MARTINI (Cetti, Martini de’ Cetti), Giovanni (Giovanni da San Gimignano)
Nacque il 3 nov. 1406 a Firenze o a San Gimignano, da Nello di Giuliano e da Noncia di Giovenco Arrigucci.
Il padre del M., giureconsulto, svolse un ruolo di primissimo piano come politico e come ambasciatore al servizio della Repubblica fiorentina, all’interno del gruppo oligarchico affermatosi dopo la ripresa del governo da parte delle arti maggiori nel 1382.
La famiglia del M. era originaria di San Gimignano – dove era conosciuta con il cognome Cetti – e, pur essendo di estrazione contadina, aveva derivato la propria fortuna dall’esercizio della mercatura. Dal capostipite, Cetto di Puccio, iscritto all’arte della lana e allibrato nel 1332 a San Gimignano nella contrada di S. Matteo, la casata si divise in diversi rami, tra i quali quello di Martino, figlio di Cetto, ebbe vita più lunga: da questo nacquero Giuliano e quindi Nello. Inurbatisi ben presto a Firenze, dove adottarono il cognome Martini, mantennero tuttavia un forte legame con la terra di origine: nell’estimo del 1419, Nello risultava possedere il più grosso patrimonio terriero sangimignanese. Oltre al M., ebbe un altro figlio, Giuliano, nato il 15 luglio 1404, anch’egli giurisperito, e una figlia, Costanza, nata dal suo secondo matrimonio con Albiera di Filippo Salviati, che nel 1447 sposò Simone di Andrea Capponi.
Le notizie relative alla formazione culturale del M. e alla sua attività sono scarse e piuttosto frammentarie: ebbe una solida preparazione classica, esercitò la professione notarile divenendo anche giudice e insegnò grammatica a San Gimignano e a Prato; fu inoltre autore di scritti grammaticali e poeta.
Dalla prima documentazione catastale presentata da Nello nel 1427 è possibile ricostruire oltre alla composizione della famiglia, anche il patrimonio, che comprendeva, fra l’altro, un podere a Maiano, in una località detta alla Quercia, e una casa con palchi e tetto con un pezzo di terra a Castel San Giovanni, nel «popolo» di S. Salvatore, nel luogo detto Vacchereccia. Risultano anche dei luoghi di Monte intestati alla moglie Noncia.
La successiva dichiarazione fiscale, del 1430, fu presentata dal M. e dal fratello Giuliano, essendo nel frattempo morto il padre: vi sono descritti il podere di San Martino, le proprietà a San Giovanni Valdarno, diverse case e terre a San Gimignano e a Gambassi. Analoga situazione si ripete nella denuncia del 1433, dove viene enucleato anche un cospicuo numero di creditori.
Il 14 genn. 1443, nella certificazione presentata al Catasto, compaiono il M. con la moglie Antonia di Bernardo Strozzi e il figlio Nello di un anno, il fratello Giuliano e la sorellastra Costanza. Il 14 ott. 1446 il M. partecipò a un compromesso con Giuliano e Costanza per la divisione dei beni ereditati dal padre in un lodo rogato dal notaio Angelo di Piero da Terranova. Nello stesso anno presentò singolarmente la dichiarazione fiscale dove sono registrati la moglie e i figli Giusto e Niccolò Nello, rispettivamente di 4 e 2 anni; risultava inoltre proprietario di due poderi posti nel contado di San Gimignano, in località San Martino, confinanti con le proprietà del fratello Giuliano. Tra le spese a suo carico vi erano 100 fiorini da versare al Comune di Firenze a metà con il fratello e 4 fiorini da corrispondere al pievano Maffio come pigione per la casa dove abitava con la famiglia.
Nella certificazione del 1451 il M. pagò di valsente 13 fiorini e 2 soldi; in quella del 1458 solo 10 soldi. A questa data, il M., che era tuttavia assente da Firenze, possedeva un altro podere situato a Pietralta, nel contado di Montignosi, lega di Gambassi, e teneva a pigione una casa a San Gimignano, in località detta Chiasso, di proprietà di Iacopo di Bartolomeo Cortesi al quale corrispondeva 12 lire annue. Molti beni appaiono tuttavia alienati: tra questi vi erano il podere di Maiano, ereditato nel 1432 e amministrato dai frati del convento di S. Benedetto fuori di porta Pinti, un altro simile situato a Montauto, venduto nel 1447 a Giovanni di Massa da San Gimignano, e infine una casa con casette.
