MINELLI (Minello, Minelli de’ Bardi), Giovanni
Figlio del maestro Antonio, nacque a Padova intorno al 1440.
È menzionato per la prima volta come lapicida, abitante in contrada S. Agata, nel documento del 27 luglio 1467 che attesta la controversia con Pietro Lombardo, accusato del mancato pagamento di mercede a lui dovuto (Rigoni, 1932-33, pp. 134 s., doc. VIII).
La testimonianza avvalora l’ipotesi della sua formazione nella bottega di Lombardo (ibid., p. 126). Nei documenti sono menzionati i figli Antonio, scultore e suo collaboratore, Girolamo, sarto, e le figlie Manadora, Polissena, Paola (Id., 1953-54, p. 259).
Nel 1471 ricevette l’incarico di costruire per Francesco Leoni la cappella di famiglia al sesto altare sinistro della chiesa di S. Bernardino, ora distrutta.
L’istrumento di allogazione (Carpi, 1930, pp. 62-67, docc. II-IV) fornisce dettagliate indicazioni sull’architettura e la decorazione scultorea della cappella, che «appariva come un pensiero embrionale della cappella del Santo, e nel suo alto coronamento, ornato con fregi, fogliami, figure, cimieri e stemmi, venne usato il medesimo tipo di decorazione» (Rigoni, 1953-54, pp. 257 s.).
L’anno successivo eseguì il primo di una lunga serie di interventi nella basilica di S. Antonio, restaurando l’altare e alcuni gradini nella cappella di S. Maria del Pilastro (Sartori, 1976, p. 149). All’epoca il M. aveva probabilmente raggiunto una posizione consolidata nell’ambiente artistico padovano, se nel 1476 era chiamato a valutare, unitamente ai lapicidi Liberale e Giuliano, le sculture di Bartolomeo Bellano per il Monumento sepolcrale a Raimondo Solimani, già nella chiesa degli Eremitani.
Il M. dichiarava di essere «praticus et expertus in arte et magisterio lapicide et […] ab annis sex citra fecit construsit et fieri fecit figuras lapideas in sua apoteca» (Rigoni, 1932-33, p. 134, doc. VII).
Risale all’8 nov. 1482 il contratto con cui il M. si impegnava a ricostruire il recinto del coro nella basilica di S. Antonio, tuttora esistente, ma alterato da successive manomissioni che ne hanno compromesso la primitiva struttura.
Ne fanno parte le lastre esterne in marmo rosso con grandi anfore e ottagoni in marmo nero, inquadrati da una cornice con teste di serafini, e quattro pilastrini angolari, decorati da bassorilievi con figure di ignudi, putti, angeli musicanti, elementi naturalistici e due personaggi in preghiera. La raffinata qualità del lessico ornamentale ha indotto parte della critica ad attribuire i rilievi a Donatello (Pizzo, 1993, p. 173, n. 16, con bibliografia) o alla sua invenzione (Ceriana, 2006-07, p. 102, n. 34), a Bertoldo di Giovanni (Calore, 1999, pp. 6-8), a Nicolò Pizolo (Rearick), uno dei collaboratori di Donatello nel cantiere dell’altare del Santo, come lo stesso M., che compare in una nota di spese «per conzar le colone de l’altaro» (Guidaldi).
Nel 1482 fu inoltre commissionata al M. una serie di santi e apostoli a figura intera, dorati nel 1487 (Pizzo, 1993, p. 274) e anticamente posti sul coronamento orizzontale del recinto marmoreo, intervallati da candelabri, come si desume da un disegno del 1590 per il rifacimento dell’altare maggiore (Calore, 1998, tav. 35): a questo nucleo dovrebbero appartenere le statue di S. Antonio da Padova e S. Chiara (Padova, Museo Antoniano).
Nel 1483 stipulò il contratto per il Monumento sepolcrale al medico Cristoforo Recanati, già nella chiesa di S. Bernardino, allegando il disegno progettuale dell’opera (Carpi, 1930, pp. 67-70), completata nel 1489, di cui si conserva al Museo civico di Padova la lastra con due putti che reggono l’iscrizione dedicatoria (Pizzo, 2000, pp. 116 s.).
