MINGAZZINI, Giovanni
MINGAZZINI, Giovanni. – Nacque ad Ancona il 15 febbr. 1859 da Ferdinando, ingegnere, e da Cesira Franceschelli.
Nella prima età si trasferì con la famiglia a Roma. Immatricolato nell’anno 1877-78 presso la facoltà medica dell’Università di Roma, già da studente dimostrò interesse per gli studi di anatomia frequentando l’istituto di F. Todaro, con il quale si laureò nel 1883.
In quell’ambiente compì le sue prime esperienze, nutrendosi a una scuola aperta all’avanzata delle dottrine evoluzionistiche, in cui prendeva vigore un movimento positivistico di interpretazione biologica dei dati anatomo-fisiologici e in cui ricevevano impulso gli studi di embriologia comparata.
Per l’impegno profuso in qualità di giovane neolaureato, il M. fu insignito dei premi Corsi e poi Maggi. In quegli anni coltivò anche un’esperienza clinica, addestrandosi all’esercizio pratico della medicina negli ambienti ospedalieri: dopo la laurea, infatti, il M. aveva intrapreso la carriera ospedaliera nell’arcispedale romano di S. Giovanni, ottenendo presto, tuttavia, di poter privilegiare gli studi e la carriera accademica. Divenuto nel 1885 assistente nell’istituto anatomico diretto dal suo maestro, nel 1889, conseguì la libera docenza in anatomia umana normale.
Il M. si era perfezionato con una esperienza biennale a Monaco di Baviera, presso il laboratorio del manicomio di quella città. Con Todaro aveva affrontato gli aspetti anatomici e fisiologici del sistema nervoso, raggiungendo presto una riconosciuta competenza anche in campo clinico-neurologico. Le prime pubblicazioni, che risalgono al periodo trascorso nell’istituto di anatomia, affrontano quasi esclusivamente lo studio del sistema nervoso centrale. Poco dopo la laurea, nel 1884, il M. aveva già dato alle stampe un piccolo manuale di anatomia che conobbe una ristampa nel 1889 (Manuale di anatomia degli organi nervosi centrali dell’uomo: ad uso dei medici e degli studenti di medicina, Roma 1889).
Mentre si inseriva nella corrente biologica di interpretazione anatomo-fisiologica, il M. non perdeva il contatto con l’insegnamento di J. Moleschott e poi di L. Luciani, e di G. Sergi per quel che riguardava il settore antropologico, coltivando specialmente gli studi di morfologia e istopatologia cerebrale. Tali interessi lo condussero all’ospedale romano di S. Maria della Pietà nella sua sede della Lungara, dove era stato chiamato come settore anatomopatologo nel 1891 e dove fondò un laboratorio anatomopatologico particolarmente avanzato nelle indagini strumentali, che presto si avvalse di una ricca collezione di preparati istologici. Se dapprincipio aveva subito una forte impronta di stampo evoluzionistico, in un secondo momento il M. non rimase indifferente alle proposte del neocostituzionalismo, aderendo a un modello che si andava affermando allora nella scienza medica italiana. Nel 1905 subentrò a C. Bonfigli nella carica di direttore del manicomio, mantenendo l’incarico fino al 1924, anno della chiusura. Non smise per questo l’insegnamento universitario: dopo la libera docenza in anatomia normale, nel 1894 conseguì anche quella in neuropatologia e psichiatria. L’incarico ufficiale gli venne nel 1896, quando successe a E. Sciamanna nell’insegnamento della clinica di malattie nervose e mentali. Nominato nel 1900 straordinario nella stessa materia, il M. ottenne l’ordinariato nel 1910; infine, nel 1921, succedendo ad A. Tamburini, divenne direttore della clinica di malattie nervose e mentali, reggendola poi fino al 1929. Sotto la sua direzione, iniziata nel 1905, la clinica neurologica cambiò sede, spostandosi dal manicomio ai locali di patologia medica nel policlinico Umberto I e nel 1924 trovò una collocazione in un proprio edificio nel quartiere universitario.
Il M. è considerato il fondatore della scuola neurologica romana nonché uno fra i massimi interpreti italiani degli studi specialistici raccolti sotto il titolo di «neuropatologia», termine che evidenzia il particolare carattere anatomo-clinico di tale indirizzo di ricerche.
