GRANERI, Giovanni Michele
Questo pittore attivo in Piemonte alla metà del XVIII secolo è probabilmente identificabile con Giovanni Michele Graneri, figlio di Giovanni Maria "lavoratore di stoffe" e della torinese Clara Maria Andriola, nato a Torino il 28 sett. 1708 e battezzato nella chiesa dei Ss. Simone e Giuda il 30 settembre.
Le fonti settecentesche lo dicono allievo di Pietro Domenico Olivero, il più importante e famoso pittore di scene di genere a Torino, e i quadri giovanili del G. ne risentono fortemente l'influsso sia nell'impianto generale, sia nella resa delle figure. Come Olivero anche il G. si inserisce nel filone della pittura dei bamboccianti che a Torino era stata conosciuta attraverso l'opera sia di Jan Miel a metà Seicento sia con i quadri di altri pittori fiamminghi presenti nelle collezioni sabaude.
Nel 1736, il G. ricevette un pagamento dalla corte per aver dipinto "rasi 50 bindello picolo a forma di livera per guarnire sette vestiti di picole figure per divertimento delle Reali Infanti" (Schede Vesme, p. 539). Si tratta dell'unica notizia circa un'attività del G. come pittore su stoffa.
Le prime opere datate e firmate del G. sono del 1738, quattro tele con tipiche scene di genere: una Rissa, un Ciarlatano con saltimbanchi, una Venditrice di cacio e un Venditore di salsicce e carni. I quadri, noti oggi solo attraverso fotografie in bianco e nero, appartennero alla galleria di Pietro Accorsi a Torino.
Al 1740 risale il Mercato in piazza del Municipio, tela nota anche come La punizione delle venditrici di uova marce (Torino, Museo civico d'arte antica).
È una descrizione accurata di un fatto di cronaca che testimonia in modo vivace e minuzioso la vita quotidiana a Torino a metà Settecento, con gendarmi armati, abiti ricchi o popolari, insegne, edifici, banchetti con frutta e verdura. Il pittore si preoccupa, infatti, di rendere la reale vivacità del fatto con colori accesi e particolari divertenti, senza indugiare troppo sulle fisionomie delle figure, che sono simili tra loro. A differenza di Olivero, il G. non vuole meditare sulle vicende umane che descrive, ma divertirsi e rendere con ironia la vita che gli scorre intorno, esasperandone a volte certi aspetti fino alla loro deformazione.
Nel Cavadenti, firmato e datato 1743, il G. costruisce un teatrino in cui il protagonista, vestito di rosso, mostra trionfante il dente estratto, il paziente risponde al dolore alzando il braccio, mentre l'assistente del cavadenti guarda con ammirazione e curiosità attraverso la maschera che gli copre il viso. In primo piano, a destra e a sinistra, sono gruppi di figure, che si ritrovano in altri dipinti del G., quasi presenze fisse sulla scena, e sullo sfondo altre immagini di venditori sotto un portico; la firma del pittore è posta su un quadro appeso a una parete, che illustra un uomo che armeggia con ampolle e alambicchi. La stessa figura si ritrova in altri dipinti, quasi emblema di un gioco di specchi e travestimenti. Pendant è Il cantastorie o Il cavallo delle pignatte (Torino, Museo civico d'arte antica), in cui un giovane cantastorie, accompagnandosi con uno strumento musicale, racconta la vicenda illustrata nel tabellone appeso al muro; mentre un cavallo carico di pignatte è a terra, caduto rovinosamente insieme con il suo fardello tra lo sgomento del conducente. A sinistra, in primo piano, due persone si spidocchiano, indifferenti all'accaduto, come il giovane accanto a loro, inginocchiato con i piedi sporchi rivolti verso gli spettatori, quasi una citazione colta.
Il 21 ag. 1747 il G. sposò la torinese Francesca Margherita Canicoschi nella parrocchia dei Ss. Martiri Marco e Leonardo, dalla quale ebbe tre figli e una figlia. Allo stesso anno risale una serie di opere di soggetto sardo, commissionate dal ministro Giovanni Battista Bogino per la sua villa sulla collina torinese.
