MERLINI, Giovanni
MERLINI, Giovanni (Giovanni di maestro Pedrino). – Nacque a Forlì intorno al 1390 da Pedrino di Merlino, maestro di pittura e decoratore, con bottega nella contrada di S. Mercuriale. Nel 1425 il M. – che aveva intrapreso la medesima professione del padre – aveva la propria bottega nella contrada di S. Giacomo e da qualche anno doveva aver contratto un primo matrimonio poiché, proprio nel 1425, afferma nella sua Cronica di avere posto il figlio Cristoforo (in seguito anch’egli pittore) alla scuola di grammatica (I, p. 119). Dei suoi altri figli è noto solo il nome di Samaritana, nata nel 1441 dalla seconda moglie Caterina, ma dalla sua opera è noto che ebbe altri figli, morti nella pestilenza del 1456 (II, p. 308).
Dalla documentazione forlivese e dalle notizie inserite nella cronaca è possibile individuare alcuni uffici ricoperti dal M. dal 1432, quando fu designato a rappresentare la contrada di S. Mercuriale al Consiglio dei quaranta; nel 1440, nel 1441, nel 1443, nel 1444 e nel 1461 fu degli Anziani; nel 1440, nel 1442 e nel 1455 fece parte di balie istituite per raccogliere collette straordinarie, sempre come rappresentante della contrada di S. Mercuriale (Pasini, pp. 67-71). Probabilmente da questi impegni nei consigli e nell’amministrazione fiscale derivò quella costante attenzione alla storia istituzionale forlivese e alle finanze pubbliche che s’incontra nelle pagine della sua cronaca.
Per l’attività di pittore e per il ruolo di personaggio eminente del quartiere di S.Mercuriale il M. strinse rapporti con alcune istituzioni ecclesiastiche: nel 1457, per esempio, compare tra i cittadini cui fu affidata l’amministrazione dei beni della badia di S. Mercuriale nell’attesa dell’elezione del nuovo abate; nel 1459 afferma di avere dipinto «una bella ancona» per la chiesa dei frati dell’osservanza di S. Maria dei Servi (cfr. Cronica, II, p. 327); infine, il M. fece parte della Compagnia dei Battuti bigi di S. Pietro, alla quale la sua famiglia sembra essere stata particolarmente legata, poiché in una carta del codice autografo con la cronaca è tracciata da mano cinquecentesca una nota che registra la discendenza del cronista traendola da una matricola della Confraternita (Pasini, p. 59).
Della sua produzione pittorica, attestata nella documentazione notarile forlivese e nella stessa cronaca, rimane solo una lunetta – che rappresenta il Miracolo della Madonna del Fuoco (episodio avvenuto nel 1428) – realizzata tra il 1450 e il 1460 e conservata nel duomo di Forlì. Si tratta di una tempera su tavola (cm 71 x 135) dall’analisi della quale è stato possibile collocare il M. «nell’ambito stilistico del tardo gotico, al seguito di Bitino [da Faenza], rispetto al quale egli si caratterizza per una vivacità narrativa e un gusto naturalistico ancor più accentuati» (Tambini, p. 174).
Il M. morì a Forlì tra il 3 aprile e il 16 nov. 1465.
Piuttosto che per il modesto rilievo del suo impegno di pittore, il M. è noto per la composizione di una vasta opera storiografica, nota come la Cronica del suo tempo, titolo che pare sia stato «apposto precocemente dalla tradizione manoscritta» (Vasina, pp. 96 s.). Il testo della Cronica è riportato interamente dal solo autografo (Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 10490), ma l’esame della cronachistica forlivese della seconda metà del Quattrocento attesta come il lungo scritto del M., ricco di numerose notizie assai puntuali (gli editori hanno numerato 1951 capitoli per gli anni dal 1411 al 1464), fosse servito da fonte per gli autori successivi che dalle sue pagine copiarono con larghezza.
