MOCENIGO, Giovanni
MOCENIGO, Giovanni. – Nacque a Venezia nel 1408, nella parrocchia di S. Sofia, dal futuro procuratore Leonardo del procuratore Pietro e da Francesca Molin di Michele. Prestigiosa la famiglia, e di rango certo non inferiore il matrimonio realizzato dal M. nel 1432 con Taddea Michiel di Giovanni di Francesco, da cui nacquero Leonardo e Luchina (che sposerà nel 1456 Antonio Dandolo di Andrea).
Sporadiche le notizie concernenti la vita del M. sino alla maturità, per cui è probabile che i suoi interessi fossero rivolti alla mercatura (nel 1448 il fratello Nicolò era al comando di una nave che commerciava nel Mar Nero); il 10 luglio 1441 venne eletto alla Quarantia, ma rifiutò; la nomina gli fu nuovamente offerta qualche mese dopo, il 26 novembre, non si sa con quale esito, risultando deteriorata la chiosa presente accanto alla data di elezione (Arch. di Stato di Venezia, Segretario alle voci, Misti, reg. 4, c. 106v). Il suo nome compare solo diversi anni più tardi, nel testamento della madre, redatto nel 1451 a S. Samuele, dove ormai risiedeva questo ramo dei Mocenigo, in un succedersi di palazzi sul Canal Grande che sarebbero divenuti la storica dimora di questa grande casata.
Dall’ottobre 1452 il M. intraprese con maggior regolarità la carriera politica, ricoprendo abitualmente il ruolo di senatore; non è provata una sua ambasceria, nell’estate 1453, presso Ibràhêm Beg, signore di Caramania (Anatolia), per realizzare un accordo commerciale e una lega antiturca, l’uno e l’altra concretizzatisi in un documento sottoscritto a Iconio (Konya) il 12 febbr. 1454. L’inviato veneziano vi è indicato come «quondam Zorzi», cioè figlio di Giorgio, ma nessuna fonte dell’epoca fa menzione di tale personaggio, né appare verosimile che un incarico così importante potesse essere affidato a una figura rimasta sconosciuta alle genealogie e alle cronache. A rafforzare l’identificazione dell’inviato presso Ibràhêm Beg con il M., contribuisce poi il fatto che suo fratello Nicolò aveva sposato Maria di Giorgio Corner, famiglia con forti interessi commerciali nel Levante e imparentata alla lontana con i Comneno imperatori di Trebisonda; anche questo ramo dei Mocenigo esercitava la mercatura (si è visto che Nicolò nel 1448 era presente nel Mar Nero e lo stesso M. l’11 giugno 1454 ebbe il comando del convoglio di Alessandria), per cui una missione a un tempo politica e commerciale potrebbe essergli stata affidata come a persona in grado di operare efficacemente in quell’area. In ogni caso, il Senato avallò il trattato commerciale, ma non ritenne di dar seguito all’alleanza contro gli Ottomani.
Il M. fu poi podestà e capitano a Ravenna nel 1463 e savio di Terraferma nel 1466; in tale veste, nell’aprile di quell’anno fu incaricato, insieme con tre colleghi, di trattare con il signore di Ferrara, Borso d’Este, una lega contro la Firenze medicea. Venezia non intendeva però manifestare apertamente la sua posizione e «delegò» la guerra a Bartolomeo Colleoni, di cui non aveva rinnovato la condotta che lo legava al suo servizio; fu un’operazione per molti aspetti ambigua e che non conseguì risultati apprezzabili.
Nuovamente savio di Terraferma nel primo semestre 1467, il 5 ottobre di quell’anno il M. entrò come podestà a Treviso, dove poi accolse l’imperatore Federico III che si recava a Roma. Eletto avogador di Comun il 12 nov. 1469, qualche settimana dopo rinunciò all’incarico per assumere quello di luogotenente della Patria del Friuli, dove fece il suo ingresso l’11 marzo 1470 e dove sarebbe rimasto fino all’agosto dell’anno successivo.
Rimpatriato, divenne savio di Terraferma e, nel novembre, fu tra gli elettori del doge Nicolò Tron; quindi (26 genn. 1472) venne eletto avogador di Comun. Alla morte del doge Tron (28 luglio 1473), il M. fece parte di varie commissioni elettorali, fra le quali la conclusiva che il 13 agosto portò all’ascesa al dogato di Nicolò Marcello; nella circostanza il M. si batté invano per sostenere la candidatura del fratello Pietro, da anni impegnato in Levante contro i Turchi in un succedersi di fortunate campagne navali.
