MATTIOTTI, Giovanni
– Nacque probabilmente a Roma, intorno al 1396. Sul M., che fu sacerdote nonché confessore e primo biografo di Francesca Bussa (s. Francesca Romana), si hanno poche e scarne notizie, desumibili, oltre che dai suoi scritti, dagli atti dei processi di canonizzazione di Francesca, che si svolsero in un breve volgere di anni, nel 1440, 1443, 1451. Nulla si sa del casato del M. né della sua formazione culturale e spirituale, e in generale di tutto il periodo precedente la sua mistica conversatio con Francesca, che fu il fatto fondamentale della sua vita; l’anno di nascita è ricavato in modo deduttivo perché, nel corso della causa informativa del 1440, il M. è citato, in qualità di testimone, come «civis romanus, de regione Transtiberim, annorum XLIV» (I processi…, p. 10).
Francesca condusse per anni vita da penitente, interamente dedita alle cure della casa e alle opere di carità. Nel 1425 Francesca che, di comune accordo con il marito, aveva già scelto di vivere nel matrimonio una vita casta, con altre sociae spirituali si era fatta oblata della Vergine nella basilica di S. Maria Nova al Foro Romano, officiata dai monaci olivetani.
Nel 1429 o nel 1430 il M., all’epoca rettore della cappella dell’Angelo nella basilica di S. Maria in Trastevere, diventò, dopo la morte del monaco olivetano Antonio, il nuovo confessore di Francesca, della quale fu da allora guida spirituale.
Francesca era un’assidua frequentatrice di S. Maria: la basilica, che segnava il limite settentrionale dell’abitato trasteverino, era relativamente distante dalla sua casa in Ponterotto, ma Francesca la preferiva alla parrocchia di S. Cecilia. Erano sorte infatti gravi incomprensioni con i preti di questa chiesa, secondo i quali era sconveniente che una donna sposata e di condizione agiata si accostasse troppo spesso ai sacramenti. Nel M. Francesca trovò invece un interlocutore capace di singolari aperture: le concesse infatti il privilegio della comunione frequente, che era per i tempi una pratica del tutto inconsueta per donne della sua condizione.
Per cultura e per orientamenti ascetici e spirituali il M. era un tipico rappresentante del clero minore, di simpatie riformatrici e vicino al mondo della religiosità popolare; sensibile alle istanze conciliariste, dovette assistere, a causa dell’intransigenza di Eugenio IV, al progressivo fallimento delle sue speranze. Era un uomo fragile e tormentato, pervaso da un angoscioso senso del demoniaco e dominato dalla consapevolezza della presenza assolutamente concreta e reale del male nel mondo. Oppresso dal carico dei suoi dubbi, era dominato da Francesca, e tuttavia lei gli si consegnò completamente sotto il vincolo della più stretta obbedienza. In questo modo il M. svolse nella vita della futura santa un importante ruolo moderatore, proibendole il cilicio e le più crude macerazioni corporali e attenuando i suoi terribili digiuni.
Il M. fu il testimone privilegiato dell’esperienza spirituale di Francesca: seguì direttamente, quasi quotidianamente, la sua progressione mistica sforzandosi di comprenderla e decifrarla, e soprattutto di conservarne la memoria, traducendola in un linguaggio accessibile; il M. annotò così, con meticolosità notarile, la complessa fenomenologia estatica di Francesca e verbalizzò in un libro che teneva con sé il contenuto delle rivelazioni.
Francesca era soggetta ai rapimenti mistici, con diversi gradi di profondità e di intensità, durante la messa, dopo aver ricevuto la comunione. Nel suo Libro il M. rivela che dinanzi a questi fenomeni in un primo momento si era spaventato. Il problema dell’autenticità delle visioni lo ossessionava: conosceva bene i pericoli insiti nelle «passionibus interioribus et exterioribus», nelle «imaginationibus, tam etiam de variis fantasiis et variis suspicionibus» (visio XXXI, in S. Francesca Romana. Edizione critica, pp. 526 s.) e viveva nel terrore di cadere in una «maligna illusio» (visio XXV, ibid., p. 503). In seguito cercò di capire, e infine risolse, lo spinoso problema con due riflessioni: la garanzia della genuina ispirazione spirituale delle visioni era la vita stessa di Francesca, di cui egli conosceva la santità, e la sua buona fede era provata dalla sua perfetta obbedienza al magistero della Chiesa. A tutti i possibili detrattori di Francesca, agli stessi dubbi del «prete Ianni» (così chiama se stesso nella sua opera), oppugnava come prova essenziale delle radici soprannaturali dell’esperienza mistica e taumaturgica di Francesca la «soa tanto mirabile vita», le «soe grande penitentie», la «soa profonda humilità» (ibid., p. 503).
Nell’aprile del 1432 il M. ricevette da Francesca l’incarico di trasmettere a Eugenio IV un messaggio ex parte Dei. Solo qualche mese prima, nel dicembre del 1431, il papa aveva ufficialmente decretato lo scioglimento del concilio di Basilea provocando la dura reazione dei padri conciliari. In quell’occasione Francesca lo supplicò di mitigare la sua intransigenza e di cercare la via del dialogo con i vescovi ribelli.
