MERLONI, Giovanni
– Nacque a Cesena il 2 giugno 1873 da Raffaele e da Cleta Alessandri.
Svolse i suoi studi a Venezia, dove frequentò la scuola superiore di commercio e, nel 1897, si laureò in lingue. Nel 1892 risultava già tra gli iscritti al nascente Partito socialista italiano (PSI) nella sua città natale, dove fu animatore del circolo elettorale. Si distinse presto per le sue doti di pubblicista, sia sul piano locale sia come collaboratore della stampa socialista nazionale, la rivista Critica sociale e il quotidiano Avanti!. La conoscenza delle lingue e l’attenzione verso le vicende e i problemi del movimento socialista internazionale gli assicurarono un ruolo peculiare nella vita del partito, in particolare nello sviluppo delle idee e delle pratiche del socialismo riformista.
I suoi esordi politici si svolsero a Cesena e in Romagna, nelle prime campagne elettorali di fine Ottocento, come pubblicista, organizzatore e oratore, in anni nei quali la contrapposizione tra repubblicani e socialisti rendeva alquanto accesa la vita politica locale. Nel settembre 1898, in seguito agli scontri seguiti a un suo comizio a Cervia, fu denunciato all’autorità giudiziaria e quindi condannato a quattro mesi di carcere, ai quali si sottrasse con un viaggio a Londra prima di beneficiare dell’amnistia.
Accomunando all’attività pubblicistica nella stampa socialista l’insegnamento, nel 1898, all’istituto tecnico di Vicenza e la consulenza linguistica, nel 1899, a Venezia presso l’Associazione internazionale di belle arti, alle soglie del nuovo secolo maturò una svolta importante. Nel 1900 fu delegato della federazione del PSI di Cesena al congresso nazionale di Roma, in cui fu introdotta nelle federazioni locali la figura innovativa dei segretari propagandisti, richiesti dal M., con un articolo apparso nell’Avanti! (Prima del congresso. I segretariati locali, 7 sett. 1900), anche sulla base della esperienza maturata a Cesena e in Romagna: «Come lo stato ha i suoi maestri, il clero i suoi sacerdoti, il partito socialista deve avere, se vuole estendere e intensificare la sua azione, i suoi segretari propagandisti».
Il partito gli offrì quindi un impiego nella redazione dell’Avanti!, diretto da L. Bissolati, e il M. si trasferì a Roma.
Al quotidiano socialista rimase circa cinque anni come caporedattore, uscendone con il cambio di guida della direzione. Nel frattempo il M. estese le sue collaborazioni ad altri quotidiani: dal Messaggero alla Gazzetta del popolo, dal Giornale di Sicilia al Tempo a Il Resto del carlino.
Sul piano politico si affermò tra i più qualificati esponenti della corrente riformista, fino a essere nominato nella direzione del partito nelle fasi in cui esso era diretto da F. Turati e dai suoi seguaci. Pur partecipando alle attività politiche dell’Unione socialista romana, continuò a mantenere rapporti con i socialisti della sua città, nel cui collegio fu presentato come candidato (senza successo) in occasione delle elezioni politiche del novembre 1904 e del marzo 1909.
I caratteri del riformismo socialista, enunciati nel «programma minimo», approvato dal PSI nel congresso nazionale del 1900 a Roma, furono peculiari e alquanto originali grazie alla conoscenza che il M. aveva del movimento socialista europeo. In virtù di questa competenza e delle relazioni che egli aveva all’estero, dal 1909 la Critica sociale gli affidò la rubrica «Nel movimento internazionale», che egli mantenne, fatta eccezione per gli anni di guerra, fino al 1919. Una costante attenzione fu rivolta alle esperienze organizzative e alle proposte di riforma che i movimenti e i partiti socialisti europei avanzavano nelle loro realtà nazionali sul piano sociale, associazionistico e sindacale, politico-istituzionale, elettorale e rappresentativo, e sui conflitti coloniali. Il M. mostrò in particolare grande attenzione verso il laburismo anglosassone, dall’agosto 1902 all’aprile 1904, nel mensile I Problemi del lavoro del quale fu cofondatore e redattore.
Una costante cura egli dedicò all’agitazione per la riforma elettorale in senso proporzionale e per il suffragio universale, un tema fortemente sollecitato dai diversi partiti socialisti europei e che in Italia vide proprio il M. tra i principali animatori. All’inizio del secolo, con l’apertura della fase giolittiana di governo, il gruppo dirigente socialista riformista del PSI si candidava a guidare il processo di partecipazione dei ceti subalterni e popolari alla vita e alla democratizzazione dello Stato liberale.