In quattro decenni di attività professionale, sviluppò l’esplorazione minuziosa delle funzioni del sistema nervoso centrale, analizzandone morfologia e fisiologia anche nei risvolti patologici e clinici. È evidente il ruolo che le tecniche anatomiche svolsero nel suo lavoro come strumento privilegiato di conoscenza in ambito neurologico. I suoi studi hanno permesso un avanzamento notevole nel campo della neurologia e anche della psichiatria, settore disciplinare che si andava affermando a Roma con orientamento in senso neurologico, nonostante le difficoltà incontrate per essere riconosciuto in ambito universitario come separato dalla neurologia.
All’atto di nascita della Società italiana di neurologia (Roma, 8 apr. 1907) – evoluzione della Società frenopatica (1861) e poi freniatrica (1873) – il M. fu uno dei due vicepresidenti con E. Morselli, mentre il presidente fu L. Bianchi. In quello stesso anno si tenne la prima riunione della corrispettiva società tedesca (cfr. Note sopra il primo congresso della Società di neurologia tedesca tenuto a Dresda (settembre 1907), in Il Policlinico, sez. pratica, XIV [1907], 44, pp. 1391-1394), la Deutsche Gesellschaft für Neurologie, che si era costituita da pochi mesi con W.H. Erb e H. Oppenheim. Appariva indebolita la tradizione di associare le discipline neurologiche con quelle psichiatriche e la neuropatologia sembrava stringere un nuovo sodalizio con la chirurgia, in particolare con le branche della otorinolaringoiatria e oftalmologia. Nel 1921, riconosciuto ormai come un caposcuola, il M. inaugurò la neonata cattedra di clinica delle malattie nervose e mentali. Egli si faceva difensore del concetto di P.J. Moebius nella prospettiva di fondare istituti per i malati nervosi poveri (Sulla necessità di ospedali per i malati nervosi poveri, in Il Policlinico, sez. pratica, XXI [1914], 4, pp. 144 s.). La sua personale adesione alla nosologia tedesca risulta anche dalla considerazione delle cefalee come psicosi nevralgiche (si veda la prefazione del M. al libro dell’allievo M.A. Broglio, Contributo allo studio clinico dell’emicrania, Roma 1905), al cui proposito dichiarava di condividere la teoria sulle psicosi «consecutive ad irritazione spinale» delineata da W. Griesinger. Sullo stesso binario, si collegava a Griesinger e H. Schüle per quel che riguarda le «disfrenie nevralgiche», rivendicando in diversi lavori l’entità delle «psicosi nevralgiche».
Nello Studio clinico sulle psicosi nevralgiche (in sensu lato) – in Riv. sperimentale di freniatria e medicina legale delle alienazioni mentali, 1899, vol. 25, pp. 401-444, 563-606, in collab. con G. Pacetti – il M. ampliava la già abbondante casistica che sembrava provare l’esistenza delle forme psicopatiche in rapporto causale con le nevralgie.
Grazie ai suoi frequenti soggiorni all’estero, rinsaldò i legami con la Germania, e contribuì ad accrescere il prestigio della scienza medica italiana anche in altri Paesi d’Europa e in America.
Nel settembre 1887 aveva partecipato al XII congresso dell’Associazione medica italiana tenutosi a Pavia, presentando nella sezione di anatomia e fisiologia una serie di osservazioni anatomiche sopra crani e cervelli di criminali e soffermandosi sul valore morfologico dei caratteri atavici rilevati caso per caso (Sopra 30 crani ed encefali di delinquenti italiani, ibid., 1888, vol. 14, pp. 1-48). Già in questo lavoro si delinea una tesi che appare sostanzialmente differente da quella di C. Lombroso, in quanto faceva procedere le deduzioni in senso inverso a quello descritto da Lombroso, dalle evidenze anatomopatologiche a quelle di ordine clinico, talché le tare degenerative sarebbero consistite negli esiti di anomalie e arresti di sviluppo contingenti, piuttosto che ereditari o costituzionali. Già in questa fase del suo lavoro, il M. appare attento ai dati rigorosi dell’osservazione morfologica e dell’esperimento, dati che S. Maria della Pietà forniva in abbondanza soprattutto dopo che negli anni del suo primariato come anatomopatologo, diede un forte impulso alla pratica dell’autopsia. Il primo gabinetto fisiopatologico, che con lui divenne il laboratorio di anatomia patologica, fu eletto a cenacolo prediletto da un gruppo di neurologi che era in stretti rapporti scientifici con la scuola neuropatologica di Monaco, diretta da Franz Nissl. Il suo interesse per la neuropatologia tedesca si riversò anche sul patrimonio librario del laboratorio, che il M. arricchì di una serie di traduzioni di opere straniere (cfr. 1800-1950. Un catalogo per la pazzia. La Biblioteca «Cencelli» del Santa Maria della Pietà in Roma, Manziana 1992).
