MINZONI, Giovanni
– Nacque a Ravenna il 29 giugno 1885 da Pietro e da Giuseppina Gulmanelli. Terzo di cinque figli (il padre, ferroviere, divenne gestore, poi proprietario, della locanda Cappello), studiò nel seminario di Ravenna dal 1897 al 1909, anni nei quali si erano diffuse le tendenze democratico-cristiane, e intensificate, specie in Romagna, le lotte contadine. Dopo avere preso gli ordini minori nel 1908 e il suddiaconato l’anno successivo, il 19 sett. 1909 fu ordinato sacerdote, in una diocesi che contava 150 preti e in cui erano ampiamente diffusi sentimenti anticlericali.
Come altri giovani sacerdoti della sua generazione fu toccato dai «dubbi della critica moderna», ossia dal modernismo, e fu particolarmente attratto dalle idee innovatrici di R. Murri – promotore del movimento democratico-cristiano e fondatore della Lega democratica nazionale – che egli aveva potuto ascoltare nel 1902, in un incontro con i seminaristi di Ravenna. Il M. si avviava dunque al sacerdozio nella stagione segnata dalla conclusione drammatica del contrasto fra la Chiesa cattolica e Murri che, proprio nel 1909, era stato colpito dalla scomunica, comminatagli da Pio X. Nel Diario sono evidenti i segni della delusione patita dal M. e del turbamento per la perdita di un importante punto di riferimento negli anni della sua formazione religiosa e culturale.
Trascorse i mesi successivi all’ordinazione presso lo zio, anch’egli sacerdote, nella parrocchia rurale dei Ss. Vito e Modesto.
In quel periodo, constatando il contrasto esistente fra le chiese disertate dai fedeli e la forte attrazione esercitata su operai e braccianti dalla Camera del lavoro, cominciò a maturare quel modello di approccio diretto e non timoroso al mondo dei lavoratori e di condivisione dei loro bisogni e delle loro speranze, che divenne poi un tratto distintivo della sua azione sacerdotale. Sentiva intenso – scrive nel Diario del 1909 – il bisogno di dialogare con quei giovani, «d’affratellarmi a questa religione nascente» (1965, p. 113).
Nel febbraio 1910 fu nominato, a sostegno del parroco gravemente malato, cappellano nella parrocchia di s. Nicolò di Argenta, grosso centro agricolo della provincia di Ferrara (ma nell’arcidiocesi di Ravenna) dove si era radicato, come in tutto il Ferrarese bracciantile delle bonifiche e delle grandi proprietà capitalistiche, il socialismo.
Seppe distinguersi subito per le sue capacità organizzative, la franchezza, la cordialità di carattere e l’attitudine comunicativa che certo risentivano dell’ambiente e del lavoro svolto dalla famiglia d’origine, oltre che della sua vocazione per un ministero operoso, teso alle concrete realizzazioni. Di questi suoi tratti fece un viatico per avviare la predicazione religiosa, sì che, grazie alle sue qualità umane, seppe farsi accettare anche come sacerdote.
Ad Argenta organizzò, lavorando personalmente alla sua costruzione, il ricreatorio maschile, inaugurato il 31 dic. 1911. A completamento della propria formazione religiosa si iscrisse nel 1912 alla Scuola sociale della diocesi di Bergamo, dove si addottorò nel 1914 con la valutazione e il punteggio massimi, discutendo una tesi sul tema, certamente moderno per l’epoca, della controversia fra il Cristo della fede e il Cristo della storia. Profuse in quegli anni una grande attività a favore della popolazione argentana sì che, alla morte del parroco, nel gennaio 1916, fu unanimemente designato a succedergli dai capifamiglia della parrocchia.
Non diversamente si comportò nell’esperienza che fece della prima guerra mondiale. Mobilitato nell’estate 1916, fu uno dei circa 12.000 sacerdoti-soldati che fecero parte delle forze armate italiane fra il 1915 e il 1918, e come tale fu assegnato a un reparto di sanità ad Ancona. Animato da forti convincimenti patriottici, ma alieno da ogni retorica nazionalista, chiese e ottenne nel 1917 la nomina a tenente cappellano militare in un reparto operativo e fu assegnato al 255° reggimento di fanteria della brigata Veneto.