Il 16 genn. 1458 scrisse da San Gimignano a Cosimo de’ Medici, chiedendo una lettera di raccomandazione della Signoria fiorentina per un certo Giovan Piero, suo amico e parente di Cosimo, al quale era stato fatto un torto. Il 29 dic. 1466 inviò una lettera al giovane Lorenzo de’ Medici nella quale avvisava che il figlio Giusto si sarebbe recato presso di lui per chiedere un piccolo favore.
Nel 1469 il M. pagò la tassa della ventina per un ammontare di 1 fiorino, 1 soldo e 7 denari; nel Catasto dello stesso anno, in cui corrispose come valsente 1 fiorino, risulta sempre proprietario del podere di San Martino e di quello di Pietralta; disponeva anche di una casetta con orti a San Gimignano come sua abitazione situata in via della Stufa. Nell’ultima certificazione fiscale, del 1480, il M. fu tassato di 4 lire, 16 soldi e 5 denari; oltre alle proprietà descritte nella precedente portata, risultava dover pagare 20 fiorini di suggello l’anno come restituzione della dote della moglie del defunto figlio Niccolò, Elisabetta di Francesco di ser Bartolomeo Ridolfi da San Gimignano, ammontante a 300 fiorini. Nella composizione familiare risultano Dialta, moglie del figlio Giusto, e i figli di quest’ultimo, Bianca, di 10 anni, per la quale era stata costituita una dote presso il Monte di 150 fiorini, Iacopo di 8 anni, Zenobia di 3 anni e Giuliano di 3 mesi; vi compare anche Niccolò di 7 anni, nato dal figlio Niccolò prematuramente scomparso. Tra i beni alienati vi sono, oltre quelli dichiarati nel 1469, anche una casa a uso di osteria pervenuta a Filippo Valori e ai suoi eredi, e il podere di Castel San Giovanni venduto a ser Francesco Guardi nel 1433.
Dell’attività del M. come notaio si conserva, in particolare, un atto rogato nel 1457 riguardante il quarto e ultimo testamento di Luca di Matteo Firidolfi da Panzano, cittadino fiorentino e mercante, morto nel 1461. Inoltre vi sono tre atti del 1483: il primo, datato 5 aprile, riguarda la copia del capitolo 31 del secondo libro degli statuti di San Gimignano; il secondo, emesso nello stesso giorno, è relativo a Baldassarre di Mannino da Villa Mucchio e San Quirico nel Comune di San Gimignano; il terzo, del 16 luglio, concerne una certa Tita, figlia di Francesco di Giusto di Giuliano e vedova di Bernardino Gamucci.
In rapporto all’impegno culturale del M. sono rimaste due sue lettere del 1448 indirizzate da San Gimignano a Piero de’ Medici a Firenze. Nella prima, dell’8 febbraio, comunicava di essere occupato ancora per quattro mesi nelle sue funzioni di maestro di scuola a San Gimignano, ma che, per non perdere tempo, si sarebbe procurato al più presto dal cancelliere della Repubblica, Carlo Marsuppini, o da Donato di Leonardo Bruni, lettere di raccomandazione per svolgere lo stesso incarico ad Arezzo dal momento che il fratello Giuliano, che si trovava presso il podestà del luogo, gli aveva fatto presente che l’incarico di maestro era vacante. Nella stessa missiva annunciava anche di aver composto uno scritto di grammatica che poteva costituire motivo di valutazione sulla sua esperienza in materia. Nella seconda lettera, del 9 apr. 1448, avendo saputo che il maestro di grammatica di Prato era stato destinato al suo posto a San Gimignano, pregava il Medici di intervenire in suo favore perché potesse andare egli stesso a Prato e gli faceva presente che il cognato Simone Capponi era disponibile a fare da tramite.
Non è nota la data della morte del M. che, tuttavia, dovette avvenire poco dopo il 1483 probabilmente a San Gimignano.