Lo studio del codice d’autore permette di individuare le principali fasi di composizione del testo (Guerrini Ferri). La parte più antica comprende la sezione dal 1411 al 1435 (cfr. Cronica, I, pp. 43-512). Si tratta di brevi note – in principio dal contenuto autonomo poi dedicate in numero variabile alla puntuale descrizione di un medesimo avvenimento – registrate a intervalli irregolari per un lungo arco cronologico, quasi certamente dopo il 1424, anno in cui il racconto da disarticolato comincia a divenire più ordinato e minuzioso. L’ampio orizzonte geografico coperto dallo scritto muovendo da Forlì si allarga verso Bologna e la Romagna, guarda con particolare attenzione alla storia del Ducato di Milano, comprende la Toscana, si estende verso Roma e giunge a toccare occasionalmente le vicende del Regno a Mezzogiorno. I temi che ricevono le maggiori attenzioni riguardano la storia politica e istituzionale, anche se l’autore non trascura avvenimenti locali di diversa natura e inserisce nel racconto rare note autobiografiche. La cronaca aveva già raggiunto dimensioni ragguardevoli quando, nel 1435, il M. intervenne sul codice e procedette inserendo in ogni carta dei brevi titoli volti a illustrare il contenuto dei capitoletti che sino al testo pertinente al 1433 si era limitato a numerare. Si trattò di un’operazione di grande rilievo, culminata nell’elaborazione di una sorta d’indice – una tavola riassuntiva interamente scritta con inchiostro rosso – che il M. realizzò in due momenti: nella prima fase copiò soltanto alcuni dei numerosi titoli delle note, stese sino al 1435; poi approntò un nuovo fascicolo dove sono registrati alcuni titoli relativi al periodo che giunge al 1459. Mentre procedeva alla stesura dei titoli e alla realizzazione della tavola riassuntiva, il M. continuava a registrare gli avvenimenti coevi secondo i parametri ormai definiti. Redasse quindi la continuazione della sezione dedicata al 1435 e portò il racconto fino al 1441. Nel frattempo, attraverso canali non ancora noti, entrò in possesso di un lungo testo cronachistico in volgare che copre gli anni 1377-92 e che, pur dedicando rilievo alle vicende forlivesi, spazia su un orizzonte geografico molto ampio. Il M. riprodusse questo materiale nelle prime carte del codice (II, Appendice, pp. 425-525) secondo quella che era ormai la sua prassi e redasse un titoletto introduttivo per ogni capitolo, senza però elaborare una tavola riassuntiva simile a quella dedicata alle proprie memorie. Nel medesimo periodo il M. inserì nell’autografo un altro fascicolo in cui sono trascritte alcune note relative agli anni 1347, 1348, 1356, 1374, 1393, 1395 (ibid., pp. 413-424): si tratta di capitoli scritti prevalentemente in latino, ma sempre introdotti da un titolo in volgare, che almeno in parte dipendono da una delle due redazioni degli Annales Caesenates.
Questo recupero di materiale cronachistico trecentesco non distolse il M. dalla registrazione delle vicende coeve; al contrario egli ampliò sempre più la mole del racconto che per il periodo posteriore al 1435 assume l’aspetto di un diario. In quest’ultima parte della cronaca trovano posto anche due brevi composizioni poetiche dovute allo stesso M.: la prima (II, p. 249) è dedicata alla canonizzazione di Bernardino da Siena; l’altra (II, p. 303) risale al 1456 e ha carattere autobiografico; in essa il M. ricorda di avere visto nel 1400 una cometa.