Non si conoscono i modi né i tempi dell’incontro, ma non vi sono ragioni per dubitare che sia effettivamente avvenuto. Le condizioni del colloquio erano del resto facilitate dall’immediata contiguità della residenza pontificia, fissata dal papa presso la basilica di S. Maria in Trastevere. Ma il messaggio portato dal M. non trovò in Eugenio IV un interlocutore disponibile e attento: anzi la reazione del pontefice fu così dura che Francesca ammonì il M. di lasciare il papa al suo destino.
Nel 1433 le oblate acquistarono una casa nel rione Campitelli, fra il teatro Marcello e il Campidoglio, per condurvi vita in comune. Francesca le avrebbe raggiunte solo tre anni più tardi, dopo la morte del marito, ma dettò per loro al M. la regola, essenziale riferimento normativo della comunità di Tor de’ Specchi. Il M. diventò cappellano e confessore delle oblate e in qualità di procuratore seguì presso la Curia gli sviluppi della nuova fondazione, adoperandosi per ottenerne il riconoscimento. Per questo, nel 1436 o nel 1437, si fermò per un certo periodo presso Eugenio IV a Bologna, dove cadde gravemente ammalato (I processi…, p. 80).
La sera del 9 marzo 1440, nella grande casa dei Ponziani in Trastevere, Francesca morì. Nei mesi successivi il M., quale principale garante e custode della sua memoria, fu in prima linea nel promuoverne il culto. La sua azione si svolse su due piani: quello istituzionale della preparazione delle testimonianze da sottoporre nel corso della causa informativa e quello della formulazione agiografica, corollario indispensabile alla diffusione del culto. In tale contesto il M. fu parte attiva quale testimone al processo di canonizzazione, avviato subito dopo la morte di Francesca. Presente anche al secondo processo, che ebbe luogo nel 1443, il M. non compare più nella lista dei testimoni del 1451. Poiché non avrebbe sicuramente rinunciato a presentarsi una terza volta, in quella data doveva essere già morto, forse vittima dell’epidemia di peste che nel 1449 colpì Roma.
Gli ultimi anni della sua vita furono assorbiti dalla redazione dei trattati su Francesca, di cui tra 1440 e 1443 completò la versione in volgare romanesco. Successivamente affidò ad altri la traduzione latina, che approvò poi ufficialmente. Questa stesura fu ultimata prima del 1447, perché nella dedica autografa del codice originale, conservato nell’archivio del monastero di Tor de’ Specchi (cfr. S. Francesca Romana. Edizione critica, p. 21), il M. allude a Eugenio IV come pontefice regnante, e il papa morì appunto il 23 febbraio di quell’anno.
Il corpus mattiottiano è strutturato in cinque trattati, riguardanti la vita di Francesca, le visioni, i conflitti con il demonio, le visioni dell’inferno, del purgatorio, nonché un breve epilogo dedicato alla sua morte. È l’opera curiosa e difficile di uno scrittore modesto, di cultura teologica non elevata e sostanzialmente privo di ambizioni letterarie. Ma questo strano documento, in cui si combinano elementi arcaici e moderni, esperienze ecclesiastiche e popolari, è una testimonianza di eccezionale interesse per illuminare un particolare momento della devozione, della cultura e della mentalità nell’estremo limitare del Medioevo romano. Nel suo libro l’autore offre una sorta di spicilegium dei generi agiografici medievali, che spazia dalla biografia per exempla all’autobiografia mistica, al bellum spirituale di antica ascendenza monastica, alla tradizione classica delle visioni dell’oltretomba.
Come sottolineato da studi recenti, il doppio registro linguistico dei trattati corrisponde a utilizzazioni diverse dell’opera. Il testo in volgare, uno dei grandi monumenti, insieme con la Cronica dell’Anonimo romano, della scripta romanesca medievale, era destinato a un uso interno, rivolto in primo luogo alla lettura e alla meditazione delle oblate. La recensio latina aveva invece un carattere ufficiale: era la condizione necessaria per poter sottoporre i trattati ai revisori del processo e ottenere l’approvazione ecclesiastica. L’esame della tradizione testuale ha dimostrato che è forse questa la ragione per cui l’autore stesso, che non voleva compromettere l’esito del processo e nuocere all’immagine di Francesca, si risolse in questa sede a una drastica revisione della sua opera, lasciando fuori una pluralità di spunti e di motivi che sono tra i più originali e stimolanti del suo libro, ma anche i più delicati sul piano teologico e della disciplina. Il M. censurò infatti gli appelli profetici a Eugenio IV, le difficoltà incontrate dalle oblate per far accettare un progetto di vita nuovo e per molti aspetti originale come Tor de’ Specchi, i molti racconti ispirati ai testi apocrifi. Questa linea interpretativa trova una conferma nella lettura contestuale dei processi di canonizzazione: se nel primo di questi vi è una piena sintonia con l’opera del M., tali elementi scompaiono nelle successive indagini; in particolare in quella del 1451 quando, a distanza di undici anni dalla morte di Francesca e scomparso anche il M., il processo fu condotto a S. Maria Nova sotto il patrocinio degli olivetani con il fattivo impegno di fra Ippolito, priore della basilica di S. Maria Nova. In quel nuovo contesto emerse un ritratto di Francesca più codificato e più istituzionale, il profilo di una santa perfettamente osservante, rispettosa dell’autorità della Chiesa e di assoluta ortodossia; un profilo che ebbe la sua formulazione nella Leggenda (cfr. Mazzuconi), redatta da Ippolito, che offriva un ritratto ben diverso da quello proposto dal Mattiotti.