Il M. cominciò a occuparsene dal 1904, dopo la sconfitta del gruppo dirigente riformista e l’insuccesso registrato nelle elezioni politiche di quell’anno.
Egli insisteva sulla necessità di una politica educativa e di apprendistato al voto, preliminare alla costruzione del cittadino cosciente e partecipe alla vita pubblica. Attenzione ai temi istituzionali ed elettorali, ed esigenza dell’azione politica trovarono quindi nel M. una sintesi: circostanza che non si riscontrava sovente nei dirigenti socialisti.
Fallita una prima agitazione, tra 1905 e 1906, la mobilitazione dei socialisti a favore del suffragio universale divenne più ampia dopo il congresso nazionale di Firenze del 1908, quando il gruppo riformista ritornò alla guida del PSI.
Persisteva un’idea di riformismo graduale ed evoluzionista. La parola d’ordine poteva essere anche quella generale del suffragio universale, ma si guardava con più realismo a un corposo allargamento del diritto di voto. Commentando nella Critica sociale le iniziative intraprese in quegli anni dai socialisti europei sui temi dell’allargamento del suffragio e delle riforme elettorali, il M. preparò il terreno per una iniziativa di più concreto impegno politico.
Nonostante le intenzioni e i propositi, al successivo congresso nazionale di Milano (ottobre 1909), nella sua relazione sul Suffragio universale (specialmente in rapporto al problema meridionale) (Roma 1910), il M. trasse un bilancio sconfortante circa l’agitazione fino ad allora condotta, a causa dei contrasti tra i dirigenti, dello scetticismo dei parlamentari e della scarsa ricettività dimostrata dalle articolazioni territoriali del partito.
Comunque, grazie ad Anna Kuliscioff e alla sua influenza su F. Turati, nonché al coinvolgimento di G. Salvemini, il 9 febbr. 1910, su delibera del gruppo parlamentare e della direzione del PSI, fu affidato al M. il coordinamento di un comitato per l’agitazione in favore del suffragio universale.
Il M. approntò un opuscolo di propaganda, Vogliamo il suffragio universale (ibid. 1910), con cui accompagnare e indirizzare l’agitazione: acquisita la «coscienza politica» nella vita associativa, lavoratori e ceti popolari delle città e delle campagne dovevano essere messi nella condizione di esercitare la loro piena «capacità elettorale». Ma, tra perplessità e dubbi, il compito del M. si rivelò poco agevole, al punto che, di lì a poco, G. Giolitti avrebbe avuto buon gioco nel far proprio il tema del suffragio universale e della riforma elettorale, sottraendoli di fatto all’iniziativa socialista.
Il M. acquistò una grande visibilità nel partito, anche in relazione alla sua militanza massonica e all’eco pubblica che il rapporto tra socialismo e massoneria ebbe negli anni che precedettero lo scoppio della prima guerra mondiale.
Sempre in occasione del congresso di Milano, al quale partecipò in quanto delegato dell’Unione socialista romana, egli fu anche relatore sul tema Azione e legislazione anticlericale (ibid. 1910), in cui il rapporto tra socialismo e massoneria emergeva nei suoi risvolti pratici (lo Stato laico, la scuola, la legislazione civile, ecc.), nella logica elettorale dei «blocchi popolari» amministrativi e delle alleanze anticlericali da stringere con le forze democratico-radicali borghesi (ovvero anche massoniche). Il M. auspicava tali alleanze, in contrasto con la linea intransigente manifestata da E. Ciccotti, l’altro relatore sul tema. Il congresso si concluse in modo interlocutorio, nel rifiuto di alleanze che inficiassero l’identità del partito e nel rinvio di una esplicita condanna dei socialisti aderenti alla massoneria.
In quell’occasione egli, appena eletto membro del comitato centrale dell’Associazione nazionale del libero pensiero, mantenne ancora una certa discrezione sui suoi personali rapporti con la massoneria.
L’adesione del M. alla massoneria era avvenuta nel 1906 con l’iniziazione come apprendista nella loggia di rito simbolico «Roma», attiva nella capitale dal 1898. Il 13 apr. 1907 fu promosso «compagno», mentre l’anno successivo fu elevato al grado di maestro. Dopo il congresso socialista milanese, nel vivo di polemiche che dal partito si allargarono alla stampa e all’opinione pubblica, il M. ammise pubblicamente la sua appartenenza massonica, presentandola come del tutto in sintonia con la militanza socialista (Massoneria e partito socialista, in Avanti!, 27 nov. 1910).
