MAVER, Giovanni
– Nacque a Curzola, in Dalmazia, il 18 febbr. 1891 da Giovanni e da Maria Heinrich e trascorse la sua infanzia e adolescenza a Curzola, Ragusa e Spalato.
Fece gli studi universitari a Vienna, dove si formò come linguista e filologo romanzo alla scuola di W. Meyer-Lübke, al cui metodo sarebbe rimasto fedele e sotto la cui guida conseguì il dottorato «sub auspiciis imperatoris» nel 1913. Frutto del magistero di Meyer-Lübke e insieme delle lezioni ascoltate a Firenze (P. Raina, F. Parodi) e a Parigi (J. Gilliéron, J. Bédier, A. Meillet) fu il suo primo lavoro di toponomastica romanza Einfluss der vorchristlichen Kulte auf die Toponomastik Frankreichs (in Sitzungsberichte der K. Akademie der Wissenschaften in Wien, philosophisch-historische Klasse, 1914, vol. 175, 2, p. 154).
Il M. fu lettore di lingua italiana dapprima all’Università di Francoforte sul Meno (1914-15) e successivamente al Politecnico di Vienna (1917-18). Alla fine della prima guerra mondiale, nel 1919, si trasferì in Italia e, quello stesso anno, conseguì a Padova l’abilitazione di secondo grado per l’insegnamento del tedesco.
Fu poi supplente di storia e geografia all’istituto magistrale di Treviglio (marzo-aprile 1919), addetto all’ufficio per le scuole del segretariato generale degli Affari civili presso il comando supremo dell’Esercito italiano a Padova (maggio-agosto 1919), funzionario dell’Ufficio centrale per le nuove province a Roma con comando a Padova (1919-20).
Nel 1920 iniziò la carriera universitaria ricoprendo la prima cattedra di filologia slava in Italia, istituita a Padova e a lui affidata per incarico, su sollecitazione di V. Crescini; nel 1926 l’insegnamento veniva elevato a cattedra di ruolo. In quegli stessi anni (nel 1922 e ancora nel 1926) il M. fu anche docente di lingua serbocroata all’Istituto di scienze economiche e commerciali di Trieste, diventato nel 1924 Università di studi economici e commerciali, e professore di lingua tedesca all’istituto commerciale di Padova (novembre 1924 - febbraio 1926). Nel 1929 fu chiamato dall’Università di Roma sulla nuova cattedra di letteratura polacca che tenne, insieme con l’insegnamento per incarico di filologia slava, fino al 1965.
Dal 1929 al 1948 fu redattore dell’Enciclopedia Italiana per le letterature straniere e la linguistica (voll. I-XXXV e Appendici).
Sue sono tutte le voci di slavistica sia di carattere generale (da Filologia slava, al Romanticismo nei paesi slavi, a Slavi) sia su singoli autori (circa ottanta): ognuna di queste è un magistrale lavoro di sintesi frutto del suo acume di filologo e insieme della sua sensibilità di critico letterario. Alcune fra tali voci furono successivamente ampliate e uscirono come storie letterarie per l’editore Vallardi: Letteratura serbo-croata, in Storia delle letterature moderne d’Europa e d’America, VI, Milano 1960, pp. 99-176 e Letteratura slovena, ibid., pp. 59-96.
Nel 1952 fondò la rivista Ricerche slavistiche, che acquisì subito prestigio internazionale, divenendo luogo privilegiato di intensi dibattiti.
Il M. morì a Roma il 12 luglio 1970.
Con l’affidamento al M. del primo insegnamento di filologia slava iniziò formalmente la slavistica italiana, che egli volle portare al livello scientifico delle altre discipline universitarie, in grado di figurare degnamente in campo internazionale. Il M. fu soprattutto filologo secondo una metodologia connotata da tre fasi successive nello studio del testo: lettura e analisi per stabilirne, attraverso indagini differenziate, le componenti culturali; ricomposizione del testo nella sua peculiarità strutturale artistica e storica; proiezione dell’opera in un contesto storico-culturale e artistico riguardante la comunità non solo slava, ma europea.
Dell’esistenza di una comunità slava il M. fu sempre convinto sostenitore, pur avendo chiaramente presenti le differenze in essa presenti. Esemplare a riguardo è un articolo del 1946: Gli Slavi: ciò che li unisce e ciò che li separa, in Europa. Rassegna di politica, II, 1-2, pp. 1-5.