L’opera del M. ebbe perciò una diffusione limitata, rimanendo legata soprattutto all’ambiente di Tor de’ Specchi. Nella seconda metà del Quattrocento le oblate commissionarono due cicli di affreschi che presentano un’originale lettura per immagini dell’opera del Mattiotti. Il ciclo del 1468, nella cappella antica del monastero, attribuito ad Antoniazzo Romano, ripropone in 26 scene il racconto dei miracoli e delle visioni. Il secondo ciclo di affreschi monocromi in terretta verdognola, di artista anonimo, risale al 1485 ed è composto da 10 scene direttamente ispirate al trattato dei conflitti coi demoni.
Edizioni: L’intero corpus delle opere qui ricordate è conservato nell’Archivio delle oblate di Tor de’ Specchi a Roma (cfr. S. Francesca Romana. Edizione critica, pp. 12-25). Per la stesura in volgare dei trattati: Vita di s. Francesca Romana scritta nell’idioma volgare di Roma del secolo XV, con appendice di tre laudi nello stesso idioma…, a cura di M. Armellini, Roma 1882; Visioni di s. Francesca Romana. Testo romanesco del secolo XV riveduto sul codice originale, con appunti grammaticali e glossario, a cura di M. Pelaez, in Arch. della R. Soc. romana di storia patria, XIV (1891), pp. 365-409; XV (1892), pp. 251-273; R. Incarbone Giornetti, Tractati della vita et delli visioni di santa Francesca Romana. Testo redatto da Ianni Mattiotti… in volgare romanesco della prima metà del secolo XV, II, Glossario, Roma 2006. Per il testo latino: Acta ex autographo Romano ms. auctore Ioanne Mattiotti ipsius sanctae confessario, in Acta sanctorum, Martii, II, Antverpiae 1668, pp. *92-*176; III, Parisiis-Romae 1865, pp. *93-*178; S. Francesca Romana. Edizione critica dei trattati latini di G. Mattiotti, a cura di A. Bartolomei Romagnoli, Città del Vaticano 1994.
Fonti e Bibl.: I processi inediti per Francesca Bussa dei Ponziani (s. Francesca Romana) 1440-1453, a cura di P. Lugano, Città del Vaticano 1945; O. Moroni, Le visioni di s. Francesca Romana tra Medioevo e umanesimo, in Studi romani, XXI (1973), pp. 160-178; D. Mazzuconi, «Pauca quedam de vita et miraculis beate Francisce de Pontianis». Tre biografie quattrocentesche di s. Francesca Romana, in Una santa tutta romana. ...Francesca Bussa dei Ponziani (1384-1984), a cura di G. Picasso, Monte Oliveto Maggiore 1984, pp. 95-197; U. Vignuzzi, Per la definizione della scripta romanesca «di tipo mediano» nel secolo XV: le due redazioni delle «visioni» di s. Francesca Romana, in Contributi di filologia dell’Italia mediana, VI (1992), pp. 54-130; Id., Varianti e registri linguistici ... dei «Tractati della vita e delli visioni di s. Francesca Romana»…, in Studi in onore di Gianfranco Folena, Roma 1993, pp. 827-840; A. Esch, Francesca Bussa, santa, in Diz. biografico degli Italiani, XLIX, Roma 1997, pp. 594-599; A. Bartolomei Romagnoli, S. Francesca Romana. Fonti, studi, interpretazioni, in Roma medioevale. Aggiornamenti, a cura di P. Delogu, Firenze 1998, pp. 313-329; C. Leonardi, Una scheda per Francesca Romana, in Studi sull’Umbria medievale e umanistica, a cura di E. Menestò - M. Donnini, Spoleto 2000, ad ind.; A. Bartolomei Romagnoli - U. Vignuzzi, S. Pietro e il santorale romano nella letteratura volgare romanesca sino al 1450, in La figura di s. Pietro nelle fonti del Medioevo. Atti del Convegno, Viterbo-Roma... 2000, a cura di L. Lazzari - A.M. Valente Bacci, Louvain-la-Neuve 2001, pp. 320-363; Bibliotheca hagiographica Latina, n. 3094; Bibliotheca sanctorum, V, coll. 1011-1021; Dict. d’hist. et de géographie ecclésiastiques, XVIII, coll. 977-979; Rep. fontium hist. Medii Aevi, VII, pp. 527 s.; Diz. di mistica, pp. 523-526; Biblioteca agiografica italiana, II, pp. 268 s.