Condivise in maniera problematica e sofferta, come risulta dal suo diario, la vita dei soldati nelle trincee, anche nei suoi momenti più drammatici e rischiosi. Per l’impegno profuso in prima linea, con gli arditi, in particolare nella battaglia del Piave del giugno 1918, e nell’opera di soccorso e di conforto ai feriti, fu insignito, tra l’altro, della medaglia d’argento al valore militare, onorificenza che gli procurò grande soddisfazione e che egli intese come un riconoscimento dell’«onore del clero», nella difficile stagione dell’«inutile strage» e delle campagne anticlericali scaturite dalla presa di posizione di papa Benedetto XV contro la guerra.
Terminato il conflitto, nel febbraio 1919 fu inviato a Venezia per consegnare a G. D’Annunzio la medaglia d’oro offertagli dal reggimento: incarico (e riconoscimento) di cui andava fiero. Nel mese successivo fu smobilitato e fece ritorno ad Argenta, dove ricevette, nel giugno, la nomina a parroco di S. Nicolò, e riprese a operare nel concreto di quel contesto sociale, ponendosi due obiettivi: l’organizzazione educativa dei ragazzi, di cui sono testimonianza le sue realizzazioni di quegli anni – il doposcuola, la biblioteca circolante, il teatro parrocchiale, i circoli maschile (che volle intitolare a G. Borsi, ufficiale caduto nella guerra mondiale) e femminile, le due sezioni scout – e quella sociale dei lavoratori, tesa a diffondere la pratica cooperativistica di ispirazione cattolica sia tra i braccianti sia tra le operaie del laboratorio di maglieria.
Divenne ben presto ispiratore e guida delle iniziative pubbliche dei cattolici argentani, una minoranza attiva in quel paese nel drammatico clima politico e sociale del dopoguerra.
Ne è un esempio la cooperativa agricola, i cui soci erano in prevalenza ex combattenti, e che dovette fronteggiare dapprima l’ostilità dei socialisti, poi le pressioni operate dai fascisti – che nel maggio 1921 avevano conquistato il potere in ambito locale annichilendo, con l’uso sistematico della violenza, l’organizzazione socialista – affinché prendesse le distanze dal Partito popolare italiano (PPI) e dal parroco.
Il M. aderì al popolarismo di don L. Sturzo. E nei mesi che precedettero la «marcia su Roma» manifestò apertamente – come gli riconobbe il periodico socialista ferrarese La Scintilla – la sua avversione al fascismo.
Lo fece con una franchezza e una decisione nella quale si colgono le tracce dell’esperienza fatta in prima linea nel corso della guerra, ma anche la riflessione sul martirio di Cristo e sulla centralità del sacrificio per la difesa dei valori umani e cristiani, che emerge significativamente dalle pagine del suo diario.
L’attivismo del M. e le sue doti di organizzatore incontrarono il consenso di molti giovani argentani, al punto che fu stentatissimo, in quel paese, l’esordio dell’Opera nazionale Balilla, giacché all’organizzazione avanguardista fece decisa concorrenza quella dei giovani esploratori cattolici, nella quale il M. si era attivamente impegnato, convinto com’era della necessità di dedicare le sue migliori energie all’azione educativa (in particolare N. Palumbi sottolinea, nei suoi scritti, questo aspetto dell’azione sacerdotale e sociale del M.), e trovandosi in piena sintonia con il discorso di sostegno e incoraggiamento rivolto ai dirigenti degli scout cattolici da Pio XI, il 10 giugno 1923. Il successo del convegno interdiocesano dei giovani cattolici romagnoli, che si tenne ad Argenta il 22 apr. 1923 e nel quale il M. decise di costituire una sezione dell’Associazione scautistica cattolica italiana (ASCI), fu la conferma che il lavoro svolto aveva dato frutti copiosi. La connessione fra i successi conseguiti nell’azione economico-sociale e nell’ambito dell’associazionismo cattolico, e il suo accostarsi al popolarismo sturziano attirò sul M. l’ostilità dei fascisti ferraresi, che non gli perdonavano le prese di posizione a favore delle vittime della violenza squadrista, anche di parte socialista. Al convegno del 22 aprile aveva infatti denunciato la responsabilità dei fascisti nell’uccisione del sindacalista socialista N. Gaiba, avvenuta il 7 maggio 1921 ad Argenta, al culmine della stagione dello squadrismo agrario. In quello stesso mese d’aprile del 1923, con l’acuirsi del dissidio fra fascisti e popolari dopo il congresso di Torino del PPI, il M. decise di manifestare apertamente la propria adesione al partito di Sturzo.
