MICOCCA, Giovanni
MICOCCA (Micocchi), Giovanni. – Nacque a Roma nel 1763 da Domenico e da Gertrude Angelini e fu battezzato l’8 marzo in S. Crisogono (Michel, 1988).
Terzo di quattro figli, il M. è registrato, sino al 1769, in una casa di «strada dei Vinaroli» nella parrocchia di S. Cecilia in Trastevere insieme con i genitori, le sorelle Rosa e Maria Clementina e il fratello Daniele Maria, nato nel 1750, frate dell’Ordine di S. Giovanni di Dio e artista-artigiano nella Roma di Pio VI (ibid.).
Le prime opere del M. ricordate dalle fonti, allievo del pittore sermonetano A. Cavallucci, sono due copie, in dimensioni ridotte, da originali del suo maestro raffiguranti l’Innocenza e la Penitenza (attuale collocazione sconosciuta), che egli eseguì per il «gabinetto di pitture» dell’appartamento, nel convento di S. Bartolomeo di Rovigo, di Anton Maria Griffi, abate olivetano che Cavallucci aveva conosciuto nel 1787, in occasione del suo viaggio nell’Italia settentrionale, e per il quale aveva dipinto una piccola tela.
Sempre per Griffi il M. realizzò, prima del 1793, altre copie, come per esempio una replica, in piccolo e a mezze figure, del Matrimonio mistico di s. Caterina di Antonio Allegri detto il Correggio della Galleria nazionale di arte antica di Palazzo Barberini a Roma. Completò poi una copia della Madonna della seggiola di Raffaello di palazzo Pitti a Firenze, di proprietà di Griffi, che era stata tratta dal pittore calabrese N. Lapiccola da «una bella copia del prototipo fatta da Giulio Romano, esistente in Napoli, nella Real Galleria» (Bartoli). Per l’olivetano il M. riprodusse inoltre, con l’aggiunta di una architettura, la S. Francesca Romana con l’angelo di G. Baglione (Lendinara, santuario della Madonna del Pilastrello). Entro il 1793 licenziò la tela con S. Niccolò vescovo e un angelo della cappella del palazzo Angeli di Rovigo.
Attivo nel corso dei primi anni Novanta al fianco del suo maestro insieme con T. Sciacca (Röttgen, 1976 e 1979), nel 1794 partecipò alla realizzazione di una Via Crucis per la chiesa di S. Francesco di Paola a Roma, eseguendo le scene con Gesù condannato dal sinedrio e Gesù è rinnegato da Pietro (attuale collocazione sconosciuta). Sempre a Roma tra il 1795 e il 1796 portò a compimento gli affreschi della tribuna della chiesa di S. Martino ai Monti che il cardinale titolare Francesco Saverio de Zelada aveva commissionato a Cavallucci.
Per questa stessa chiesa eseguì, oltre ai dipinti del coro che Cavallucci aveva avviato con la sua collaborazione (De Rossi), un piccolo dipinto circolare con un Ecce Homo (Roma, Ss. Silvestro e Martino ai Monti), posto al centro del coro ligneo e, nel 1797, per il battistero, anch’esso rinnovato per volontà di Zelada, un Battesimo di Cristo (rubato nel 1999). A questa stessa epoca potrebbe risalire anche il completamento da parte del M. della tela, già commissionata dalla città di Ragusa a Cavallucci, raffigurante S. Pietro in carcere.
Dopo il 1797 e sino al 1804, anno in cui il M. entrò a far parte dei Virtuosi al Pantheon, nella letteratura locale manca ogni segnalazione di sue opere. Ricordato tra il 1808 e il 1810 come restauratore (Guattani; Sickler - Reinhart) e, dal 1811, tra i reggenti dell’Accademia dei Virtuosi, nel 1812 ricevette il prestigioso incarico di realizzare un dipinto (opera perduta), di grandi dimensioni, raffigurante il Tempio della concordia per il terzo salone dell’imperatrice allestito nel nuovo palazzo imperiale di Montecavallo (il Quirinale).
Residente, dal 1813 fino alla morte, con sua moglie Anna Lombardi e i figli Gaetano, Agnese, Balbina e Carolina, in piazza Barberini (in una casa del principe di Preneste Maffeo Colonna Barberini Sciarra, la cui famiglia aveva intrattenuto stretti legami d’amicizia con Zelada), del M., dopo la significativa impresa del Quirinale, si conosce soltanto un altro lavoro: la tela col S. Gerolamo dell’omonimo altare della cappella Sistina in S. Maria Maggiore, che reca l’iscrizione «Giovanni Micocca restauravit et pixit anno 1818».
