MORELLI, Giovanni
MORELLI, Giovanni. – Nacque a Firenze nel 1371 da Pagolo e Telda Quaratesi, secondogenito di quattro figli, due femmine e due maschi.
Secondo quanto tramanda egli stesso, la famiglia, originaria del Mugello, si inurbò a Firenze verso la fine del XII secolo, prendendo dimora nel sestiere di S. Piero Scheraggio, poi quartiere di S. Croce. Al tempo di Morelli esisteva già la casa che per secoli resterà la dimora tradizionale della famiglia, nel popolo di S. Jacopo tra’ fossi, nell’estremità di borgo S. Croce prospiciente la basilica omonima, nel luogo identificato nella toponomastica odierna come ‘canto dei Morelli’. I Morelli aderirono prima al guelfismo e poi alla parte nera; le indovinate scelte politiche furono le premesse dei successi che la famiglia costruì con più consistenza nel corso del XIV secolo, in particolare con la generazione precedente quella di Morelli. Il nonno, Bartolomeo, nel 1332 fu il primo priore della famiglia; Morelli indica però nel padre Pagolo il vero iniziatore della fortuna familiare. Questi, iscritto all’arte della lana, fu un sagace tintore e prestatore; valendosi della stretta alleanza con gli Alberti riuscì a sposare Telda Quaratesi, la cui famiglia aveva raggiunto il priorato già nel 1317. Morì nel 1374 non ancora quarantenne.
Rimasta vedova a 25 anni, la moglie di Pagolo sposò in seconde nozze Simone Spini e le nuove alleanze familiari create con questo matrimonio furono di grande aiuto per gli orfani di Pagolo. Morelli ricorda come ‘secondo padre’ il nonno materno Matteo e riconosce anche al secondo marito della madre un ruolo di rilievo nel guidare lui, il fratello maggiore Morello e le due sorelle verso la maggiore età. Fu invece l’alleanza con gli Alberti a creare seri problemi a Morelli e a suo fratello. Quando nel 1393 gli Albizi riuscirono a ottenere un più stretto controllo del governo di Firenze, gli Alberti furono esiliati e i due fratelli Morelli vennero esclusi dalla eleggibilità alle cariche pubbliche. Ciononostante, due anni più tardi Morelli prese in moglie una Alberti, Caterina. L’emarginazione politica si protrasse per dieci anni. I due fratelli lasciarono la casa di borgo S. Croce e si trasferirono in quella di Stefano di Vanni Castellani; poi addirittura abbandonarono il loro quartiere ed ebbero diverse dimore, tra le quali palazzo Spini, della famiglia del secondo marito della madre, nel quartiere di S. Maria Novella. Solo con il nuovo squittino del 1404, ormai abbondantemente superata la trentina, Morello e Giovanni tornarono in borgo S. Croce e ottennero l’eleggibilità almeno alle cariche minori. La strada della carriera politica era finalmente aperta. Morello morì in una delle rovinose pestilenze ricorrenti all’epoca, nel 1417; Giovanni, invece, percorse per un quarantennio un brillante cursus honorum, ricoprendo uffici di rilievo come il capitanato di Pisa nel 1427 e la podesteria di Montepulciano nell’anno della morte. Accettò senza riserve il regime mediceo stabilitosi con Cosimo il Vecchio nel 1434 e nel 1441 raggiunse la massima carica di gonfaloniere di Giustizia. Di lui resta (Giorgi, 1882, pp. 22-24) il protesto (protestatio de iustitia) che redasse in qualità di gonfaloniere di Compagnia, probabilmente nel 1409, e che documenta i suoi ideali di moderato buon governo.
Dal matrimonio con Caterina Alberti nacquero tra il 1396 e il 1405 sette figli, quattro maschi e tre femmine, ma solo Iacopo sopravvisse al genitore e ne proseguì la discendenza. Caterina morì tra il 1411 e il 1414 e nel 1415 Morelli risulta sposato in seconde nozze con Drea Buondelmonti. Il nuovo matrimonio rimase sterile e diede origine a liti: Drea nel 1420 lasciò la casa coniugale e Morelli si lamentò per tutta la vita, nelle sue dichiarazioni catastali, delle spese sostenute a causa della separazione. Addirittura il figlio Iacopo nel 1447, dopo la morte del padre, si rammaricava ancora nella sue dichiarazioni al Catasto per le spese ereditate dal padre a beneficio della matrigna.
