziani; il 14 giugno 1452, infine, fu nuovamente compatrono di una galera diretta alla Tana.
L’attività mercantile di Moro dovette probabilmente subire una flessione dopo la caduta di Costantinopoli (1453), nell’ambito di un fenomeno che colpì tutta l’economia veneziana. Contestualmente decollò la carriera politica, in precedenza alquanto limitata; il 28 febbraio 1445 era stato eletto auditor delle Sentenze vecchie, nell’ottobre 1448 e 1450 era entrato nella giunta del Pregadi; pertanto è da escludere sia lui il Giovanni Moro che il 27 aprile 1451 risulta esser stato capo della Quarantia. La sua carriera si svolgeva infatti nel rango senatorio, come prova l’elezione ad ambasciatore a Siena, avvenuta il 26 novembre 1451.
Dopo la rottura dell’alleanza con Firenze, che per mezzo secolo aveva rappresentato un punto fermo nella politica italiana della Serenissima, Venezia aveva rafforzato i suoi rapporti con la Comunità senese e con il re di Napoli, Alfonso d’Aragona, con cui aveva firmato la pace di Ferrara il 2 luglio 1450. Le commissioni di Moro prevedevano infatti che, dopo essersi portato a Rimini da Sigismondo Malatesta, a Siena avrebbe dovuto stipulare un’alleanza in funzione antifiorentina e antimilanese. Senonché le trattative incontrarono difficoltà per il sovrapporsi di reciproche diffidenze, specie tra i senesi e re Alfonso, di cui i primi temevano le mire sull’Italia centrale; e così la missione di Moro, che avrebbe dovuto concludersi in pochi mesi, si prolungò per un anno intero, anche a motivo del riaccendersi della guerra prima in Lombardia e successivamente in Toscana, nella primavera del 1452. Moro rimase a Siena dal dicembre 1451 sino alla fine del 1452 (il 24 febbraio di quest’anno la città divenne un crocevia politico, a causa del soggiorno dell’imperatore Federico III e della promessa sposa, Eleonora del Portogallo, nipote del re Alfonso, accolta al suo arrivo via mare dall’allora vescovo Enea Silvio Piccolomini); subentratogli nella legazione Vitale Lando, Moro non tornò subito a Venezia, ma dovette recarsi a Perugia, dove l’Aragonese aveva inviato un proprio ambasciatore per indurre la città alla lega. Qui Moro giunse il 17 gennaio 1453 e si fermò sino a fine mese «pro praticando ea que dabuntur ei in mandatis» (Arch. di Stato di Venezia, Senato, Terra, reg. 3, c. 43r): altro non è dato sapere.
Rimpatriato, il 3 aprile 1453 venne eletto savio di Terraferma, ma poche settimane dopo (11 maggio) fu incaricato di una nuova missione, stavolta a Ferrara, presso Borso d’Este; compito di Moro era di distogliere il marchese dall’appoggiare finanziariamente i milanesi. A questa breve legazione succedette un’altra, di ben maggior respiro: il 25 giugno Moro risultava eletto ambasciatore a Napoli.
Raggiunse la sede, insieme con il cancelliere Marco Aurelio, il 7 agosto; nell’immediato, si trattava di indurre Alfonso a una strategia maggiormente incisiva, tanto più che Siena aveva concesso il passo alle truppe napoletane; bisognava inoltre rassicurarlo circa la venuta in Italia di Renato d’Angiò, cui aveva strappato il trono. La recente caduta di Costantinopoli comportava poi per Venezia un atteggiamento di grande attenzione per le questioni balcaniche, donde la raccomandazione a Moro di vigilare sulle mosse di Giorgio Castriota Scanderbeg contro Durazzo e di concordare con l’alleato un’eventuale azione congiunta.
Moro trascorse circa un anno e mezzo presso la corte aragonese, occupandosi di assoldare truppe, negoziare possibili alleanze, ottenere agevolazioni per il commercio dei vini. Non fu una legazione facile, il Senato avrebbe voluto imprimere maggior vigore alla guerra, e di fronte alla perdurante inazione dell’Aragonese Moro non risparmiò rampogne neppur tanto velate, come dimostra il memorabile rimbrotto rivolto al re durante una partita di caccia: «Sacra Maestà, vuy cazate et nuy abbiamo li inimici in Bressana. Attenderemo anche nuy a fare l’utile nostro et non lo haverete a male» (Corrispondenze diplomatiche veneziane da Napoli..., 1994, p. 390). Né erano parole senza fondamento: l’8 aprile 1454 la Repubblica sottoscriveva la pace di Lodi senza averne preventivamente informato l’alleato, sicché Moro dovette durare molta fatica a far accettare il fatto compiuto ad Alfonso. Solo dopo l’arrivo di un’ambasceria straordinaria composta da Girolamo Barbarigo e Zaccaria Trevisan e degli ambasciatori pontifici, milanesi e fiorentini, il 26 gennaio 1455 l’Aragonese si sarebbe infatti piegato a sottoscrivere l’alleanza con i principali Stati della penisola. Qualche giorno dopo, però, Alfonso creava cavaliere Moro e gli donava le sue armi, dicendo che «lo faceva de la casa di Aragona per le fatiche durate da lui per il passato» (Soranzo, 1924, p. 118).