Il conterraneo Luca di Antonio Bernardi da San Gimignano rivolse uno dei suoi distici al M. (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Laur., 90 sup. 90). Il mercante Giovanni Rucellai, presumibilmente durante il suo soggiorno a San Gimignano nel 1457 per sfuggire alla peste, mentre attendeva alla compilazione della prima parte del suo Zibaldone e, in particolare, del capitolo sulla fortuna, si rivolse al M. per avere delucidazioni su un passo dell’Altercatio Hadriani Augusti et Epicteti philosophi, che non riusciva a comprendere perché scritto in latino. Il M. rispose con una lettera in cui proponeva tre interpretazioni, tra le quali il Rucellai scelse la prima che fece inserire tra le definizioni di «fortuna e caso» in una sezione dello Zibaldone «vetus». In seguito, quando nel 1464 riprese la composizione dell’opera, il mercante fiorentino fece copiare la lettera del M. in una nuova sezione dello Zibaldone, insieme con l’epistola sulla fortuna di Marsilio Ficino e altre memorie, con il titolo Opera di ser Giovanni di messer Nello da San Gimignano.
Al M. è attribuita anche una canzone morale dal titolo L’alta virtù di quel collegio santo che parla delle bellezze che desidera avere una donna; il testo è stato edito da G. Arcangeli, In lode di bella donna. Canzoni di Antonio Pucci poeta fiorentino del secolo XIV, Prato 1852, pp. 11-14, e da G. Carducci, Rime di m. Cino da Pistoia e d’altri del sec. XIV, Firenze 1928, pp. 461-466, i quali lo ritengono opera del poeta trecentesco Antonio Pucci in base alla lezione del codice Magl., VII, 1145, della Bibl. nazionale di Firenze, che però non indica il nome dell’autore. Francesco Flamini ritiene invece che debba ascriversi al M. sulla base del codice Laur., 40.43, che l’attribuisce espressamente a «Giovanni di Messer Nello da San Gimignano». Flamini esclude che l’autore possa essere Simone da Siena, il cui nome ricorre nel Laur., 90 inf. 47, dal momento che tale canzone manca in tutti i manoscritti che raccolgono le rime dello stesso.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Tratte, 79, c. 138v; Catasto, 81, cc. 480v-481r; 410, cc. 339v-341r; 500, cc. 436v-438r; 628, c. 562; 685, c. 16; 929, c. 393; Notarile antecosimiano, 689, cc. 196, 267r-268r; 21350, n. 93; Mediceo avanti il principato, 9, 240; 14, 16; 16, 39; 22, 92; C. Carnesecchi, Un fiorentino del secolo XV e le sue Ricordanze domestiche, in Arch. stor. italiano, s. 5, 1889, t. 4, p. 172; F. Flamini, Un trionfo d’Amore del secolo XV, in Il Propugnatore, n.s., II (1889), vol. 22, n. 10; Id., La lirica toscana del Rinascimento anteriore ai tempi del Magnifico, Firenze 1891, pp. 291 s., 602 s., 682; Giovanni Rucellai ed il suo Zibaldone, I, Il Zibaldone quaresimale, a cura di A. Perosa, London 1960, pp. XIV, XXVI, 112, 171, 175 s.; E. Fiumi, Storia economica e sociale di San Gimignano, Firenze 1961, p. 249; L. Martines, The social world of the Florentine humanists, Princeton, NJ, 1963, pp. 267, 269-271, 303, 340; Ch. Bec, Les marchands écrivains. Affaires et humanisme à Florence (1375-1434), Paris-La Haye 1967, p. 307; Id., Cultura e società a Firenze nell’età della Rinascenza, Roma 1981, p. 110; A. Perosa, Lo Zibaldone di Giovanni Rucellai, ibid., II, A Florentine patrician and his palace. Studies…, London 1981, p. 139; A.F. Verde, Lo Studio fiorentino. 1473-1503. Ricerche e documenti, IV, Firenze 1985, p. 456; R. Black, Studio e scuola in Arezzo durante il Medioevo e il Rinascimento. I documenti d’archivio fino al 1530, Arezzo 1996, p. 113; Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia, X, pp. 173, 191.