Egli individua i fattori principali dell’unità in due elementi linguistici e storico-sociali: «affinità linguistica e ruralità». Fa presente altresì la bipartizione, sovente motivo di antagonismi, fra Slavi cattolici e Slavi ortodossi, fra «oriente bizantino» e «occidente germanico-latino» ai quali aggiunge la più recente acquisizione del concetto di «Eurasia». Di non minor rilievo è l’aver individuato nell’Ucraina una terra di incontro fra le due componenti slave: «una vera e propria terra di transizione tra lo slavismo orientale e lo slavismo occidentale» (p. 4).
Nella variegata ecletticità della produzione del M. si possono individuare, comunque, precisi ambiti disciplinari, quali la linguistica – generale, romanza, slava e slavo-romanza –, la polonistica, la serbocroatistica, la boemistica e la russistica.
Nonostante la sua formazione, la produzione linguistica del M. è piuttosto limitata. Oltre al citato lavoro di toponomastica romanza il M. dedicò la sua attenzione in particolare al serbocroato e italiano di Dalmazia e in Dalmazia: Parole croate di origine italiana o dalmatica, in Archivum Romanicum, VI (1922), 2, pp. 241-253; Parole serbocroate e slovene di origine italiana (dalmatica), in Slavia, II (1923), pp. 32-43; Intorno alla penetrazione del lessico italiano nel serbocroato della Dalmazia e dei territori vicini: criteri metodologici, in Atti dell’Ist. veneto di scienze, lettere e arti, LXXXIV (1924-25), 2, pp. 749-770; La pronuncia della ci latina nei riflessi slavi-meridionali, in Arch. glottologico italiano, XIV (1930), sez. Bartoli, pp. 1-18; Kleiner Beitrag zur Lehwortkunde Dalmatiens, in Festschrift für Max Vasmer…, a cura di M. Woltner - H. Brauer, Wiesbaden 1956, pp. 319-323. Moltissime furono le recensioni a lavori dei maggiori linguisti europei comparse dal 1914 in poi e intensificatesi dal 1952 quando vennero pubblicate in Ricerche slavistiche.
Gli studi polonistici del M. si possono suddividere in tre poderosi gruppi: i romantici polacchi, la letteratura del Rinascimento, la storia complessiva della letteratura polacca e i suoi rapporti con l’Italia.
Fra i romantici polacchi un posto privilegiato occupa J. S¢owacki costantemente presente negli studi polonistici del M. che gli dedicò, dal 1925 fino al 1961, tutta una serie di studi: Saggi critici su Juliusz S¢owacki, Padova 1925; J. S¢ovacki nell’ultimo decennio, Roma 1928 (rassegna critica delle edizioni e degli studi degli anni Venti); Da Napoli a Zante: osservazioni marginali sul «Viaggio in Oriente» di J. S¢owacki, in E. De Andreis - E. Damiani - G. Maver, J. S¢owacki, 1849-1949 ..., London 1951, pp. 319-328. Fondamentale Il messaggio poetico di J. S¢owacki (in J. S¢owacki. Nel 150° anniversario della nascita, Roma 1961, pp. 3-17), in cui il M. tratta della poetica di S¢owacki, individuando il momento epico come quello più alto della sua produzione; ma soprattutto mette in rilievo come, con l’eccezione di quelle giovanili, quasi tutte le sue opere siano pervase da un senso religioso della vita e del mondo fortemente influenzato dalla dottrina di A. Towiański, per la quale tutto proviene e tutto ritorna al motore primo che è lo Spirito: e quindi religioso più che politico è l’atteggiamento di S¢owacki di fronte alla tragedia patria; religiosa è la concezione e la trasfigurazione poetica della natura; anche la soluzione del problema polacco dopo il 1830 viene vista in una sfera di redenzione improntata alla religiosità (la redenzione attraverso il sacrificio); la smaterializzazione e la spiritualizzazione del mondo concreto nel linguaggio e grazie al linguaggio del poeta.
