MARRASIO, Giovanni
– Nacque a Noto tra il 1400 e il 1404, come indirettamente si ricava da un suo distico («Bis decies steteram corpus sine pectore: vitam, / Ingenium atque animos Angela sola dedit»: Angelinetum, VII, vv. 33-34), scritto dopo il compimento del ventesimo anno d’età a Siena, dove giunse tra il 1420 e il 1424.
La fonte principale per la biografia del M. è soprattutto la sua produzione poetica. Assai poco può dirsi della sua famiglia, dal M. stesso definita illustre («Obscuro non sum de sanguine natus: / Clara habuit genetrix nomina, clara pater»: ibid., VII, vv. 9-10). Il padre Guglielmo appare ancora in vita in un diploma di laurea del 17 sett. 1432, redatto a Ferrara, nel quale il M. è testimone; ma da un carme della primavera del 1433 si ricava che egli era già orfano di entrambi i genitori («Mortua mater erat, vel meus ipse pater»: Carmina varia, 15, v. 72). Che il padre sia morto proprio in quell’anno è confermato dal documento che attesta il conseguimento a Ferrara da parte del M. del dottorato in arti e medicina (28 o 29 ag. 1433). Qualche altro scarno riferimento ai familiari può ricavarsi dal carme in cui si accenna alla moglie, morta di peste non ancora ventiquattrenne (ibid., 32, v. 7).
Pur in assenza di documenti, si può ritenere che la prima formazione del M. sia avvenuta a Noto, dove andava emergendo una generazione di dotti, destinati ad ampia fortuna in varie città italiane (tra gli altri, Giovanni Aurispa, Antonio Cassarino, Giovanni Campiano) e che evidentemente già all’inizio del XV secolo era attrezzata per fornire i rudimenta a chi nutrisse ambizioni letterarie. Ma tutti coloro che, come il M., «si sono formati almeno parzialmente in Sicilia» hanno svolto la loro attività altrove, «quasi a indicare che l’isola permetteva sì una buona preparazione, ma non offriva l’ambiente adatto per il successo» (De Blasi - Varvaro).
Lasciata la Sicilia, dopo breve frequentazione dello Studio di Bologna il M. si recò a Siena, dove si trovava, come lui stesso ci informa (Carmina varia, 4), durante una pestilenza (probabilmente l’epidemia del 1424).
Alla scelta della sede dove portare a compimento gli studi, per ottenere un titolo poi utilizzabile in patria, contribuirono diversi fattori: la fama della città toscana come centro di cultura e come sede di uno Studio insigne, ma anche come luogo di goliardica sodalitas studentesca. A Siena, del resto, dove dal 1419 al 1430 insegnò il celebre giurista siciliano Niccolò Tedeschi, risiedevano vari studenti giunti dall’isola con sussidi delle singole Universitates e taluni umanisti più o meno coetanei del Marrasio. Con molti di loro egli strinse rapporti di amicizia, animata da lieti conversari presso la fonte Gaia, in piazza del Campo, cui pure rimanda un Marrasii epitaphion (Carmina varia, 23). Ampi accenni a tale sodalitas si ricavano dai suoi versi, nei quali, accanto a nomi per noi piuttosto oscuri, compaiono quelli di Giovanni da Prato, Andreozzo Petrucci, Francesco Pontano, Antonio Beccadelli detto il Panormita ed Enea Silvio Piccolomini, futuro papa Pio II.
Proprio alla famiglia di quest’ultimo appartenne l’Angela cantata con toni erotico-elegiaci dal M. nel suo Angelinetum, un esiguo canzoniere di ispirazione classica, destinato a uno straordinario successo e costituito da sette elegie incorniciate da una dedica e un congedo a Leonardo Bruni. La data di pubblicazione della raccolta (agosto o settembre 1429) si ricava dalla lettera di Bruni sul furor poeticus (VI, 1), rivolta al M. in risposta alla dedica dell’Angelinetum e scritta, come già ipotizzava Resta e oggi si ricava da nuove fonti manoscritte, nell’ottobre 1429.
La novità del canzoniere va colta nell’ambito del particolare milieu senese di inizio secolo, i cui letterati per primi si rivolsero in maniera immediata all’auctoritas degli elegiaci latini. E non è un caso che l’Angelinetum sia solo di poco posteriore allo Hermaphroditus del Panormita, di cui ricalca argomenti, stilemi e strutture. La lezione di Properzio, Tibullo, Ovidio, e pure di Catullo e di Orazio, epurata dalle prolungate ipoteche allegoriche che ne avevano a lungo travisato il messaggio, riacquista il ruolo originario. Nella trama dei carmi marrasiani, d’altronde, sono presenti anche significativi e cospicui echi virgiliani, una sorta di tributo a un modello considerato inimitabile.
