MAURUZZI, Giovanni
MAURUZZI (Mauruzi), Giovanni. – Secondogenito del condottiero Niccolò, nacque presumibilmente a Tolentino nei primi anni del XV secolo e si formò al mestiere delle armi. Nel giugno 1424 partecipò alla battaglia dell’Aquila contro Andrea Fortebracci (Braccio da Montone) nella compagnia di Francesco Sforza e non del padre, che pure era sul campo. Per questo motivo Benadduci (1887) ha ipotizzato che sin da giovanissimo fosse stato inviato al seguito di Francesco Sforza. Dopo le prime esperienze, si unì al padre che militava per Firenze contro le forze viscontee in Romagna. Nel 1426 fu inviato dai Fiorentini a sostegno dei Veneziani che assediavano Brescia; nel 1427 partecipò alle battaglie di Ottolengo e Maclodio. Nel 1428 il padre, che doveva ottenere un salvacondotto per attraversare la Romagna, lo lasciò in ostaggio ai Bolognesi.
Era a Medicina quando in agosto gli alloggiamenti paterni furono sbaragliati dalle truppe di Luigi da Sanseverino; il M. fu fatto prigioniero e condotto in carcere nel palazzo del governo. Solo quando Bologna e papa Martino V giunsero a patti, circa un anno dopo, il M. fu liberato e, nel 1430, fu legittimato dal papa insieme con i fratelli, Cristoforo e Baldovino.
Nell’autunno 1433, di nuovo con Francesco Sforza, si recò nella Marca d’Ancona contro il legato pontificio Giovanni Vitelleschi, vescovo di Recanati. Nel 1434 era a Castelbolognese quando il padre Niccolò fu sconfitto e fatto prigioniero; il M. riparò a Modigliana. Il 14 apr. 1435 partecipò ai solenni funerali che Firenze organizzò per il padre e nel luglio fu condotto dalla Repubblica insieme con i suoi due fratelli con il compito di recarsi a Galeata, presso Arezzo, per sbarrare le vie d’accesso in Toscana a Niccolò della Stella (Fortebracci). Mentre Cristoforo si unì allo Sforza, il M. con Baldovino rimase a guardia dell’Appennino con 400 cavalli e 400 soldati. Nel 1437 era in Toscana con Leone Sforza e i fratelli all’assedio di Ghivizzano, che fu espugnata in agosto.
L’anno successivo firmò una condotta con Venezia di un anno e sei mesi di rispetto per 600 cavalieri e 200 fanti. A causa della prigionia di Cristoforo presso Anfrosina degli Ubertini dovette rimandare la partenza ad aprile, quando due galee salparono dal porto di Rimini con le soldatesche del M. e del fratello; le vie di terra, infatti, erano impraticabili per la presenza di Niccolò Piccinino e del suo esercito. Il M. fu subito inviato nel Veronese dal Gattamelata (Erasmo da Narni), alla testa dell’esercito veneziano.
Nel marzo 1439 i Veneziani lo mandarono in Romagna a capo di una spedizione in soccorso di Sigismondo Pandolfo Malatesta. Due mesi dopo, di nuovo da Rimini, si imbarcò per Chioggia, da dove si recò al presidio di Vicenza e poi in aiuto di Francesco Sforza con 500 cavalli (Cristoforo ne aveva 800 e Baldovino 300).
Nel 1442 andò nella Marca d’Ancona a sostegno di Francesco Sforza, accompagnò le truppe da Cesena a Macerata e qui restò a presidio della città. Nel 1443 era nella guarnigione sforzesca con Antonio Trivulzio a difesa di Osimo con 1200 cavalli per resistere all’avanzata delle truppe che erano state inviate da Alfonso V d’Aragona a sostegno del papa.
Il M., accampato presso i ruderi dell’Elvia Recina, nella piana del fiume Potenza, si diresse a Osimo, che raggiunse il 2 novembre. Progettò di saccheggiarla prima che arrivasse l’esercito nemico, ma gli Osimani, scoperti i piani segreti, lo misero in fuga; a capo di 1500 cavalli riparò a Castelfidardo, ribellatasi al papa. Qui nel giugno 1444 respinse con Ciarpellone (Sarpellione) l’attacco del Piccinino, rifugiatosi a Loreto, ma poi a luglio fu costretto ad arrendersi ai Pontifici e a Francesco Piccinino, che aveva sostituito il padre, e a ritirarsi a Macerata.