Savio del Consiglio nel 1474, a fine ottobre, con Andrea Vendramin e Antonio Venier, fu incaricato di condurre la trattativa con gli ambasciatori di Firenze e Milano, Tommaso Soderini e Leonardo Botta, onde confermare per i successivi venticinque anni la pace di Lodi, del 1454. L’accordo venne siglato il 2 nov. 1474, ma non produsse i frutti sperati.
Qualche settimana dopo, il 14 dicembre, suo fratello Pietro divenne doge, consolidando ulteriormente la posizione del M. ai vertici dello Stato: da allora, infatti, egli sarebbe sempre stato eletto fra i savi del Consiglio, dal 1475 al 1478, allorché divenne a sua volta doge, pur senza mai conseguire la dignità procuratoria.
Agli inizi del marzo 1476 fu tra gli elettori del doge Andrea Vendramin, quindi fu eletto nella giunta di senatori incaricati di procedere all’inventario dell’ingente patrimonio lasciato dal defunto condottiero Bartolomeo Colleoni, e di dar esecuzione alle sue disposizioni testamentarie. L’anno dopo in seguito a una serie di incursioni ottomane in Friuli, con i lutti e le devastazioni solite aversi in simili circostanze il M. fu eletto (5 novembre) in una commissione di quattro patrizi destinati a ispezionare i confini sull’Isonzo e a suggerire provvedimenti atti a rafforzare il dispositivo difensivo della regione.
Il 6 maggio 1478 morì il doge Vendramin e il M. entrò di lì a poco nella rosa dei quarantuno elettori decisivi; il conclave fu combattuto, dato il buon numero di prestigiosi concorrenti, ma il 18 maggio il M. riuscì eletto, grazie anche all’appoggio dell’influente Marco Corner, cognato di suo fratello Nicolò.
Tutte le fonti concordano nell’affermare che fu creato doge non per particolari meriti politici (ché, infatti, non ne ebbe), ma per le doti dell’animo, cioè bontà, modestia, equilibrio, onestà, che gli assicurarono il favore popolare; a ciò vanno aggiunte, verosimilmente, le benemerenze acquisite dal padre e dal fratello.
Il suo dogato fu travagliato da guerre e calamità: proprio nei giorni della sua elezione cominciò a manifestarsi in città una pestilenza che sarebbe durata sino all’inverno; nel 1479 il lungo conflitto contro i Turchi si concluse con un trattato di pace fortemente penalizzante per Venezia, che doveva cedere Negroponte, Scutari, Drivasto e varie altre località. Il 14 settembre, poi, un furioso incendio devastò Palazzo ducale, costringendo il M. a spostare la sua residenza al di là del rio sottostante, dove ora sorgono le prigioni. Un mese dopo (23 ott. 1479) morì sua moglie di peste, ma il luttuoso evento gli venne taciuto, essendo il M. a sua volta malato.
Neppure due anni dopo (2 maggio 1482) la Repubblica era nuovamente in guerra, stavolta contro il duca di Ferrara; la posta in palio era il Polesine, che Venezia ottenne al termine del conflitto, peraltro rivelatosi più difficile e gravoso del previsto (pace di Bagnolo, 7 ag. 1484).
Il M. morì di peste, a Venezia, il 4 nov. 1485. Fu sepolto nella basilica dei Ss. Giovanni e Paolo, in un mausoleo nella controfacciata interna a sinistra, opera di Tullio Lombardo.
Ebbe un unico figlio maschio, Leonardo, nato nel 1445, che sposò nel 1471 Cristina Trevisan di Andrea. Ricevette un’ottima educazione, ma non emerse come umanista perché assorbito dall’attività politica, che esercitò sin quasi alla fine della sua lunga esistenza. Dopo aver ricoperto alcune magistrature minori, il 4 sett. 1494 assunse la carica di luogotenente della Patria del Friuli, quindi entrò come podestà a Verona (4 febbr. 1497). Consigliere ducale dal dicembre 1498 al settembre 1499, il 22 marzo 1500 assunse la podestaria di Padova. Membro del consiglio dei Dieci tra l’ottobre 1502 e il settembre 1503 e poi ancora nel 1504-05, l’11 nov. 1503 venne eletto nell’ambasceria «d’obbedienza» per l’elezione al pontificato di Giulio II. La missione si svolse parecchio tempo dopo: annota Sanuto, in data 23 maggio 1505, che «nel ritorno uno suo fiol, nominato Francesco, a Spoleto si amalò et in breve morite in le sue braze» (I diarii, VI, col. 169). Il 1° genn 1506 entrò come savio del Consiglio, carica che avrebbe ricoperto pressoché ininterrottamente, in deroga alla contumacia prevista dalla legge, fino al 1531.