Nei suoi Ricordi, conservati autografi nel codice Magliabechiano II.IV.52 della Biblioteca nazionale di Firenze, Morelli tesse convinte lodi dell’attività mercantile. Eppure non si dedicò mai ad alcun tipo di commercio, vivendo delle rendite dei cospicui depositi nel Monte e di quelle che gli venivano dai possedimenti terrieri: gli ufficiali del Catasto del 1427 stimarono il valore dei suoi poderi in oltre 1300 fiorini e in circa 90 fiorini la loro rendita annuale, e le cifre reali andavano ben oltre le stime catastali. A indicare la prospera condizione economica di Morelli, risulta che nel censimento catastale del 1427 egli è il centoventiduesimo per ricchezza su circa 10.000 capifamiglia, ponendosi nell’élite dell’1,4-1,5% dei capifamiglia con maggior sostanza di Firenze.
Morelli morì a Firenze nel 1444 e fu sepolto in S. Croce nella tomba terragna, ancora esistente, nel braccio sinistro del transetto, che egli stesso fece predisporre per sé e per i propri discendenti già una trentina d’anni prima della morte. La devozione dei Morelli nei confronti di S. Croce era risalente, tanto che nella chiesa resistono tre lastre tombali della famiglia, la prima delle quali rimonta almeno alla metà del Trecento.
La notorietà di Morelli è legata ai citati Ricordi. Già utilizzata dagli Accademici della Crusca per la compilazione del Vocabolario (Venezia 1612), l’opera fu costantemente apprezzata nelle epoche successive per la naturalezza e l’espressività del dettato. Nel 1718, per i tipi della Stamperia ducale di Giovanni Gaetano Tartini e Santi Franchi, ne fu data una edizione incompleta; l’edizione critica è a cura di Vittore Branca, Firenze 1956 (II ed. ibid. 1969, poi in Mercanti scrittori. Ricordi nella Firenze tra Medioevo e Rinascimento, a cura di V. Branca, Milano 1986, pp. 101-339).
Morelli inizia a scrivere i Ricordi ad appena 22 anni nel 1393 e li prosegue fino al 1411; una breve e isolata ripresa risale a dieci anni più tardi, quando torna a una cura prettamente familiare, registrando la morte del figlio Antoniotto. La sollecitazione per l’inizio della scrittura non potrebbe essere più evidente: il 1393 è l’anno della discriminazione politica che ritarderà di oltre dieci anni la possibilità di ricoprire cariche pubbliche. Lo stato di orfano, la mancanza della guida e dello scudo paterno sono il motivo principale per cui i figli di Pagolo sono caduti in disgrazia. I Ricordi sono dunque avviati e redatti per ‘ragion di famiglia’, per fornire ai discendenti dello scrivente un manuale pratico in base al quale procedere nella vita sociale e politica fiorentina anche in assenza del genitore: questa impostazione didattica è l’elemento che tiene insieme il variegato contenuto dello scritto di Morelli.
In principio egli dichiara di volere dividere le sue memorie in quattro parti: la prima dedicata al luogo d’origine della famiglia; la seconda e la terza al primo Morelli documentato e ai suoi discendenti; la quarta a una sommaria storia della Firenze contemporanea. La sinossi familiare, dalle origini nel Mugello fino ai suoi giorni, che Morelli si propone di tracciare si fonda sulla consapevolezza che il requisito dell’antichità della famiglia è essenziale per il successo sociale e politico dell’individuo. Il «me Giovanni» posto all’inizio della scrittura è subito collegato ai suoi diretti antecessori maschi per ben otto generazioni prima della sua, risalendo così a un’origine nel XII secolo. Dopo la ‘dichiarazione di scrittura‘ troviamo una idillica descrizione del Mugello di ispirazione boccacciana. Seguono i medaglioni dei capofamiglia suoi antecessori. Dalla narrazione della vita degli avi emergono i tre fondamentali fini che devono ispirare la condotta del capofamiglia: procreare per far sì che la famiglia possa proseguire nel tempo; amministrare oculatamente e aumentare il patrimonio familiare; procurarsi la pubblica stima e ottenere cariche di governo. Il conseguimento di quest’ultimo fine è propedeutico per ottenere di nuovo i primi due. E intanto vengono anche affermati i comportamenti che favoriscono e via via incrementano il successo sociale e politico della famiglia: la costante fede guelfa e l’adesione alla parte nera, nonché il radicamento nel quartiere di S. Croce.