Senz’altro frutto di accurata selezione, l’Angelinetum accoglie argomenti e tematiche eterogenei, cui non sono estranei moduli petrarcheschi, resi coerenti dall’unità formale del distico elegiaco, e costituisce il primo esempio di canzoniere amoroso umanistico unitario, destinato a rappresentare nell’ambito della produzione del M. una straordinaria «stagione di schietto classicismo» (ed. Resta, p. 49).
Nel coro di voci che ne documentano l’immediato favore si inseriscono, con il Panormita che in un epigramma «ad praeclarum ac divinum vatem Marrasium Siculum» ne canta l’ardore amoroso per Angela Piccolomini, Maffeo Vegio, autore di un’epistola consolatoria in versi e di un’elegia «nomine Angelinae», dedicate all’amico siciliano e, più tardi, Carlo Marsuppini, che al M. dedicò l’epistola prefatoria alla sua traduzione della Batracomiomachia pseudomerica. Componimenti tutti che, tra il 1429 e il 1430, ispirarono ulteriori versi al M. (Carmina varia, 1-3). Ricalcando una scelta editoriale del Panormita, il M. unì poi tali carmi e l’epistola di Bruni, come una sorta di paratesto, all’Angelinetum: è questo il primo stadio del corpus marrasiano (stadio a), quello più assiduamente attestato dalla tradizione manoscritta, priva di autografi.
A quest’epoca vanno ricondotti pure l’elegia di Piccolomini a Carlo VII di Francia, in cui viene lodato il M. (in Poeti latini del Quattrocento), e forse il carme dedicato al M. da Leonardo Dati, posto alla fine della sua traduzione in versi latini di quaranta favole di Esopo dedicate a Gregorio Correr, traditi dal ms. Rehdiger 60 (cc. 116r-127r) della Biblioteca universitaria di Breslavia.
L’altro nucleo della raccolta marrasiana è costituito dalla prima sezione dei Carmina varia (4-13; stadio b), composti sempre durante il soggiorno a Siena. Si tratta di versi d’occasione: dieci liriche rivolte agli amici della fonte Gaia, a suggello di una vivace fase letteraria, ma anche esistenziale, per il Marrasio.
Durante gli anni senesi va pure inserita una breve permanenza del M. a Bologna, sicuramente nel 1427, come si ricava dall’intitolazione di un carme in cui si allude all’incontro nella città con Tommaso Parentucelli, avvenuto circa venti anni prima della sua ascesa al soglio pontificio con il nome di Niccolò V.
A spingere il M. a Bologna fu la presenza degli umanisti a lui vicini: il Panormita, Aurispa, Bartolomeo Guasco, Giovanni Toscanella, Andreozzo Petrucci e Tommaso Tebaldi. Quest’ultimo poco prima aveva prestato al M. un esemplare di Prisciano, di cui poi sollecitò la restituzione attraverso il Panormita, che lo avrebbe ottenuto quando il M. era già a Ferrara.
Dopo un breve soggiorno in Sicilia, il M. tornò in Toscana e da Firenze il 13 marzo 1430 scrisse al Panormita che si trovava a Pavia. Bene accolto nel circolo fiorentino, ritrovò gli antichi amici del periodo senese, tra cui Francesco Pontano. È sicuramente di questo periodo l’invio al comune amico Andreozzo Petrucci del carme commendatizio con il quale Pontano elogiava il M. e sottolineava il pregio dell’Angelinetum. Furono elogi e riconoscimenti privi sicuramente di risultati concreti se ben presto, dopo una probabile frequentazione dello Studio, anche per sottrarsi alla dilagante epidemia di peste, il M. si trasferì a Padova.
Sul soggiorno nella città veneta, caratterizzato da una insoddisfazione di fondo che rendeva le sue giornate di studio della medicina grigie e malinconiche, fa luce una lettera al Panormita. È un’epistola particolarmente importante perché, nell’evidenziare amarezza e risentimento per il prolungato silenzio dell’amico, offre un quadro desolante della città, la cui immagine era probabile riflesso di un cupo stato d’animo.
Insieme con la precedente, questa lettera costituisce lo scarno lacerto dell’epistolario marrasiano giunto fino a noi: malgrado l’intento (non realizzatosi) di pubblicare l’intero corpus di lettere del M. da parte dell’erudito settecentesco Lorenzo Mehus, null’altro fino a oggi è stato possibile rintracciare.