Dopo il disastro di Agnadello, il 6 giugno 1509 fu chiamato a far parte dell’ambasceria straordinaria incaricata di ottenere il perdono papale per la Repubblica; la pace fu presto seguita dall’alleanza antifrancese, e nell’ottobre 1510 Leonardo fu inviato a Bologna, con Domenico Trevisan, per assistere Giulio II nel corso delle operazioni militari culminate nell’assedio di Mirandola, nel febbraio 1511. Tra il marzo e il maggio 1512 trattò con il cardinale svizzero Matteo Schinner la partecipazione alla lega dei Cantoni elvetici e il 28 giugno 1513 fu eletto nell’ambasceria straordinaria per congratularsi dell’elevazione al soglio pontificio di Leone X, ma la missione non venne effettuata; fu poi inviato al campo, per consultazioni con Bartolomeo d’Alviano, nel luglio 1514. Concorse al dogato nel 1521 e nel 1523, ma dovette accontentarsi della dignità procuratoria de supra, conferitagli il 2 ott. 1524. Morì a Venezia il 5 dic. 1534.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Miscell. Codd. I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii …, V, cc. 175, 179, 186 s.; Avogaria di Comun, Balla d’oro, reg. 162, c. 96v; Segretario alle voci, Misti, regg. 4, cc. 82r, 106v, 134v, 136v, 139v, 143r; 5, c. 47r; 6, cc. 1v, 7r, 28r, 49v; Notarile, Testamenti, b. 1240/96 (testamento della madre, 22 ag. 1451); Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna, 3782: G. Priuli, Pretiosi frutti …, II, c. 217; 3118, XV: Ducale a G. M. podestà di Treviso, 1467; I libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, V, Venezia 1901, pp. 78, 215, 227-249, 266-300; Cronaca di anonimo veronese, a cura di G. Soranzo, Venezia 1915, pp. 336, 360 s., 369 s., 380-382, 418; M. Sanuto, Le vite dei dogi. 1474-1494, a cura di A. Caracciolo Aricò, I, Venezia 1989, pp. XVII-XLIX, LXI, LXVIII s., 13 s., 69, 75, 91, 107, 113 s., 118 s., 126, 139, 141, 154, 168, 215, 242, 255, 302, 315, 317; II, ibid. 2001, pp. 397, 454, 475, 498, 506, 717; Id., Le vite dei dogi. 1423-1474, a cura di A. Caracciolo Aricò, II, Venezia 2004, pp. 157, 159, 196, 218, 222; M. Sabellico, Historiae rerum Venetarum, in Degl’istorici delle cose veneziane …, I, Venezia 1718, pp. 798, 872; G. Bonifacio, Istoria di Trivigi, Venezia 1744, p. 476; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, IV, Venezia 1855, pp. 379, 401, 405, 418; F. Cerone, La politica orientale di Alfonso di Aragona, in Arch. storico per le provincie napoletane, XXVII (1902), pp. 826-831; XXVIII (1903), pp. 183 s., 186; F. Babinger, Maometto il Conquistatore e il suo tempo, Torino 1967, pp. 403, 411; A. Da Mosto, I dogi di Venezia nella vita pubblica e privata, Firenze 1977, pp. LV, 195, 197, 204-207, 281; B. Betto, Linee di politica matrimoniale nella nobiltà veneziana fino al XV secolo. Alcune note genealogiche e l’esempio della famiglia Mocenigo, in Arch. storico italiano, CXXXIX (1981), pp 41, 60; P.H. Labalme, No man but an angel. Early efforts to canonize Lorenzo Giustiniani (1381-1456), in Continuità e discontinuità nella storia politica, economica e religiosa. Studi in onore di Aldo Stella, a cura di P. Pecorari - G. Silvano, Vicenza 1993, p. 25; M. Casini, I gesti del principe. La festa politica a Firenze e Venezia in età rinascimentale, Venezia 1996, pp. 38, 62, 106; D. Raines, L’invention du mythe aristocratique. L’image de soi du patriciat vénitien au temps de la Sérénissime, I, Venezia 2006, pp. 284s.; P. Litta, Le Famiglie celebri italiane, s.v. Mocenigo, tav. V.