Incluso da Keller, nel 1824, tra i pittori di storia, il M. morì a Roma il 28 marzo 1825 e fu sepolto nella chiesa di S. Bernardo alle Terme.
Si deve agli interventi di Barroero la precisazione del ruolo svolto dal M. nel cantiere pittorico della chiesa carmelitana dei Ss. Silvestro e Martino ai Monti. La decorazione di questa chiesa fu l’ultima opera di Cavallucci, che l’intraprese l’anno stesso della sua morte. Il compenso concordato con Zelada fu versato in parte a Cavallucci e in parte al M. (Röttgen, 1976 e 1979), essendo l’altro tradizionale collaboratore di Cavallucci, il siciliano Sciacca, morto in quello stesso 1795. Sulla base delle circostanziate affermazioni di De Rossi, Barroero ha potuto assegnare a Cavallucci l’invenzione e l’esecuzione dei bozzetti delle figure dei santi Carlo Borromeo, Silvestro, Martino e Francesco Saverio (Roma, Galleria nazionale d’arte antica, Palazzo Barberini, già collezione Lemme) e la figura finale del S. Carlo. Il resto dei materiali preparatori e le relative pitture – il Padre Eterno, la Vergine col Bambino, i santi Pietro, Paolo, Teresa d’Avila, Andrea Corsini, Maria Maddalena de’ Pazzi, Pier Tommasi (Ibid.) – spetterebbero, invece, per larga parte al M. che li elaborò e realizzò seguendo per alcune delle figure «disegnini in acquerello» lasciati da Cavallucci (De Rossi). Il risultato finale, secondo Barroero, sarebbe di buona qualità. Le composizioni di questa decorazione che il M. avrebbe realizzato da solo rivelerebbero infatti «lo sforzo del collaboratore […] a non tradire l’omogeneità e la coerenza dell’insieme» avviato con Cavallucci (Barroero, 1998). Che il M. godesse di buon credito anche dopo la morte del suo maestro sarebbe testimoniato, sempre secondo la studiosa, anche dagli incarichi successivi assegnatigli, ossia la perduta tela del Quirinale e quella di S. Maria Maggiore. Lo scarno catalogo del M. che è giunto sino a noi, da cui va espunta la tela con la Beata Maria dell’Incarnazione (già collezione Lemme), pare piuttosto far emergere che l’impresa del Quirinale sia stata un caso isolato nel percorso del M., le cui opere sono segnalate solo dal Diario ordinario e che è ricordato dai suoi contemporanei perlopiù come restauratore. L’opera del M., mai degna d’apprezzamento da parte degli accademici di S. Luca e composta, per la gran parte, da repliche, nelle poche prove sicuramente autonome rivela una fedeltà agli insegnamenti del suo maestro che sfiora il plagio. Tuttavia la qualità delle pitture del M. è assai meno sostenuta. Egli, infatti, nel Battesimo, già ritenuto da Röttgen opera giovanile di Cavallucci, è disegnatore meno risolto, più duro, e pittore tecnicamente meno rifinito e smaltato. Questa sua debolezza, quasi l’incapacità a lavorare in grande – migliori sono i risultati in dipinti di più ridotte dimensioni come per esempio l’Ecce Homo –, potrebbe trovare giustificazione nel ruolo che egli ricoprì, per lungo tempo, almeno dalla seconda metà degli anni Ottanta, nell’atelier del suo maestro. Secondo De Rossi, Cavallucci ebbe pochi scolari; tra questi figurava il M. che «ha appreso sotto di lui l’arte fin dai principi» e per il quale il maestro «ebbe sempre singolare affetto» (p. 40). A Sciacca e soprattutto al M., Cavallucci avrebbe affidato negli anni Novanta, quelli più ricchi di commissioni, il compito «di abbozzare di primo colore le sue tele, d’appresso i bozzetti finiti, ch’egli facea di sua mano, e poi si ritornava di nuovo a dipingerle, ed impastarle» (De Rossi, p. 47). Questo procedimento è singolarmente affine a quello delineato da Bartoli nel 1793 nel descrivere le opere di Rovigo del Micocca. Copie o dipinti d’invenzione, queste pitture furono tutte portate a compimento, rifinite, secondo Bartoli, da Cavallucci. Il M., come anche Sciacca, avrebbe poi sistematicamente realizzato, sempre