L’ampiezza dell’impegno storiografico del M. e la non comune capacità con cui seppe organizzare il vasto materiale raccolto invitano a esaminare le tecniche storiografiche impiegate dal cronista. L’opera si apre con un’invocazione e con la data 1411, seguite dal titolo aggiunto al primo capitolo in cui il M. dichiara il suo nome e il programma che lo ha guidato sino al 1435 e poi per il resto del lavoro: registrare, cioè, «le chose che per mi saranno note per Italia in lo mio tempo» (I, p. 43). La Cronica manca di un prologo vero e proprio, ma in compenso è ricca di note dedicate alla scrittura della storia e di riflessioni sugli avvenimenti narrati. Al primo gruppo appartengono i continui (quasi ossessivi) riferimenti al rapporto tra memoria e scrittura: non solo il cronista ha chiuso quasi ogni capitolo con espressioni legate alla necessità di conservare il ricordo dei fatti specificando che nell’esposizione dei medesimi seguirà l’ordine cronologico («farò memoria a luogo debito»), ma è stato capace di legare esplicitamente scrittura e ricordo («e io, voglando vedere se la regola falla, voglio scrivere la condicione de questo tale dì» [I, p. 186]). La necessità di ricordare ogni avvenimento di cui gli fosse giunta notizia era una priorità molto sentita dal M. («per non mancare dal mio principio voglio notare ogne cosa ocorente in la nostra terra» [I, p. 225]) che tuttavia si rese ben presto conto di come fosse materialmente impossibile registrare ogni notizia («chue volesse scriver ogne atto saria lunga la istoria» [I, p. 78]) e, di conseguenza, avvertì una certa esigenza di sintesi («saria molto lungo, ma pure dirò breve» [I, p. 74]). Legato alla completezza – e quindi condizionato dalla necessità di compendiare – appare agli occhi del M. il bisogno della chiarezza, altro traguardo da raggiungere nell’esposizione («Vogliando la ditta storia bene dire chiara […] troppo saria lunga materia» [I, p. 68]). Al M. premeva infatti offrire ai propri lettori un resoconto ordinato e si proponeva di raggiungere tale fine associando il rispetto dell’ordinamento cronologico alla chiarezza delle informazioni («voglio scrivere qui per poterne a luogo e a tenpo rendere raxone a chue volesse di tal cosa aver ciareçça» [I, p. 245]). L’ampio ambito geografico della cronaca obbligò il M. a rivolgersi alle testimonianze orali: non si limitò a registrare quanto veniva ascoltando, ma si impegnò anche a raccogliere e organizzare le informazioni («Per la qual cosa çercharò la veritade, e a l’altra carta scriverò el tutto mediante la bona informaçione per non comettere errore al mio scrivere» [II, p. 308]). Perciò il M. provvide anche a inserire nella narrazione copia di alcuni documenti riproducendone il testo nell’originale latino, ma introducendoli con un breve regesto volgare. Tuttavia, dato il carattere diaristico dell’opera, la fonte principale da cui provengono le informazioni è costituita dalla sua diretta testimonianza: come i più accorti cronisti, perciò, il M. specificò in numerose annotazioni di essere stato diretto testimone degli avvenimenti narrati («e tute queste cose te digo per veduta» [I, p. 74]; «De la scrittura sovrascritta ne so’ io vero testimonio» [II, p. 327]).
Edizione. Giovanni di m. Pedrino depintore, Cronica del suo tempo, a cura di G. Borghezio - M. Vattasso con note storiche di A. Pasini, I-II, Città del Vaticano 1929-34.
Fonti e Bibl.: A. Pasini, Giovanni di m. Pedrino dipintore (G. M.), in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, s. 4, XIX (1928-29), 1-3, pp. 49-89; A. Tambini, Pittura dall’Alto Medioevo al tardo gotico nel territorio di Faenza e Forlì, Faenza 1982, pp. 173 s.; G. Guerrini Ferri, Dall’ambiguità alla comprensione: storia e significato di un codice d’autore (BAV, Vat. lat., 10490), in Scrittura e civiltà, XIV (1990), pp. 123-149; A. Vasina, M., G. (Giovanni di maestro Pedrino dipintore), in Repertorio della cronachistica emiliano-romagnola, Roma 1991, pp. 96-99; Rep. font. hist. Medii Aevi, VII, p. 574.
M. Zabbia