Nell’agosto 1443, secondo la Cronaca fermana – ma la data è incerta –, sposò a Fermo Isotta, figlia naturale di Francesco Sforza, la quale in prime nozze era stata moglie di Andrea Matteo Acquaviva, duca d’Atri. Il corteo nuziale era composto da 12 cavalieri.
Da quel momento il M. non si sarebbe più separato, se non per brevissimi periodi, da Francesco Sforza. Nel dicembre 1445 partecipò alla presa di Iesi, ultimo baluardo sforzesco nella Marca d’Ancona che nel 1447, ormai sconfitto, lo Sforza cedette al papa. Il 6 apr. 1447 il M. lasciò 150 cavalli nella Marca con lo Sforza e si diresse in Toscana, dopo che la Repubblica di Firenze lo aveva assoldato. Nel settembre 1448, di nuovo al seguito dello Sforza che era a capo delle truppe della Repubblica Ambrosiana, partecipò alla battaglia di Caravaggio contro Venezia. Seguendo le sorti dello Sforza, con un repentino cambio di fronte passò ai Veneziani e nel 1449 occupò Fiorenzuola e altri castelli nel Piacentino.
Agli inizi del 1450 partecipò all’assedio di Milano e aiutò il suocero ritirando al banco Medici a Firenze tutta la sua eredità, messa a disposizione per le esigenze della guerra. Lo Sforza, riconoscente, dopo aver concluso la presa di Milano lo nominò conte il 20 marzo. Il M. entrò così stabilmente a far parte degli organismi politici del Ducato sforzesco divenendo uno degli uomini più fidati del duca Francesco: dal 9 luglio 1450 fu tra i 12 senatori che entrarono nel prestigioso Consiglio segreto dello Sforza, di cui divenne effettivo nel 1464; il 14 ag. 1450 fu nominato commissario e luogotenente di Bianca Maria Sforza, fino al 1452.
Il 1° apr. 1452 lo Sforza (revocando la precedente donazione a Matteo Mercagatti Bolognini) gli donò il castello di Bereguardo nel Pavese, edificato da Luchino Visconti, con molti privilegi ed esenzioni. Ricoprì incarichi onorifici e ufficiali, presenziò nel 1456 alle nozze di Ippolita Sforza con il futuro re di Napoli Alfonso II; nell’aprile 1457 accompagnò a Milano Federico da Montefeltro, duca d’Urbino. Nel 1458 ricevette la cittadinanza di Milano per sé e i suoi discendenti. Gli furono venduti per 20.000 lire imperiali i feudi di Solero e Quargnento presso Alessandria, di cui fu infeudato nel 1467 da Galeazzo Maria Sforza e confermato nel 1470. In città possedeva alcuni palazzi.
Continuò la sua attività militare e con il favore del duca mise in piedi, con i suoi 450 cavalli, una delle condotte più grandi del Ducato sforzesco. Nel biennio 1453-54 durante la guerra contro Venezia fu a guardia di Cremona, dove si stabilì per tutto il 1454 con 300 cavalli.
All’inizio del 1458 fu inviato con la sua compagnia a Bologna per tutelare il regime dei Bentivoglio contro gli assalti dei fuorusciti e per fare da puntello al regime di Sante Bentivoglio in tensione con papa Callisto III. Le truppe sforzesche inviate a Bologna potevano facilmente spostarsi anche in Italia centrale: in estate, infatti, il M. organizzò una spedizione a sostegno di Cosimo de’ Medici.