secondo De Rossi, repliche dei dipinti di Cavallucci, spesso in formato ridotto. Lo stesso De Rossi possedeva una copia della Vergine del Rosario (forse da identificarsi con quella passata di recente sul mercato antiquario romano, dubitativamente assegnata al M.) e una della Vestizione di s. Bona, che era stata portata a compimento «da altra mano» (De Rossi). La pratica della copia lungamente esercitata dal M. nella bottega del suo maestro e le sue scarse doti di disegnatore potrebbero averlo condotto a darsi al restauro e alla copia di dipinti antichi, un mercato che in quel momento a Roma era assai fiorente.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. storico del Vicariato, Parrocchia di S. Crisogono, Libro dei battesimi, anni 1763-83, c. 5r; Parrocchia di S. Bernardo alle Terme, Libro dei morti, anno 1825, c. 2; F. Bartoli, Le pitture, sculture ed architetture della città di Rovigo, Venezia 1793, pp. 40-43, 175 s., 287; Chracas. Diario ordinario, n. 2084, 20 dic. 1794, p. 21; n. 2282, 12 nov. 1795, pp. 8-15; G.G. De Rossi, Vita di Antonio Cavallucci da Sermoneta pittore, Venezia 1796, pp. 31, 40, 47, 71; Chracas. Diario ordinario, n. 2388, 18 nov. 1797, pp. 7 s.; G. Guattani, Catalogo degli artisti stabiliti, o attualmente dimoranti in Roma …, in Memorie enciclopediche romane sulle belle arti, antichità, IV (1808), p. 148; F. Sickler - J.C. Reinhart, Almanach aus Rom für Künstler und Freunde der bildenden Kunst, Leipzig 1810, p. 276; E. Keller, Elenco di tutti gli pittori scultori architetti … esistenti in Roma l’anno 1824 …, Roma 1824, p. 35; L. Pungileoni, Antonio Cavallucci, in E. de Tipaldo, Biografia degli italiani illustri, I, Venezia 1834, p. 201; Statuto della insigne artistica Congregazione dei Virtuosi del Pantheon, Roma 1861, p. 55; A. Leibmann Mayer, Jusepe de Ribera (Lo Spagnoletto), Leipzig 1908, p. 44; D. Taccone-Gallucci, Monografia della patriarcale basilica di S. Maria Maggiore, Roma 1911, p. 116; D. Angeli, I Bonaparte a Roma, Milano 1937, p. 21; J.B. Hartmann, Il Trionfo di Alessandro e l’appartamento napoleonico al Quirinale, in Palatino, IX (1965), 4-7, p. 105; W. Buchowiecki, Handbuch der Kirchen Roms, I, Wien 1967, p. 268; III, ibid. 1970, p. 887; V. Golzio, Seicento e Settecento, II, Torino 1968, p. 1594; D. Ternois, Napoléone et la décoration du palais impérial de Montecavallo en 1811-1813, in Revue de l’art, 1970, n. 7, p. 78; S. Röttgen, Antonio Cavallucci, un pittore romano fra tradizione e innovazione, in Bollettino d’arte, s. 5, LXI (1976), p. 211; L. Barroero, Guide rionali di Roma. Rione I Monti, parte I, Roma 1978, p. 98; S. Röttgen, Cavallucci, Antonio, in Dizionario biografico degli Italiani, XXIII, Roma 1979, p. 3; L. Barroero, Guide rionali di Roma. Rione I Monti, parte III, Roma 1982, p. 108; O. Michel, Deux portraits de Pie VI. Vicissitudes d’une image officielle, in Carlo Marchionni. Architettura, decorazione e scenografia contemporanea, in Studi sul Settecento romano, a cura di E. Debenedetti, IV, Roma 1988, p. 141; Il palazzo del Quirinale. Il mondo artistico a Roma nel periodo napoleonico, a cura di M. Natoli - M.A. Scarpati, Roma 1989, I, p. 556; II, p. 64; S. Susinno, La pittura a Roma nella prima metà dell’Ottocento, in La pittura in Italia. L’Ottocento, Milano 1991, I, p. 410; G. Sica, ibid., II, pp. 918 s.; O. Michel, Vivre et peindre à Rome au XVIIIe siècle, Rome 1996, p. 484; Il Seicento e il Settecento romano nella collezione Lemme (catal.), a cura di P. Rosenberg - S. Loire, Roma 1998, p. 280 fig. 86; L. Barroero, ibid., pp. 107 s.; Galleria nazionale d’arte antica. Palazzo Barberini. I dipinti, catalogo sistematico, a cura di L. Mochi Onori - R. Vodret, Roma 2008, p. 485; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 534; Allgemeines Künstlerlexikon (Saur), VII, 2000, p. 558.
B. Cirulli