Come scrisse a un amico sacerdote, in una lettera citata da G. Donati nel corso del processo intentato da I. Balbo a La Voce repubblicana (novembre 1924), il M., di fronte all’attacco sistematico portato dal fascismo, al centro come in periferia, contro il PPI e i circoli cattolici, aveva deciso di «passare il Rubicone» che lo separava da un attivo ed esplicito impegno politico. Scelse di battersi «contro la vita stupida e servile che ci si vuole imporre» (Diario, 1965, p. 266), conscio, come si evince proprio dalle ultime pagine del Diario, che così facendo metteva a repentaglio la propria incolumità e forse la propria vita. Il M. aveva maturato la consapevolezza che era necessario «prendere posizione», non per l’una o l’altra parte politica, bensì per l’affermazione dei principî di libertà o per la loro radicale negazione.
Non vi è dubbio, come risulta dalle testimonianze rilasciate nel corso del processo penale per la sua uccisione, che il M. visse, in quei mesi, il conflitto interno fra la scelta di un pubblico operare in coerenza con le proprie idee e il desiderio di non accentuare lo scontro politico e sociale che si era aperto, così come gli dettava la missione sacerdotale pacificatrice alla quale era votato. Prevalse in lui la volontà di rendere testimonianza delle proprie convinzioni etico-religiose e democratiche. Così facendo divenne, proprio per il ruolo che rivestiva, punto di riferimento degli antifascisti argentani cattolici, ma anche dei socialisti, che lo apprezzavano per la determinazione con cui aveva difeso la cooperativa agricola dal tentativo dei fascisti di impadronirsene.
I fascisti fecero un tentativo di attrarre il M. nel proprio campo puntando sui suoi trascorsi militari e gli offersero, nel mese di maggio, i gradi di centurione cappellano della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (MVSN). Il M. rifiutò. Nel mese successivo costituì le due sezioni argentane degli esploratori cattolici. L’8 luglio, in una pubblica riunione organizzata nel teatro parrocchiale di Argenta per presentare alla comunità la nuova organizzazione giovanile alla presenza di don E. Faggioli – fondatore della sezione scoutistica di Bologna e assistente ecclesiastico regionale dell’ASCI – vi fu uno scontro pubblico fra il M. e il segretario del fascio argentano L. Rocca a proposito degli spazi di libertà da riconoscere allo scoutismo, cioè alla possibilità per gli scout di uscire dagli ambiti strettamente parrocchiali e di sfilare in quella piazza dalla quale i fascisti avevano escluso ogni altra presenza collettiva organizzata.
Erano in gioco aspetti simbolici dei rapporti di potere e difesa della libertà educativa e associativa, la strategia fascista di indebolire sistematicamente quel cattolicesimo politico che rifiutava di fiancheggiare il fascismo, e, soprattutto, il controllo sull’organizzazione dei giovani a cui il fascismo ambiva: «in questo campo siamo intrattabili», avrebbe affermato B. Mussolini dopo la firma dei Patti lateranensi nel 1929, giacché «abbiamo bisogno di dare a questi giovani il senso della virilità, della potenza, della conquista» (cfr. Catti, p. 60).
Alla fine di luglio del 1923 il M. impartì la prima comunione a una decina di giovani, figli di socialisti e li festeggiò con un pranzo in canonica. Il 9 agosto organizzò nel teatro di Argenta un raduno degli esploratori cattolici, sempre alla presenza di don Faggioli. La misura era colma per quei dirigenti fascisti ferraresi che, sotto la guida di I. Balbo, stavano procedendo alla fascistizzazione della provincia e avevano deciso di «picchiare sodo prima o poi» sui «politicanti popolari» (Franceschini, pp. 154 s.) che si erano dissociati dalla scelta clerico-fascista di G. Grosoli Pironi.