La tesi del rispetto delle libertà individuali, propria dei socialisti riformisti, fu poi superata dalla corrente rivoluzionaria, assurta alla guida del PSI; dapprima, al congresso nazionale di Reggio Emilia (luglio 1912), in cui fu condannata l’adesione alla massoneria, e quindi al congresso di Ancona (aprile 1914), con la dichiarazione, imposta ai congressisti da B. Mussolini, di incompatibilità tra la militanza socialista e l’adesione alla massoneria. Il M. incarnava entrambe le figure ai massimi livelli, come membro del Grande Oriente in rappresentanza del rito simbolico italiano e come deputato del PSI, dopo la sua affermazione nelle elezioni politiche del novembre 1913 (nel collegio di Arezzo-Siena-Grosseto); inoltre dirigeva Il Comune moderno, organo della Lega dei Comuni socialisti.
Il M. non rinunciò all’adesione alla massoneria, sebbene fossero ormai venute meno le ragioni della doppia militanza. Infatti, una volta radicalizzatasi la situazione politica dopo l’impresa libica (alla Camera il M. intervenne due volte: cfr. I discorsi sull’impresa libica e sulla responsabilità finanziaria pronunciati… a nome del gruppo socialista nelle sedute del 6-7 marzo 1914, Roccastrada 1914) e maturata la contrapposizione tra i fautori della guerra (tra cui le forze massoniche) e l’ostilità a essa da parte dei socialisti, le posizioni ideali non coincidevano più.
Trasferitosi a Grosseto, negli anni della prima guerra mondiale svolse un’attiva azione a favore del neutralismo e della solidarietà civile, sia in ambito locale sia a Montecitorio, anche come segretario del gruppo parlamentare socialista. Nel collegio toscano fu rieletto alla Camera nelle elezioni del dicembre 1919, per la XXV legislatura, e in quelle del giugno 1921 per la XXVI; nei suoi interventi e nelle interpellanze parlamentari denunciò le violenze fasciste.
Negli anni successivi, con il fascismo al potere, la vigilanza della polizia riguardò la militanza massonica del M. più che le sue manifestazioni di antifascismo. Sciolte le logge massoniche nel 1925, i loro affiliati erano rimasti in contatto attraverso reti cittadine.
A Roma il M., dopo essersi occupato della liquidazione della società Urbs (proprietaria di palazzo Giustiniani, sede del Grande Oriente), nella primavera del 1936, in seguito al sequestro di lettere scambiate con massoni esiliati a Parigi, fu arrestato, rinviato a giudizio e condannato a cinque anni di confino, da scontare nel Comune di Cariati, nella provincia di Cosenza.
Pochi mesi dopo, colpito da emorragia cerebrale, gli fu concesso di rientrare a Roma, dove morì il 30 ott. 1936, assistito dalla moglie Filomena Granata e dal figlio Raffaele.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale Pubblica Sicurezza, Divisione affari generali e riservati, Casellario politico centrale, ad nomen; ibid., b. 78; ibid., Confino, ad nomen; Ibid., Centro per la storia della massoneria, Matricola generale della massoneria italiana (1874-1925 circa), f. Merloni Giovanni; Critica sociale, a cura di M. Spinella et al., Milano 1959, III, Indici, ad nomen; L. Cortesi, Il socialismo italiano tra riforme e rivoluzione. Dibattiti congressuali nel Psi, 1892-1921, Bari 1969, ad nomen; N. Capitini Maccabruni, M., G., in Il movimento operaio. Diz. biografico 1853-1943, a cura di F. Andreucci - T. Detti, III, Roma 1977, pp. 438-442; I. Biagianti, Massoneria e socialismo nell’età giolittiana: il caso di G. M., in La liberazione d’Italia nell’opera della massoneria. Atti del Convegno di Torino…1988, a cura di A.A. Mola, Foggia 1990, pp. 327-358; M. Ridolfi, Il Psi e la nascita del partito di massa (1892-1922), Roma-Bari 1992, pp. 53, 108, 110, 173, 184, 215; I. Biagianti, L’esperienza laburista negli scritti di G. M., in Il modello laburista nell’Italia del Novecento, a cura di G.B. Furiozzi - A. Landuyt, Milano 2001, pp. 53-69; A.A. Quaglino, Chi sono i deputati socialisti della XXV legislatura (156 biografie), Torino 1919, ad nomen; V. Bonfigli - C. Pompei, I 535 di Montecitorio, Roma 1921, ad nomen.
M. Ridolfi