Le tele del G., ora conservate al Museo civico torinese, sono particolari sia per le ampie dimensioni sia per la complessità della costruzione spaziale: hanno, infatti, un andamento verticale con una successione dei piani prospettici incalzante e di sapore quasi arcaico. Caccia al cervo in Sardegna, firmata e datata, è forse la più riuscita per vivacità nella resa dei personaggi, distribuiti nello spazio a illustrare le varie fasi della caccia; non mancano anche scene di banchetti e festeggiamenti con spiedi e falò, tavole imbandite al riparo di tende da campo costruite per l'occasione, uomini sdraiati per il troppo vino, bambini scorrazzanti qua e là, una dama con i cicisbei. Festa a un santuario sardo è un pretesto per descrivere gruppi di personaggi senza distinzione di ceto, intenti a varie occupazioni. Festa nautica nel porto di Cagliari è ambientata sul mare con imbarcazioni cariche di passeggeri; mentre sullo sfondo appare la città con le mura. Anche la Pesca del tonno fa parte della serie sarda pur essendo di dimensioni minori. Bogino commissionò al G. anche tele di argomento piemontese con mercati e fiere, mestieranti, cavadenti, osterie, risse, cantastorie. Le tele provenienti dalla villa del ministro conservate al Museo civico di Torino sono in tutto ventisei.
Un altro gruppo compatto è quello delle sei tele con la Storia del figliol prodigo, tema di grande successo in Piemonte. Il G. riprende l'opera di Cornelius de Wael, aggiungendo colore e attenzione ai particolari descritti (Cifani - Monetti, p. 340). Al 1752 risale il Mercato con commedianti, che raffigura una piazza affollata con i soliti banchetti, le venditrici, le merci in esposizione e un corteo con alcune maschere che vanno verso un palco dove già è in corso una recita; appare qui la maturità compositiva del G. sia nelle architetture laterali costruite per piani digradanti verso lo sfondo sia nella definizione dei gruppi di persone armonicamente distribuiti tra gli oggetti esposti con la cura delle nature morte fiamminghe.
In quegli stessi anni il G. dipinse un gruppo di tele con alcune piazze torinesi, ben riconoscibili: Piazza S. Carlo (Torino, Museo civico d'arte antica), Piazza del Mercato di porta Palazzo (collezione privata), Piazza delle Erbe (Sarasota, Florida, John and Mable Ringling Museum of art).
In queste tre grandi opere è perfetto l'accostamento tra le architetture e i personaggi; non mancano alcuni elementi ripresi da altri quadri come il cavallo a terra carico di pignatte, l'animale squartato appeso per la vendita, la zuffa dei giocatori di carte. Interessante è la corrispondenza tra queste architetture dipinte dal G. e alcune famose incisioni realizzate in quegli anni per la corte. Forse questi quadri facevano parte di una serie più ampia sulle piazze di Torino, un nuovo modo di esaltare il potere del re o forse solo una nuova via indicata dal G. per la pittura di genere torinese.
Del G. si conoscono anche quadri di argomento sacro: Incontro tra s. Filippo Neri e s. Felice da Cantalice su uno sfondo con i soliti commedianti e la folla al seguito (datato 1754: Asti, Museo civico), Cacciata dei mercanti dal tempio e Nozze di Cana (datati 1756: ibid.) derivati da modelli famosi, nonché un grande quadro con la Predicazione di s. Vincenzo Ferreri a Moncalieri (Cifani - Monetti, p. 342). Al G. sono attribuiti anche quadri di paesaggio; ma le tele note oggi sono rarissime (ibid., p. 343).
Il G. morì in casa Boasso a Torino il 26 febbr. 1762 e fu sepolto il giorno successivo nella chiesa di S. Eusebio.
Fonti e Bibl.: G. Delogu, Pittori minori liguri, lombardi, piemontesi del Seicento e del Settecento, Venezia 1931, pp. 242-246; A. Griseri, in Mostra del barocco piemontese. Pittura (catal.), Torino 1963, pp. 15, 104-107; L. Mallè, I dipinti del Museo d'arte antica, Torino 1963, pp. 93-101; A. Baudi di Vesme, Schede Vesme, II, Torino 1966, p. 539; A. Cifani - F. Monetti, I piaceri e le grazie, II, Torino 1993, pp. 335-343; S. Ghisotti, in Il tesoro della città (catal.), Torino 1996, p. 170.