Dalla generazione precedente la sua in poi Morelli abbandona il rigido schema padre-figlio della linea diretta e allarga il discorso familiare a zii e cugini. Ma soprattutto la prematura morte del padre dà origine a un excursus che in realtà diviene il fulcro intorno al quale finisce per ruotare l’intero testo dei Ricordi. Si tratta della discettazione sui sette danni che possono colpire gli orfani di padre e che nella realtà hanno colpito lui e il fratello maggiore. Il primo fondamentale danno è stata la condizione stessa di orfani e i sei che lo seguono ne sono la diretta conseguenza. Il secondo di rimanere privi anche della madre, subito risposatasi (sebbene il secondo marito di Telda Quaratesi prese a cuore le sorti degli orfani). Il terzo danno è consistito nell’essere amministrati da tutori, il quarto nelle forti spese per il funerale e i lasciti testamentari del padre e per la normale amministrazione. Il quinto danno sono state le perdite economiche verificatesi per la mancanza del padre, il rimborso dei debiti e l’impossibilità di incassare i crediti. A ciò si è aggiunta l’iniqua tassazione da parte del Comune e infine, il settimo e ultimo danno patito è considerato da Morelli la mancanza della indispensabile funzione formativa che solo il padre può esercitare.
Gli svantaggi propri della condizione di orfano non possono essere annullati, ma li si può attenuare con opportuni accorgimenti. L’esposizione dei possibili rimedi fa dei Ricordi una preziosa testimonianza dei principi pedagogici, morali, religiosi del tempo. Il primo responsabile dell’educazione del fanciullo è, o dovrebbe essere, il padre, il quale agisce secondo la regola della esemplarità, raccomandando cioè al figlio di assimilare e imitare le proprie azioni. Perciò viene consigliato di trovare per l’orfano una figura che abbia qualità ed esperienza assimilabili a quelle paterne. La formazione del bambino, dopo rapidi studi di latino e d’abaco, è perfezionata con l’apprendistato presso una compagnia che avvii il fanciullo alla carriera mercantile. Ciò anche se poi la sua vita – come fu per Morelli – si svolgerà senza che egli si dedichi alla mercatura. Quanto a cultura letteraria, Morelli dimostra la buona conoscenza di Boccaccio, una marcata influenza di testi ecclesiastici e anche una certa dimestichezza con i classici, anch’essa probabilmente di derivazione religiosa, dato che i classici vengono utilizzati nei Ricordi solo in funzione morale o consolatoria. Il futuro capofamiglia non ha bisogno di una cultura ampia, ma che favorisca l’apertura a nuove esperienze: la sua formazione si completerà con l’effettivo esercizio della funzione di pater. La subordinazione dell’uomo ai voleri divini e la religiosità di Morelli sono, com’è naturale, quelle del suo tempo, segnato dal nuovo terrore della morte che si presenta con le pestilenze ricorrenti dal 1348 e dall’azione dei predicatori. La concezione che egli ha dell’epoca in cui vive e il giudizio sulla natura umana sono fondamentalmente pessimistici, al punto di ricordare all’eventuale orfano che il denaro resta il miglior amico dell’uomo. Proprio per questo i comportamenti nella vita sociale e in quella politica devono essere improntati al pragmatismo e all’utilitarismo. Il fine della vita sociale deve essere quello di godere della stima altrui. Andranno curati i rapporti di vicinato, agevolati dalla continuità della residenza familiare nello stesso gonfalone e da una condotta onesta e cordiale. La stima e la solidarietà sociale sono la premessa per il successo nella vita pubblica; il mantenimento di tale successo si ottiene innanzi tutto sostenendo i tradizionali valori politici di Firenze, come il guelfismo e il repubblicanesimo, ma anche barcamenandosi tra le parti che si contendono il potere: fino al cinico consiglio di cercare di aderire sempre e comunque al gruppo politico che tiene il ‘Palazzo’.