Adam Mickiewicz viene studiato soprattutto nei suoi rapporti con l’Italia come in Mickiewicz and Italy, in A. Mickiewicz in world literature, a cura di W. Lednicki, Berkeley, CA, 1956, pp. 197-220. E ancora, particolarmente significativo, Mazzini e Mickiewicz (in Ricerche slavistiche, IV [1956], pp. 7-30), nel quale il M. ripercorre le tappe del loro rapporto dall’iniziale entusiasmo al susseguente disaccordo: G. Mazzini considerò a lungo Mickiewicz «il primo poeta dell’epoca» e la sua opera I libri del popolo polacco e del pellegrino polacco (1833) come la realizzazione delle istanze poetiche che dovevano caratterizzare la nuova letteratura. Nei suoi articoli londinesi, Mazzini mette in rilievo i valori fondamentali dell’opera del vate polacco: il suo carattere nazionale e popolare, il superamento delle precedenti correnti letterarie, con il personale abbandono delle iniziali posizioni romantiche, l’intima partecipazione alla vita del popolo. Ma sempre a Londra – osserva il M. – ebbe inizio il dissenso, dapprima sul piano religioso, e poi su quello politico quando Mazzini, forse per influsso dei repubblicani polacchi allora in Inghilterra, si convinse che Mickiewicz era un «cattolico pontificio arrabbiato», un monarchico e un sostenitore dell’ideologia napoleonica, anche se la considerazione per lui non venne meno del tutto, sia pure fra luci e ombre.
A E. Sienkiewicz il M. dedicò due studi: La «Trilogia» di E. Sienkiewicz (in Riv. di letterature slave, II [1927], pp. 65-78, ripubblicato in Nel centenario di E. Sienkiewicz (1846-1946), Roma 1946, pp. 101-117) – nel quale pone in evidenza la trascinante fantasia del romanziere e la sua capacità di trasmetterla al lettore –; e uno studio introduttivo a una traduzione del Quo vadis? (Torino 1964: Quo vadis?, Per deserti e foreste, pp. I-XXXII), un lucido e lapidario schizzo in punta di penna dell’intera opera di Sienkiewicz.
Fra gli autori del Rinascimento polacco il M. studiò in particolare J. Kochanowski e S. Szarzyński. Tra i lavori dedicati al primo, di particolare risonanza internazionale Oryginalność Kochanowskiego (L’originalità di Kochanowski) (in Pami¢tnik Zjazdu naukowego im. Jana Kochanowskiego, Kraków 1931, pp. 194-202), nel quale mette in rilievo gli elementi di originalità di Kochanowski quali la personale rielaborazione del petrarchismo rispetto al petrarchismo di maniera della letteratura polacca del Cinquecento, la ricezione di Orazio in chiave classico-sarmatica e la scelta individuale del volgare, che lo rendono non riconducibile a scontate etichette. Del secondo il M., in Considerazioni sulla poesia di S. Szarzyński (in Ricerche slavistiche, III [1954], pp. 162-183), offre una rilettura, impostata sul confronto con Kochanowski e basata sulla scoperta che entrambi, nei loro Salmi, hanno attinto indipendentemente alla parafrasi latina dei Salmi dello scozzese G.W. Buchanan; in questo confronto a tre il M. si impadronisce della chiave esegetica e lirica del Salterio di Szarzyński, la verifica su tutta la sua produzione e ne propone una nuova collocazione nel contesto letterario polacco di là dagli stereotipi con i quali veniva classificato dalla critica.
Fra le opere di sintesi rimangono imprescindibili Alle fonti del romanticismo polacco, Roma 1929; Carattere patriottico e tendenze universali della letteratura polacca, ibid. 1930; Letteratura polacca, in Storia delle letterature moderne d’Europa e d’America (Vallardi), V, Milano 1958, pp. 271-418. Nel primo il M. sottolinea come il romanticismo polacco – la cui espressione più autentica si colloca negli anni fra il 1831 e il 1850 – sia strettamente connesso con la perdita della patria: questa, distrutta nella sua integrità geopolitica, trova espressione ideale nella letteratura che si colora così di connotazioni mistiche e messianiche. Nel secondo mette in rilievo la stretta connessione dei valori di «patriottismo» e «universalità» con l’ideologia del romanticismo dove patria e universo s’integrano a vicenda fondendosi in una unità variabile ma intrinseca a tutti gli scrittori. Il terzo rimane un modello di sintesi, retto da profonda conoscenza dei testi, affrontati con sottile e indipendente spirito critico.
Seppure esigui nel numero i lavori del M. nel campo della serbocroatistica rimangono un punto di riferimento imprescindibile per analisi critica specifica e collocazione nel contesto europeo.