Durante questo periodo il M. era ancora attivo nella basilica di S. Antonio, alternando piccoli lavori di manutenzione, pagati nel 1486 (Sartori, 1976, p. 151), a opere di maggiore rilievo, come la vera da pozzo per il chiostro del noviziato, ornata da quattro formelle con bassorilievi di gusto antiquario, raffiguranti tritoni e genietti che cavalcano mostri marini, datata: «MCCCC/ LXXXXII/ MENSIS IVNII» (Sartori, 1964, p. 183; Pizzo, 1993, pp. 175 s.).
Motivi iconografici e ornamentali di simile tipologia sono stati individuati in due fregi di camino al Museo civico di Padova e al Museo Jacquemart-André di Parigi, attribuiti alla collaborazione tra il M. e il figlio Antonio (Goi, 2000, p. 118).
Nel 1493 realizzò l’acquasantiera con la statua di S. Giovanni Battista (Padova, basilica di S. Antonio). Il fusto presenta alla base un raffinato decoro a mascheroni e festoni di perle e fiori, e nella fascia superiore quattro bassorilievi con figure di angeli, scolpite di profilo sopra un fondo lavorato a inferriata; i tondi sul catino, circondati da elementi naturalistici, raffigurano i simboli degli evangelisti e quattro profeti con cartigli (Sartori, 1964, pp. 180-184, 189 s., doc. II). La precedente attribuzione degli studi a Tullio Lombardo testimonia sia l’alto livello esecutivo sia il bacino di appartenenza del linguaggio del Minelli.
Il 21 giugno 1500 fu nominato protomaestro dei lavori di ricostruzione della cappella dell’Arca di S. Antonio (Sartori, 1983, p. 335), per la quale si era già impegnato a procurare dodici colonne di marmo a Verona (Rigoni, 1953-54, p. 257). La critica non gli riconosce unanimemente la paternità del modello architettonico, tuttavia la partitura scultorea e quella decorativa rivelano «un unico criterio ideativo ed esecutivo» (Pizzo, 1993, p. 178), specialmente nei motivi ornamentali di gusto classicheggiante, nei rilievi con putti musicanti e nella lastra con il Sacrificio di Muzio Scevola. Al M. sono inoltre riferiti i tondi con busti degli evangelisti, visibili sulla facciata, e quelli dei profeti, disposti sul frontone interno della cappella ed eseguiti con la partecipazione di collaboratori e del figlio Antonio (Pizzo, 1993). Il 17 giugno 1501 ricevette con il figlio Antonio l’incarico per il Miracolo della mula, uno dei nove rilievi con storie antoniane destinati alle pareti, ma il soggetto venne sostituito con la Vestizione di s. Antonio nel contratto firmato l’anno successivo con il figlio, che portò a compimento l’opera tra il 1517 e il 1519.
Nel 1502 il M. scolpì la lastra sepolcrale del cardinale Bartolomeo Oleario (Pizzo, 1993, p. 185) e un anno dopo, in occasione del ritrovamento delle reliquie di s. Felice, fu incaricato di eseguire la statua dell’omonimo santo e il nuovo altare della cappella già dedicata a S. Giacomo Maggiore dal 1503 intitolata a S. Felice papa (Sartori, 1965, pp. 159, 171 s., doc. VIII; Pizzo, 1995, p. 228).
Un documento del 18 giugno 1507 attesta il pagamento dell’acquasantiera «con un Cristo de tuto tondo» (Sartori, 1964, p. 187, doc. I), decorata da angeli turibolanti sul fusto, e da mezze figure di angeli nei medaglioni sul catino (Padova, basilica di S. Antonio). Il 19 aprile dello stesso anno il M. accolse Giovanni Maria Mosca come apprendista nella sua bottega, presso cui fu operante dal febbraio 1513 anche lo scultore Giovanni Rubino, detto il Dentone (Rigoni, 1932-33, pp. 127 s., 138 s., docc. XIII, XV).
Nonostante il M. fosse costretto a rinunciare una prima volta alla carica di proto il 30 giugno 1515, continuò a essere documentato nel cantiere della cappella dell’Arca fino al 28 giugno 1521, quando s’interruppero i lavori e fu definitivamente licenziato (Sartori, 1983, pp. 339 s.).
Il M. morì a Padova nel 1528.
L’eterogeneo corpus di sculture tradizionalmente confluite sotto il nome del M., facenti capo al Battesimo di Cristo (Bassano del Grappa, Museo civico) – restituito su base documentaria a Giovanni Fonduli – è oggetto di valutazioni critiche contrastanti (Gentilini, 1991; 1996; Ericani, 2006).
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