Campo di interesse prediletto del M. rimase quello anatomico, eccellendo per completezza e sicurezza di conoscenze. Studiò la fine struttura del nucleo e delle connessioni con le fibre arciformi del bulbo. Si dedicò allo studio del nucleo lenticolare e della regione prelenticolare (Sulla sintomatologia delle lesioni del nucleo lenticolare, Riv. sperimentale di freniatria e medicina legale delle alienazioni mentali, 1901, vol. 27, pp. 68-93, 484-503; 1902, vol. 28, pp. 317-389), arrivando a stabilire l’esistenza di una nuova sindrome putaminale acuta chiamata anche «emiparesi lenticolare di Mingazzini», dovuta alla lesione di quella parte anatomica. Sulla scorta di numerosi preparati anatomici da tagli seriali praticati tra il ponte e il nucleo lenticolare dimostrò che le emiparesi dovute alla lesione del nucleo non sono sempre causate dal danno delle fibre motrici della capsula interna, potendo venire dalla distruzione di fibre supplementari associate alla via piramidale o al fascicolo rubrospinale. Indagò il decorso delle fibre cerebello-ponto-cerebellari, ampliando le conoscenze anatomiche delle stazioni di raccordo di quel complesso sistema (Intorno al decorso delle fibre appartenenti al pedunculus medius cerebelli ed al corpus restiforme, in Arch. per le scienze mediche, XIV [1890], 11, pp. 245-262). Le afasie furono un tema molto discusso dal M. che, d’accordo con S.E. Henschen, sostenne la dottrina per la quale nei primi anni di vita la funzione del linguaggio è comune ai due emisferi, subendo in un secondo tempo la perdita funzionale dell’area destra di Broca, con l’arresto delle connessioni all’area acustica di sinistra (Le afasie, Roma 1923). Al M. si lega un campo o punto che porta il suo nome, nel quale le vie fasico-motorie provenienti dall’emisfero destro si incrociano con quelle di sinistra, originando un fascio di fibre verbo-articolari che hanno il compito di trasportare ai nuclei bulbari il segnale motorio corrispondente alla immagine verbale ricevuta dalle fibre motorio-fasiche (Note cliniche ed anatomo-patologiche sopra la sede delle vie verbofasiche e verboartriche, Firenze 1916). Attraverso i reperti anatomopatologici e in base alla contemporanea osservazione clinica, egli riscontrò oltre a una afasia sensoriale pure una contrazione del linguaggio parlato nei pazienti con perdita bilaterale dell’area di Broca, con una emissione quasi esclusivamente monosillabica. Tale constatazione gli consentì di sostenere l’idea che l’area di Broca dovesse conservare il ricordo delle immagini motorie prodotte non già dalle parole ma dalle singole sillabe, poi ordinate sulla base dei comandi provenienti dall’area verbo-acustica.
Il M. affrontò diverse forme degenerative dell’encefalo e si occupò anche della patologia tumorale cerebrale, centrando l’attenzione sulla sintomatologia e ponendo le prime basi per una classificazione clinica dei tumori del lobo temporale (Contributo clinico ed anatomico allo studio dei tumori del lobo parietale, in Riv. sperimentale di freniatria e di medicina legale delle alienazioni mentali, 1898, vol. 24, pp. 655-673; Contributo allo studio dei tumori incipienti della superficie cerebrale e del midollo spinale, ibid., 1901, vol. 27, pp. 912-945). Considerò inoltre un ventaglio molto ampio di neoplasmi che colpiscono con maggiore frequenza il sistema nervoso centrale (Ascessi e tumori dell’encefalo. Osservazioni cliniche ed anatomopatologiche …, in Riv. di patologia nervosa e mentale, 1919, vol. 24, marzo-aprile, pp. 65-90; maggio-agosto, pp. 129-164). Per svolgere pienamente lo studio sui tumori, negli anni Venti si era recato al manicomio di Amburgo dove poté studiare, esaminare e fotografare una coppia di cervelli di scimmie antropomorfe, utili per le sue ricerche comparative specialmente in rapporto alle varietà morfologiche delle solcature e all’insula.