La sera del 23 ag. 1923, mentre il M. rincasava con l’amico e collaboratore E. Bondanelli, furono entrambi aggrediti da due squadristi di Casumaro di Cento, membri della MVSN. L’intento (e l’ordine ricevuto) non era di uccidere, bensì di dare una lezione, secondo lo stile fascista, a quel prete «scomodo», ma il colpo di bastone in testa che il M. ricevette gli fu fatale. Soccorso e trasportato nella sua abitazione d’Argenta, morì lo stesso giorno – 23 ag. 1923 – dopo una breve agonia.
Il cordoglio popolare fu profondo e diffuso. Il 25 agosto venne celebrato il funerale in parrocchia, poi la bara con la salma del M. fu trasportata in corteo da Argenta a Ravenna, dove il rito funebre venne ripetuto il giorno successivo.
A differenza di quanto fece Il Romagnolo, giornale dei cattolici ravennati, della morte del M. parlò poco, e con grande cautela, il giornale grosoliano (di M. Grosoli Pironi) ferrarese La Domenica dell’operaio, anticipatore della linea adottata nei confronti dell’omicidio non solo da quella parte della stampa cattolica che si era orientata a favore del fascismo, e che preferì non indagare a fondo sulle cause politiche di quella morte violenta, ma anche dalla gerarchia ecclesiastica. Sulla preoccupazione dell’arcivescovo di Ravenna A. Lega, di «limitare la portata del sacrificio» del M., si veda la lettera scritta dal presule in quell’occasione e pubblicata da A. Albertazzi, Contenuti di fede e ordine sociale nelle lettere pastorali dell’episcopato della regione conciliare Flaminia durante il pontificato di Pio XI (in Chiesa, Azione cattolica e fascismo, pp. 912 s.; il messaggio di Giovanni Paolo II al convegno sul M. del 1983, pubblicato in Il messaggio di don G. M., pp. 9-11, ha rappresentato una svolta significativa rispetto a quelle reticenze e a quei distinguo). Don G. Mesini, già professore del M. nel seminario, suo direttore spirituale e amico, pubblicò, a poche settimane dal tragico evento, la breve biografia In memoria di don G. M., in cui individua la causa vera (e quindi politica) di quella violenza nel nodo dell’organizzazione e dell’educazione dei giovani, e difende il M., riprendendo le parole de L’Avvenire d’Italia, dall’insinuazione che il delitto avesse un’origine passionale: ipotesi che gli inquirenti giudicarono del tutto priva di fondamento. L’esiguità della reazione fu il segno che il fascismo era ormai riuscito a soffocare, nella terra dove Balbo poteva intimidire impunemente questore e prefetto, la presenza dei partiti e le voci di opposizione, e che all’interno dello stesso clero diocesano e di quello ferrarese il fascismo aveva fatto proseliti e il dissenso nei confronti delle coraggiose prese di posizione del M. era più ampio di quanto non apparisse. Un atteggiamento ben diverso tennero i giornali legati al popolarismo, i cui cronisti indagarono sull’omicidio, cogliendo risultati che il processo penale non poté ignorare, come nel caso dell’Avvenire, o che – è il caso de Il Popolo, organo del PPI – fecero conoscere la figura e la tragica fine del M. a un pubblico più largo e contribuirono alla sua assunzione tra i martiri dell’antifascismo, in stretta connessione con la figura di G. Matteotti, ucciso pochi mesi più tardi.
L’inchiesta sulla morte del M. fu archiviata nel novembre 1923, come voleva la dirigenza fascista ferrarese. Ma il caso venne riaperto dopo la pubblicazione sulla Voce repubblicana, il 24 ag. 1924, di un articolo che lasciava intendere la responsabilità di Balbo quale ispiratore del delitto.