Il 2 luglio 1432 il M. era comunque ancora a Padova, come risulta dalla sua presenza da testimone alla laurea del netino Guglielmo Oddone, ma il 17 settembre era già a Ferrara, teste con lo stesso Oddone alla laurea in diritto canonico del siciliano Enrico Zangaruso, che sarebbe diventato vescovo di Agrigento.
Su Ferrara, centro del sapere tra i più vivaci d’Italia, grazie anche al mecenatismo di Niccolò III d’Este, e dove soggiornavano, tra gli altri, Guarino Guarini e Aurispa, il M. riversava le sue febbrili attese di rinnovamento. Desideroso di completare gli studi, ma più ancora di ottenere una decorosa collocazione, magari proprio nell’ambito della corte estense, egli riprese a comporre versi, celebrando i signori della città. Nacque così la seconda sezione dei Carmina varia (14-20; stadio c), più tardi dal M. aggiunta alla precedente con l’intento di organizzare un corpus poetico omogeneo, oggi trasmesso per intero e in forma assai corretta dal ms. Nouv. acq. lat. 623 della Bibliothèque nationale di Parigi, che potrebbe discendere da un autografo. A questo clima di impegno, di attesa e di esperienze culturali va ricondotta la sfarzosa mascherata mitologica, organizzata dal M. probabilmente in coincidenza della pace tra Milano, Firenze e Venezia ratificata il 26 apr. 1433 a Ferrara, ove per l’occasione erano convenuti diversi diplomatici, tra i quali anche Parentucelli. Dell’attrattiva che l’allegoria delle maschere suscitò presso il pubblico ci dice Niccolò Loschi nel minuto resoconto epistolare al fratello Francesco (Sabbadini, 1891, p. 182), dal quale pare dedursi che lo stesso M. vestisse i panni del dio Bacco.
Connesso a tale occasione è il Poema de ortu, obitu et vita larvarum, dedicato a Niccolò III d’Este e scritto su sollecitazione dell’amico Soccino Benzi, figlio di Ugo, filosofo e medico di chiara fama, entrambi vicini ad Aurispa e assai accreditati nel circolo degli Este. Secondo Lockwood, proprio Soccino aveva ricoperto il ruolo principale di Cupido nella mascherata del M. e infatti è ricordato nella risposta al poema che compose Guarini. Con altri versi sempre sulle maschere, ma in realtà in lode di Guarini, il M. rispondeva a sua volta, consapevole comunque di non aver sortito l’effetto sperato presso Niccolò III, ma non rassegnato ancora, anzi caparbiamente intento a spendersi per ottenere benefici concreti: in tal senso va interpretato l’invio del Poema con un epigramma encomiastico a Ciriaco Pizzicolli, allora a Ferrara tra i convenuti per la pace. Anche in occasione del soggiorno nella città estense (tra il 9 e il 16 sett. 1433) di Sigismondo di Lussemburgo, reduce dall’incoronazione romana a opera di papa Eugenio IV, il M. non si sottrasse alla logica della società in cui viveva. Ottenuta dall’imperatore la laurea poetica, lo ringraziò dedicandogli un carme, con il quale si offriva di nuovo come cantore ufficiale.
Lo strenuo impegno poetico non impedì tuttavia al M. di completare gli studi. Alla fine dell’agosto 1433 conseguiva il dottorato in artibus et medicina, con il maestro Ugo Benzi, per la laurea del cui figlio, Soccino, avvenuta il 5 o il 19 sett. 1433, lo stesso M. avrebbe fatto da testimone, a comprova dei rapporti di amicizia che intercorrevano tra loro. Ulteriore attestazione della familiarità con gli ambienti estensi è un documento del 19 settembre che lo vede teste alla laurea di Guglielmo da Valano.
Per il periodo successivo si dispone di fonti frammentarie e assai scarne: è probabile che il M. rimanesse a Ferrara ancora alla ricerca di un incarico pubblico, senza però ottenere quella fortuna che invece era stata particolarmente benevola con l’amico e conterraneo Aurispa. Questi, precettore di Meliaduse d’Este, rimase estimatore del M. negli anni ferraresi, come attestano sia i tre esametri dedicatigli, probabilmente dopo il 1437, sia il rinvenimento tra i suoi libri di un «opus Marrasii Siculi». Un’altra cocente delusione smorzò le speranze del M. quando, il 10 apr. 1440, alla morte del cancelliere del Comune di Perugia fu indicato tra i suoi possibili successori, ma l’incarico fu affidato a Tommaso Pontano.
L’ultimo documento che attesta la presenza del M. a Ferrara risale verosimilmente ai primi mesi del 1442; si tratta di un carme indirizzato a Leonello d’Este, da poco succeduto al padre. Di matrice encomiastica, vi si coglie però un franco riconoscimento delle innegabili doti politiche e culturali di cui il giovane principe aveva già dato prova, specialmente con l’impulso alla ripresa, dopo lunga crisi, dell’Università di Ferrara.