A partire dal novembre 1459 con una condotta di 400 cavalli fece parte del contingente sforzesco inviato a sostegno degli Aragonesi nella guerra dinastica che opponeva Ferdinando I d’Aragona re di Napoli a Giovanni d’Angiò. Il 27 marzo 1460 si unì ad altre truppe sforzesche a Sassoferrato con l’obiettivo di impedire il passaggio di Jacopo Piccinino e presidiare la via toscana di accesso al Regno. Dopo il fallimento della missione, in estate il M. si spostò più a sud e prese parte alla rotta di San Flaviano (odierna Giulianova), il 20 luglio 1460, dove subì numerosi danni. Al principio del 1462 Alessandro Sforza gli comandò di spostarsi da Bovino, dove alloggiava, per andare al soccorso della duchessa di Sant’Angelo a Cerignola, dove era ancora nel maggio, quando tra Lucera e Manfredonia assaltò alcuni carri che trasportavano beni di Ercole d’Este. Nel luglio doveva essere appena tornato a Milano perché Alessandro Sforza, nel computo delle squadre sforzesche che militavano nel Regno, sottolinea che mancavano le due squadre del Mauruzzi.
Nel 1467 il suo nome è nella lista dei pagamenti destinati alla gente d’arme ducale da inviare in Toscana nella guerra che opponeva Milano, Napoli e Firenze a Bartolomeo Colleoni. Nel 1468 fu inviato a Lodi, nel Cremonese e nella Ghiara d’Adda a difesa dei confini minacciati dai Veneziani.
Il M. morì a Milano il 17 marzo 1470; fu sepolto nella chiesa dell’Incoronata nella cappella di S. Agostino.
Il figlio Niccolò, nato nel 1440, intraprese anch’egli la carriera militare. Al seguito di Galeazzo Maria Sforza si recò a Bologna e a Firenze nel 1459. Più tardi sostituì il padre nella guerra nel Regno di Napoli, ereditandone la condotta di 400 cavalli. Partito da Milano verso la fine di giugno 1462, era atteso a Fondi al principio di luglio per unirsi agli uomini di Roberto da Sanseverino; era previsto il suo arrivo a fine luglio a Flumeri dove si riunirono le truppe sforzesche, regie e pontificie per sferrare l’attacco alla Capitanata. Ma Niccolò si ricongiunse al resto dell’esercito più tardi e partecipò all’assedio di Accadia e alla battaglia campale del 18 agosto a Troia, dove gli Angioini furono sconfitti. La sua compagnia si ritirò negli accampamenti invernali tra Larino, Venafro, Rotello, San Giuliano e Magliano fino all’aprile 1463, quando, in seguito alla ribellione della terra di Sansevero che aveva alzato le bandiere angioine, fu costretto a riparare a Lesina insieme con Alberto Visconti e Bosio Sforza che, per mancanza di uomini e grani, come scriveva a Francesco Sforza, non riusciva a organizzare la riconquista di Sansevero. Partecipò alla presa della torre di Cola Rosa, il traditore che aveva fatto sollevare Sansevero, e a numerose scorrerie contro la città ribelle. Nell’agosto 1463 si unì a Matteo da Capua in Abruzzo, dove rimase fino al marzo 1466 quando il duca richiamò tutte le truppe sforzesche che erano ancora nel Regno. Alcune furono impiegate a tutela della signoria bentivolesca di Bologna, nel momento particolarmente delicato della guerra di successione di Rimini: così nell’agosto 1469 Niccolò si recò nel Bolognese con Raimondo Attendolo e Giovan Francesco Poeta e si stanziò a Imola con la sua compagnia. Alla fine dell’anno le truppe furono mobilitate in occasione della morte di Piero de’ Medici.
L’anno successivo rimise in ordine la compagnia per ritornare nel Bolognese, stavolta al seguito del duca Galeazzo Maria, ma la «cavalcata» fu annullata. Al principio del 1474 il duca affidò la condotta di Niccolò, forse per alcuni screzi con lui, a Filippo Maria Sforza. Niccolò ne tornò in possesso quando nel maggio 1474 si preparò per la spedizione contro i Turchi, che per il sopraggiunto accordo fu annullata.
Alla morte del M., nel 1470, ricevette l’investitura feudale di Solero e Quargnento, e gli fu riconosciuto il possesso del castello di Bereguardo; nel 1477 entrò a far parte, come già in passato il padre, del Consiglio segreto del duca. Aveva sposato Lucia Castiglioni, figlia di Guarnerio, con la quale ebbe i figli Belisario, Lodovico, Zenobia, Ottaviano, Antonia e Giovanni.
Niccolò morì nel 1485.
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