Ne scaturì una querela di Balbo contro il giornale repubblicano e un processo che, celebrato a Roma nel novembre 1924, si trasformò, grazie alla denuncia fatta in quella sede dal direttore de Il Popolo, G. Donati, in una requisitoria contro il gerarca e contro la violenta gestione del potere da parte del fascismo, e si concluse con l’assoluzione dei responsabili della Voce, mentre il ras del fascismo ferrarese dovette lasciare il comando generale della MVSN che aveva da poco assunto. Pochi mesi prima, il 26 ag. 1924, Il Popolo aveva dato il massimo risalto, attraverso la commemorazione tenuta dal suo direttore, all’anniversario dell’uccisione del Minzoni. Le accuse contro Balbo non ebbero seguito sul terreno giudiziario, ma furono una componente importante della strategia politica delle opposizioni durante la secessione dell’Aventino, nella seconda metà del 1924, anche perché il 6 dicembre il giornale dei popolari pubblicò il Memoriale Beltrani, documento nel quale l’ex fiduciario provinciale del Partito nazionale fascista (PNF) di Ferrara, estromesso dalla carica dopo le elezioni politiche di quell’anno, accusava espressamente Balbo quale responsabile delle violenze e delle intimidazioni contro gli avversari politici in quel territorio, e in particolare degli atti compiuti per sottrarre alla giustizia i fascisti che avevano progettato ed eseguito l’aggressione al M.; appariva sempre più evidente che questa era nata dalla volontà di una dirigenza fascista locale e provinciale, decisa a perseverare nell’uso della violenza politica, anche nella fase di «normalizzazione» dello squadrismo, seguita all’andata al potere di Mussolini e alla costituzione della MVSN.
L’inchiesta sul delitto venne dunque riaperta nel dicembre 1924 e portò alla celebrazione del processo che si svolse nel luglio 1925 presso la corte d’assise di Ferrara (P. Monti, Il processo per l’omicidio M., in Il messaggio di don G. M., pp. 147-191). Ma il clima politico era profondamente mutato, dopo il fallimento della protesta dell’Aventino e la svolta verso la dittatura segnata dal discorso di Mussolini del 3 genn. 1925.
Le minacce ai giurati, le intimidazioni nei confronti dei testimoni e dei giornalisti, la plateale solidarietà offerta in aula da Balbo agli imputati prepararono la strada al generale verdetto assolutorio imposto dalla «piazza» fascista. Ne beneficiarono A. Malan, capo del fascismo di Argenta, R. Forti e A. Lanzoni, rispettivamente console e caposquadra della MVSN ferrarese, imputati quali mandanti, e i militi di Casumaro, G. Molinari e V. Casoni, accusati di avere eseguito materialmente l’agguato.
Caduto il fascismo, la Corte di cassazione annullò nel 1946 quella sentenza. Processati di nuovo a Ferrara nel 1947, gli imputati superstiti (Malan, Molinari e Casoni) furono condannati per omicidio preterintenzionale e scarcerati per sopravvenuta amnistia.
Fonti e Bibl.: Documenti sul M. si trovano ad Argenta, Archivio del Centro studi cristiani don Minzoni; Ravenna, Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea in Ravenna e provincia, Fondo don Minzoni; Bologna, Istituto storico Parri Emilia-Romagna, Fondo don Minzoni. Parte del Diario del M. è conservato a Ravenna presso l’Archivio arcivescovile, ma vedi pure: Il diario di don Minzoni, a cura e con introduzione di L. Bedeschi, Brescia 1965; G. Minzoni, La crisi di un prete. Memorie 1910-1915, a cura di L. Bedeschi, Firenze 1967; Don Minzoni: un prete al lavoro (appunti inediti per catechismi e predicazione 1919-1923), Ravenna 1973; Il testo inedito della tesi di laurea di don G. M., in Via Emilia, II (1983), pp. 16-24; Pagine dal Diario di don Minzoni scelte e curate dal prof. N. Palumbi in collaborazione con le proff. M.A. Felletti e G. Penazzi per il progetto «Chi era don