Un’attenzione particolare è dedicata alla scelta della moglie. Vanno preventivamente accertate la solidità morale e quella economica della famiglia della futura sposa. Questa a sua volta dovrà avere salute e costituzione fisica che le consentano di procreare una numerosa prole e dovrà altresì possedere quelle doti di ausiliaria dell’uomo, come disciplina e ubbidienza, che le consentiranno di contribuire al benessere della famiglia. Se l’amministrazione patrimoniale è prerogativa del padre, in caso di morte di questi la vedova può subentrare nel suo ruolo, così che Morelli raccomanda di incoraggiare la permanenza della vedova in tale sua condizione e a capo della famiglia e consiglia di combattere l’eventuale desiderio di passare a seconde nozze.
La digressione sui danni che patisce l’orfano e sulle possibilità di attenuarli copre una parte non grande dei Ricordi, ma resta essenziale per afferrare appieno il carattere di Morelli: malinconico, utilitarista, ombroso, diffidente, sempre in allerta per possibili disgrazie. Pertanto, l’ultima parte dell’opera, dedicata alla storia contemporanea di Firenze, si apre con una delle cicliche sciagure: «Negli anni di Cristo 1348 fu nella città di Firenze una grande mortalità di persone umane…». E fino al 1411, quando bruscamente interrompe la sua scrittura, Morelli registra puntualmente le continue pestilenze abbattutesi su Firenze e le morti che esse provocarono nella sua famiglia e in quelle dei suoi consanguinei. Nella storia di Firenze, che presto diventa cronaca, si ritrovano proclamati gli stessi ideali attribuiti nella prima parte dei Ricordi agli antenati Morelli: in sostanza il guelfismo e la fede verso il Comune fiorentino. Principio basilare è che la partecipazione alla vita politica e l’adesione alla parte prevalente nel reggimento devono coincidere con il tornaconto personale e della famiglia, orientandosi secondo un delicato sistema di regole non scritte che costituiscono il fenomeno felicemente definito da Christian Bec «mimetismo politico». Nel racconto delle vicende di politica interna fiorentina della seconda metà del Trecento e del primo decennio del Quattrocento Morelli si dimostra un moderato, che aderisce senza riserve al regime delle arti maggiori, con l’occhio attento alle personalità che dovessero emergere all’interno di quel regime. E infatti, oltre venti anni dopo aver abbandonato la redazione dei Ricordi, come tanti altri egli non avrà difficoltà ad accettare la criptosignoria medicea, e all’interno di essa, nel 1441, come si è già detto, otterrà il gonfalonierato di Giustizia.
L’utilitarismo che ispira la condotta pubblica di Morelli trova la sua sublimazione nel momento del confronto di Firenze con il nemico esterno. L’episodio che particolarmente catalizzò il sentimento patrio dei Fiorentini fu la lotta del 1402 contro le mire espansionistiche di Gian Galeazzo Visconti. Allora Morelli fa propri gli ideali elaborati negli ambienti dell’umanesimo civile fiorentino (Baron, 1970): il Comune diventa santo, Dio si schiera dalla parte di Firenze e sopra tutto s’innalza il vessillo della libertas repubblicana di Firenze.
Gli studi che tra anni Settanta e inizio anni Ottanta del Novecento presentavano i Ricordi di Morelli quale documento per la storia della famiglia, della società e della politica fiorentina, oltre e forse prima che quale tassello della storia della letteratura italiana, andavano in un certo modo nella direzione indicata nel 1983 da Angelo Cicchetti e Raul Mordenti quando proposero nella Letteratura italiana Einaudi la categoria dei ‘libri di famiglia’, genere di scrittura tra il letterario e il documentario, aperto a più argomenti, forse primo fra tutti l’anagrafe familiare, con la fondamentale caratteristica di essere scritto almeno prevalentemente per la famiglia. I tratti distintivi del libro di famiglia fiorentino tra circa seconda metà del Trecento e metà Cinquecento (Pandimiglio, 2010) sono quelli di un testo che presenti una esplicita o implicita autocoscienza familiare e che intenda trasmettere quell’autocoscienza, che si presenti cioè come uno strumento atto a favorire la prosecuzione delle fortune economiche, politiche e sociali della famiglia, che di questa registri la composizione e l’evoluzione, che fornisca informazioni sulle alleanze sociali in essere, sul patrimonio familiare, sugli antenati, sulle cariche pubbliche ricoperte dai membri passati e presenti , possibilmente sugli avvenimenti storico-politici che hanno interessato e interessano la famiglia, e che infine detti o suggerisca norme seguendo le quali lo scopo per cui il libro viene composto (la trasmissione della autocoscienza familiare) possa essere raggiunto. Insomma il capofamiglia che si fa redattore del libro è un anello tra i suoi antenati e i suoi discendenti, che raccoglie le informazioni precedenti, le amplia attraverso la propria esperienza, trasmette il bagaglio aggiornato al fine di mantenere il benessere della famiglia. I Ricordi di Giovanni Morelli fanno parte a buon diritto del nutrito gruppo di libri di famiglia fiorentini, ma un esemplare ben più ricco è costituito dalla totalità della scrittura contenuta nel codice del quale i Ricordi sono solo una parte anche se la più attraente.