Il lavoro sui tumori occupò gli ultimi anni di attività del M. e la sua morte impedì la desiderata pubblicazione di uno specifico trattato. Aveva affrontato l’esame del cervelletto con riguardo alla sua duplice funzione di accumulatore di forza e di regolatore della sinergia dei movimenti, redigendo quella classificazione delle lesioni croniche del cervelletto che venne poi unanimemente accettata.
Pubblicò alcuni lavori sull’infezione da sifilide e sulle sue conseguenze per l’asse cerebro-spinale, nel periodo in cui si aprivano le vie di una efficace terapia (La cura del Salvarsan nella sifilide nervosa, e la reazione di Wassermann, in Il Policlinico, sez. pratica, XVIII [1911], 49, pp. 1545-53) e fu tra i primi in Italia ad applicare la malarioterapia nella demenza paralitica. Aveva studiato il decorso del nervo ipoglosso, esplorandolo nelle scimmie e giungendo alla definizione precisa dei gruppi di cellule che innervano le corde e il velopendulo. Uno dei suoi ultimi lavori fu quello sul callosum, dove raccolse le nozioni anatomiche, fisiologiche e cliniche sulla importante via commensurale dell’encefalo (Der Balken. Eine anatomische, physiopathologische und klinische Studie, Berlin 1922). Nella sua vasta produzione scientifica trovò spazio anche una certa attenzione alle problematiche criminologiche, che allora venivano anche indagate con gli strumenti della neuromorfologia (Sul significato della depressione parieto-occipitale, in Riv. sperimentale di freniatria e di medicina legale, 1892, vol. 18, pp. 122-127).
Il M. aveva partecipato alle attività della Società freniatrica e più in generale al movimento freniatrico italiano, ma anche in psichiatria difese sempre l’autonomia dell’organicismo cui aderiva, fondato innanzitutto sui rilievi anatomoclinici. Pur simpatizzando con Lombroso, con il quale collaborò al volume La perizia psichiatrico-legale (Torino 1905), il M. non si mostrò particolarmente sensibile alle teorie lombrosiane, mantenendosi aderente a criteri puramente anatomopatologici e neurologici che non permettevano astrazioni e generalizzazioni criminologiche. La distanza che mise tra il suo pensiero ed altre correnti che fiorivano all’interno dell’antropologia, con ripercussioni evidenti sulle predisposizioni medico-legali e psichiatriche, emerge bene nel saggio Il cervello in relazione con i fenomeni psichici (studio sulla morfologia degli emisferi cerebrali dell’uomo), Torino 1895, dedicato significativamente a Todaro.
Nel saggio, oltre a raccogliere quanto fino allora prodotto sulla correlazione tra organi e funzioni cerebrali, presentava i punti salienti di una letteratura che negli ultimi anni si era occupata dei fenomeni cerebrali di carattere psichico. Il M. si muoveva con certa disinvoltura nel campo della morfologia della corteccia cerebrale, cercando tra le solcature la stimmate somatica della sospetta degenerazione tra le razze allora dette «inferiori» oppure tra le differenze di sesso. Dalle comparazioni riportate in numerose figure e quadri sinottici, non risultavano segni netti a favore delle ipotesi biologiche sostenute da una parte del consorzio scientifico, neppure nei casi del delinquente, dell’idiota, del sordomuto o dei microcefali nei quali le abnormità del cervello avrebbero dovuto essere state dominanti. Tra i due fronti opposti, sostenendo gli uni il ruolo dell’atavismo, gli altri quello della condizione patologica nella degenerazione, il M. trovò un ragionevole compromesso affermando la necessità di entrambe le cause. In tal modo ridimensionò il campo della antropologia criminale, indebolendo le basi della classificazione dei «tipi» della scuola criminale positiva.