La letteratura croata in rapporto alla letteratura italiana (in Italia e Croazia, Roma 1942, pp. 455-522) è un lavoro di ampio respiro, che va dalla più antica letteratura glagolitica croata fino al Novecento, nel quale il M. analizza con taglio filologico i percorsi e le modalità degli influssi italiani – dalla formazione della lingua letteraria, alla poesia, alla prosa, al teatro – che riconduce a due valutazioni di fondo circa il decisivo apporto della cultura italiana alla creazione, sin dagli inizi, di un linguaggio poetico elaborato in maniera organica e suscettibile di ampie possibilità di sviluppo; e circa l’influenza dell’Italia nell’eliminazione dei regionalismi letterari. In Leopardi presso i Croati e i Serbi, (ibid. 1929) il M., attraverso una attenta disamina delle traduzioni comparse in riviste e giornali, a cominciare da quelle di Orsatto Pozza del 1849, mette in luce i tre aspetti dell’arte leopardiana che hanno incontrato particolare fortuna presso i Serbi e i Croati: il pathos patriottico, la contemplazione elegiaca della natura e il pessimismo esistenziale. Il suo acume di filologo e linguista gli permette inoltre di servirsi di queste traduzioni per un’indagine volta a seguire l’evolversi e il raffinarsi della lingua letteraria, in particolare quella poetica, serba e croata. In seguito il M. teorizzò il valore delle traduzioni come strumento di ricerca in Lo studio delle traduzioni come mezzo d’indagine linguistica e letteraria, II, Praha 1932, pp. 177-184.
Nell’ambito degli studi relativi alla letteratura boema è illuminante Un poeta romantico cecoslovacco: Karel Hynek Mácha (Roma 1925). Sullo sfondo del romanticismo ceco il M. ripercorre il percorso artistico di Mácha, espresso al meglio nella poesia lirica breve, visto nelle sue diseguaglianze e contraddizioni.
Dello scrittore il M. mette in luce le caratteristiche del pessimismo che ne permea la creazione artistica: il doloroso sentimento della fugacità del tempo, il rimpianto del passato e l’impossibilità di conoscere e comprendere la vita se non in momentanee e dissolventi rivelazioni. Sottolinea inoltre come quello di Mácha sia un pessimismo molto personale, forse perciò più intenso, ma meno rapportabile a istanze universali. Sofferma, in particolare, la sua attenzione sul capolavoro Maj (Maggio) nel quale si raccolgono e sublimano i motivi principali dell’arte dello scrittore ceco.
Anche nel campo della letteratura russa, che pure rimaneva a margine dei suoi ambiti di ricerca, il M. produsse diverse recensioni e incisivi saggi critici.
Fra gli altri si ricordano: «Meditazione» di Lermontov (ibid. 1929), un’analisi non solo dei versi di Duma (1838) ma, partendo da questa, di tutta l’opera poetica dello scrittore e delle relative posizioni della critica russa contemporanea. Di grande finezza e profondità il suo contributo su A.S. Puškin in occasione del centenario del poeta, Elogio dell’arte di Puškin (in A. Puškin nel primo centenario della morte, a cura di E. Lo Gatto, Roma 1937, pp. 43-51), nel quale eleva l’arte del poeta russo a luogo di ricomposizione serena e di sublimazione di tutte le sue violente passioni.
L’ecletticità del M. si manifestò, infine, anche nelle innumerevoli recensioni, che rappresentavano la forma a lui più congeniale di partecipazione al dibattito scientifico internazionale.
Fonti e Bibl.: R. Picchio, Quaranta anni di slavistica italiana nell’opera di E. Lo Gatto e di G. M., in Studi in onore di E. Lo Gatto e di G. M., Firenze 1962, pp. XXIII-XXXI, 1-21; S. Graciotti, G. M. studioso e amico della Polonia, Wroc¢aw 1973; E. Lo Gatto, G. M., Roma 1974; D.S. Lichačëv, De philologia, in Ricerche slavistiche, XVII-XIX (1969-70), pp. 333-337; S. Graciotti, Ricordo di G. M., ibid., XXXVIII (1991), pp. 5-11; La slavistica in Italia. Cinquant’anni di studi (1940-1990), Roma 1994, ad ind.; J. Ślaski, G. M. e gli inizi della slavistica universitaria italiana a Padova, in Studi slavistici in onore di N. Radovich, a cura di R. Benacchio - L. Magarotto, Venezia 1996, pp. 307-329.