Il resto del codice Magliabechiano II.IV.52 contiene infatti altro materiale accumulato da Morelli in parte durante la redazione dei Ricordi e in parte dopo la loro interruzione. Sempre autografi, precedono i Ricordi una piccola raccolta di «proverbi volghari detti per huomini valenti» e «cierte chose utili alla salute dell’anime »; seguono i Ricordi l’elenco di «quelli che di chasa de’ Morelli sono suti de’ Singniori», aggiornato fino al 1432, e la redazione in volgare di un testamento di Morelli datato 1415, con ogni probabilità minuta di un testamento notarile non pervenutoci. A ribadire la natura di libro di famiglia interviene infine nel codice la presenza di altri membri della famiglia. Il padre di Morelli, Pagolo, inaugurò il codice e scrisse una ventina di carte riportando gli atti di una lite da lui sostenuta dinanzi al Tribunale della mercanzia contro i tutori degli orfani di suo fratello Giovanni. Un seicentesco Vincenzio Morelli riempì un paio di carte rimaste bianche prima dei Ricordi con la copia di alcune sue lettere mercantili. Di seguito al testo dei Ricordi un Morelli cinquecentesco non meglio identificato compilò o trascrisse una lista dei «chasati di Firenze» (questi testi sono pubblicati nelle Appendici di Pandimiglio, 2010, pp. 191-252).
Fonti e Bibl.: P. Giorgi, Sulla cronaca di Giovanni di Paolo Morelli, in Il Regio Liceo ginnasiale Melchiorre Delfico nell’anno scolastico 1880- 81, Firenze, 1882, pp. 3-24; Paolo da Certaldo, Libro di buoni costumi, a cura di A. Schiaffini, Firernze 1945, passim; Ildefonso di San Luigi, Delizie degli eruditi toscani, XIX, Istoria genealogica dei Morelli, Firenze 1785, passim; V. Branca, Fra Morelli e Sacchetti. Vita pubblica e vita domestica nella Firenze del primo Quattrocento, in Saggi e ricerche in memoria di Ettore Li Gotti, in Bollettino del Centro di studi filologici e linguistici siciliani, VI (1962), pp. 274-288; L. Martines, The Social world of the Florentine humanists 1390-1460, London 1963, pp. 365-378; Ch. Bec, Les marchands écrivains. Affaires et humanisme à Florence 1375-1434, Paris 1967, pp. 53-75 e passim; H. Baron, La crisi del primo Rinascimento italiano, Firenze 1970; D. Herlihy - Ch. Klapisch Zuber, Les Toscans et leurs familles. Une étude du Catasto florentin de 1427, Paris 1978; F. Cardini, Sognare a Firenze fra Trecento e Quattrocento, in Quaderni medievali, IX (1980), pp. 86-120; A. Cicchetti - R. Mordenti, La scrittura dei libri di famiglia, in Letteratura italiana Einaudi, III, 2, Torino 1984, pp. 1117-1159; Id., I libri di famiglia in Italia, I, Filologia e storiografia letteraria, Roma 1985; C. Tripodi, «Tieni sempre con chi tiene e possiede il palagio e la Signoria»: «Ricordi» e ascesa al reggimento. Il caso dei Morelli, in Archivio storico italiano, CLXV (2007), pp. 203-266; L. Pandimiglio, Famiglia e memoria a Firenze, I (secoli XIIIXVI), Roma 2010, pp. 75-252 (Studi su G.M.).