Maestro autorevole e sempre attivo in campo accademico, il M. diede vita a una scuola compatta e internazionalmente riconosciuta. Fra i suoi allievi si contano G. Amantea, A. Clementi e G. Perusini, nonché il suo primo assistente, G. Fumarola, che gli dedicò lo studio sulla Diagnostica delle malattie del sistema nervoso (Roma 1922), in cui veniva chiaramente esemplificato l’indirizzo della scuola romana, come quella che metteva «al primo posto l’anatomia» e poi a seguire la fisiologia.
Il M. collaborò all’opera curandone la prefazione e due capitoli: il primo sulla Anamnesi e l’ultimo Sulla diagnosi nelle malattie nervose, per cui si atteneva a un esame neurologico molto accurato, ripartito sostanzialmente nelle tre parti della motilità, dei riflessi, della sensibilità, nell’esame del linguaggio sostanziale, delle prassi e dello psichismo. Nei casi più difficili si arrivava comunque a formulare, sulla base del complesso sintomatologico, i tre capisaldi di ogni sindrome morbosa: lo stato, la base e la forma, restando in attesa di qualche segnale che conducesse alla formula diagnostica definitiva clinica e anatomo-patologica. Una delle sue opere più importanti in questo senso, oltre ai numerosi contributi sparsi su vari argomenti, è la raccolta di Lezioni di anatomia clinica dei centri nervosi (illustrate con numerose figure nel testo e una tavola separata) ad uso dei medici e degli studenti (Torino 1908), che divenne poi l’omonimo trattato con due edizioni ravvicinate (Anatomia clinica dei centri nervosi, ibid. 1908 e 1913), la seconda delle quali accresciuta di quasi un terzo rispetto alla prima.
Il M. morì a Roma il 3 dic. 1929.
Fu membro di numerosi istituti e accademie scientifiche, nazionali e internazionali. Nella cattedra romana gli successe S. De Sanctis.
Fonti e Bibl.: Necr., A. Piazza, G. M., in Rendiconti dell’Ist. marchigiano di scienze, lettere ed arti (Ancona), V-VI (1929), pp. 25-27; E. Riva, Prof. G. M., in Riv. sperimentale di freniatria, LIII (1929), pp. 546 s.; G. Fumarola, G. M., in Il Policlinico, sez. pratica, 1929, n. 51, pp. 1900-1902; E. Medea, G. M. Cenno necrologico, in Rendiconti dell’Ist. lombardo di scienze e lettere, s. 2, LXII (1929), pp. 805-807; G. Fumarola, G. M., in Annuario della R. Università degli studi di Roma 1928-1929, Roma 1929, pp. 449-452. Si vedano inoltre: C. Ferrio, La psiche e i nervi. Introduzione storica ad ogni studio di psicologia, neurologia e psichiatria, Torino 1948, p. 347; A. Alessandrini, G. M. (1859-1929), in Minerva medica, XLVIII (1957), 94, pp. 3962 s.; A. Pazzini, La storia della facoltà medica di Roma, Roma 1961, I, pp. 229 s.; II, p. 512; F.M. Ferro et al., M. e i neuropsichiatri della Scuola romana tra ’800 e inizio del ’900: analisi delle cartelle dell’ospedale S. Maria della Pietà, in Lo sviluppo storico della neurologia italiana: lo studio delle fonti, a cura di G. Zanchin - L. Premuda, Padova 1990, pp. 171-180; O. Scarpino et al., Originalità del contributo di G. M. allo sviluppo della neurologia, ibid., pp. 233-241; C. D’Angelo, La nascita e gli sviluppi del «Laboratorio di anatomia patologica ed istopatologia», in L’ospedale S. Maria della Pietà di Roma, Bari 2003, II, pp. 267-270; F. Liggio, Il laboratorio di anatomia patologica ed istopatologia dell’ospedale psichiatrico provinciale «Santa Maria della Pietà» di Roma dall’inaugurazione della nuova sede in Monte Mario (1914) alla definitiva chiusura (1995), ibid., III, pp. 189-200; G. Alemà, Profili e idee: M., Cerletti e Gozzano, in Atti del XXXVIII Congresso della Società italiana di neurologia, Firenze … 2007 (pubbl. on line: http//syllabus.neuro.it/2007); Enc. Italiana, XXIII, p. 361.
G. Rigo - G. Armocida