Tornato a Venezia, Moro entrò a far parte dei savi di Terraferma per il semestre aprile-settembre 1455, ma la carica gli fu prolungata sino a tutta la prima metà dell’anno seguente, con il compito precipuo di incentivare la produzione della canapa a Montagnana; inoltre, il 20 maggio 1456, si fece promotore in Senato di un atteggiamento di fermezza contro talune proteste dei turchi nei confronti del bailo a Negroponte.
Termina qui la documentazione sicura su Moro; non è probabile infatti, per la mancanza del titolo di cavaliere accanto al nome e per la presenza di un altro omonimo, Giovanni Moro di Balsassarre (1416-94), che Moro sia stato podestà a Vicenza nel 1468 e abbia fatto parte dei sei tansadori di Venezia nel 1473-75. È ipotizzabile invece che sia morto in età ancora relativamente giovane, nella seconda metà del 1456, dopo esser tornato dall’impegnativa legazione presso Alfonso d’Aragona, che costituisce il titolo più prestigioso della sua carriera.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Miscell. Codd. I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii..., V, p. 277; Avogaria di Comun, Prove di età per patroni di galera e altre cariche, reg. 177, cc. 23r, 45v; 178, cc. 147r, 149v, 154r-v, 172v, 197r, 272v; Segretario alle voci, Misti, regg. 4, cc. 69r, 123r, 128v, 130v, 144r, 148r, 149r, 152r; 14, cc. 147r, 190r; Senato, Secreti, reg. 19, cc. 100v, 112r, 116r-117r, 121r, 126v-127r, 142r, 162r-v, 172r, 181v, 195r, 201r-202r, 205r-v, 206v, 208v-209r, 210r-v, 214r-v, 218r-v, 223v, 225r, 228v, 232v-233r; 20, cc. 1r-v, 5v, 12r, 15r, 16r-v, 19v-30r, 27r, 28r, 33v, 46v, 50v, 52r, 57r, 63r, 82r, 85v; Senato, Terra, regg. 2, cc. 59v, 72r; 3, cc. 12r, 30v, 43r, 62v, 70v, 78v, 126r, 135v, 139r, 154r, 155r, 157r, 181r, 190v; 4, cc. 2r, 8r; 5, c. 66r; Senato, Mar, reg. 5, cc. 1v, 60v, 141r, 155v, 156v; C. Cipolla, Storia delle Signorie italiane dal 1313 al 1530, Milano 1881, p. 484; P.M. Perret, Histoire des rélations de la France avec Venise du XIIIe siècle à l’avénément de Charles VIII, I, Paris 1896, pp. 255, 260, 269; I libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, V, Venezia 1901, pp. 81, 85, 97, 106, 108, 122-124; G.B. Picotti, La dieta di Mantova e la politica de’ Veneziani, Venezia 1912, pp. 46, 398; G. Soranzo, La lega italica (1454-1455), Milano 1924, pp. 74, 78 s., 82, 118, 204; F. Nicolini, Frammenti veneto-napoletani, in Studi di storia napoletana in onore di Michelangelo Schipa, Napoli 1926, pp. 254 s.; L. von Pastor, Storia dei papi, I, Roma 1942, p. 633; M. Jacoviello, Relazioni politiche tra Venezia e Napoli nella seconda metà del XV secolo (Dai documenti dell’Archivio di Stato di Venezia), in Archivio storico per le province napoletane, s. 3, XCVI (1978), p. 73; Corrispondenze diplomatiche veneziane da Napoli. Dispacci di Zaccaria Barbaro. 1° novembre 1471-7 settembre 1473, a cura di G. Corazzol, Roma 1994, p. 390; M. Sanuto, Le vite dei dogi. 1423-1474, a cura di A. Caracciolo Aricò, I, Venezia 1999, pp. 307, 501; D. Celetti, La canapa nella Repubblica Veneta. Produzione nazionale e importazioni in età moderna, Venezia 2007, p. 21.