Minzoni ?» dell’Isituto di istruzione secondaria Aleotti - Don Minzoni di Argenta, Argenta 2003. Sono in corso di pubblicazione una nuova edizione ampliata del Diario Minzoni, a cura di R. Cerrato - G.L. Melandri, promossa dall’Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea in Ravenna e provincia, e gli Scritti di don Minzoni, a cura di N. Palumbi, per iniziativa dell’Associazione don Minzoni di Argenta. Cfr. pure: [G. Mesini] In memoria di don G. M. arciprete di S. Nicolò in Argenta, ex cappellano militare decorato di medaglia d’argento e cavaliere della Corona d’Italia, Ravenna 1923 (ristampato in Don G. M., Bologna 1973, prefaz. di E. Fiorentini); I. Coccia, Processo di don M., Roma s.d. (si riferisce al processo del 1925, in cui l’autore fu avvocato di parte civile); A. Salvatore, Don G. M., Messina 1925; Profili della Democrazia cristiana, I, Un eroe della libertà: don G. M. Commemorazione tenuta a Roma nell’anniversario della sua uccisione da G. Donati e A. Benci, Roma 1944; Don G. M. nel ventiduesimo annuale dell’assassinio: 1923-23 agosto-1945, Ravenna 1945; L. Bedeschi, Don M., Milano 1952; G. Donati, Commemorazione di don G. M. [1924], in Scritti politici, a cura di G. Rossini, Roma 1956, pp. 203-214; F. Meda, G. M., in Civitas. Antologia di scritti 1919-1925, a cura di B. Malinverni, Roma 1963, pp. 447-459; G. De Rosa, Il Partito popolare italiano, Bari 1966, ad ind.; L. Lotti, Don G. M., in Studi romagnoli, XIX (1968), pp. 185-194; L. Bedeschi, Don M. il prete ucciso dai fascisti, Milano 1973; Celebrazioni del 50° anniversario della morte di don M.: Argenta 13 ott. 1973, Codigoro 1973; Don G. M. martire per la libertà, Roma 1973; L. Lotti, Don M. un prete all’opera, Ravenna 1973; Id., Don G. M.: il cinquantenario della morte, in Studi romagnoli, XXIV (1973), pp. 530-545; S. Raimondi, Don M. martire antifascista, Copparo 1973; C. Torelli, Don G. M.: commemorazione tenuta ad Oleggio il 2 sett. 1973, Torino 1973; P.R. Corner, Il fascismo a Ferrara 1915-1925, Bari 1974, ad ind.; G. Fanello Marcucci, Don M., Bari 1974; Chiesa, Azione cattolica e fascismo nell’Italia settentrionale durante il pontificato di Pio XI (1922-1939). Atti del V Convegno di storia della Chiesa, Torreglia … 1977, a cura di P. Pecorari, Milano 1977, ad ind.; A. Roveri, L’affermazione dello squadrismo fascista nelle campagne ferraresi 1921-1922, Ferrara 1979, ad ind.; R. Morozzo della Rocca, La fede e la guerra. Cappellani militari e preti-soldati (1915-1919), Roma 1980, ad ind.; Il messaggio di don G. M. Atti del Convegno nazionale di studio, Ravenna … 1983, a cura di B. Zaccagnini - R. Ruffilli, Ravenna 1984 (con saggi di L. Bedeschi, G. Montanari, G.L. Melandri, A. Albertazzi, P.G. Grassi, G. Campanili, A. Monticone, M. Sica, F. Molinari, P. Monti, D. Franceschini, A. Tesini, S. Mattarelli, A. Prati, A. Agostini, M. Marconi, A. Garosci); A. Comuzzi, Don M.: il Matteotti cattolico, Padova [1985]; D. Franceschini, Il Partito popolare a Ferrara. Cattolici, socialisti e fascisti nella terra di Grosoli e don M., Bologna 1985, ad ind.; Nel centenario della nascita di don M. prete martire, a cura di O. Contestabile, Imperia 1988; V. Caputo, Il caso don M., Roma 2000; N. Palumbi, Don G. M. educatore e martire, Cinisello Balsamo 2003; G. Vanni - N. Palumbi, La strada dei mille errori. Storia illustrata di don M., Argenta 2003; G. Catti, Ragazzi in movimento. Un’esperienza dell’associazionismo giovanile cattolico, Urbino 2008, pp. 53-60. Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza, III, Milano 1976, pp. 736 s.; Dizionario storico del movimento cattolico in Italia 1860-1980, II, I protagonisti, Torino 1982, s.v.; A. Preda - G. Trevisan, Preti della diocesi di Ravenna-Cervia (1900-2000), Ravenna 2005, p. 147.
A. Preti