Dopo un probabile, breve soggiorno a Genova, di cui parla Sabbadini e che Resta riconduce all’inizio del 1433, il M. tornò in patria. Fece tappa a Napoli, dove si trovava il Panormita, e frequentò la corte di Alfonso V d’Aragona, dal quale, nel 1445, ricevette un cospicuo beneficio.
Gli anni siciliani sono scarsamente documentati; si sa comunque che dal settembre 1443 all’agosto 1446 il M. fu medico alle dipendenze della Universitas di Palermo e che nel 1447 fu eletto «patrizio» di Noto.
Dai versi composti in questo periodo (Carmina varia, 24-47), tramandati dal solo ms. 283 della Biblioteca Palatina di Parma, è possibile ricavare notizie sulle modeste relazioni con dotti locali, mentre conclusi paiono i contatti con gli umanisti dell’Italia centro-settentrionale, tranne che con il Panormita.
Il triennio successivo è caratterizzato da una serie di malattie e di lutti dettagliatamente descritti nei carmi 30-32, probabilmente composti dopo l’aprile del 1450.
Quell’anno giunse a Palermo lo spagnolo Garçia di Cuevasruvias, proveniente da Roma; ospite del fratello Alfonso, arcivescovo di Monreale, di lì a poco sarebbe morto per una ferita. La vicenda suscitò grande impressione nel M., che compose per l’occasione una serie di carmi, forse anche per attestare affettuosa deferenza verso l’arcivescovo.
Proprio in quel periodo, infatti, il M. veniva ordinato sacerdote e anche all’arcivescovo, oltre che all’amico Panormita, contava di affidarsi quando all’inizio del 1451 si recò a Napoli per impetrare presso Alfonso d’Aragona il beneficio sugli introiti dell’abbazia di S. Maria da Lentini, poi concesso ad Aurispa.
Giuntovi forse qualche tempo prima al seguito di Alfonso di Cuevasruvias, nell’aprile 1452 il M. era a Roma: a papa Niccolò V indirizzò un gruppo di carmi, in cui al motivo encomiastico si accompagnavano sincere attestazioni di stima. Al ritorno in Sicilia, ormai ammalato, il 12 sett. 1452 a Caltanissetta redasse il testamento (non rintracciato) e morì di lì a poco, se l’inventario della sua dimora palermitana fu compilato il 24 settembre.
Il documento fa luce sullo status sociale del M. e consente soprattutto, attraverso l’analisi della sua biblioteca, costituita da 70 manoscritti, di delineare il profilo di un umanista orientato verso interessi religiosi e scientifici più che teso alla valorizzazione e fruizione del mondo classico.
L’edizione di riferimento dei testi del M., utile anche per l’ampio corredo bio-bibliografico, è quella curata da G. Resta: I. Marrasius, Angelinetum et Carmina varia, Palermo 1976, ove confluiscono tutte le poesie del M., a eccezione di un epigramma a Girolamo Forti da Teramo (per il quale si rinvia a Bloch e Delz), e anche testi non marrasiani (ma non è segnalato il carme di Dati).
Ai codici con testi del M. già registrati da Resta, vanno aggiunti: Berlino, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz, Lat. qu., 462, c. 28; Lat. fol., 557, cc. 142r-146v; Lat. oct., 174, c. 93; Arch. di Stato di Firenze, Arch. Bardi, s. II, 62, cc. 59-69; Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Mss., 39, 9, c. 45r; Foligno, Biblioteca Jacobilli del Seminario vescovile, Mss., B. IV 1, cc. 68r-70r; Gotha, Forschungsbibliothek, Mss., chart. B. 1047, cc. 85v-88v; Milano, Biblioteca Trivulziana, Mss., 97, cc. 53r-60r; 774, cc. 21r-32r, 54v-55v; New Haven, Yale University Library, Mss., 722 (contiene, oltre all’epigramma del Panormita, solo carmi del M.); Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds lat., 8413, c. 10; Siena, Biblioteca comunale degli Intronati, Mss., H. VI 30, cc. 100r-101v; Trento, Biblioteca comunale, Mss., 4973, c. 9.
Fonti e Bibl.: L. Bruni, Epistolarum libri VIII, a cura di L. Mehus, I, Florentiae 1741, p. 36; B. Facio, De viris illustribus liber, a cura di L. Mehus, Florentiae 1745, p. 5; Guarino Veronese, Epistolario, a cura di R. Sabbadini, II, Venezia 1916, pp. 149-154; III, ibid. 1919, pp. 294-296; Vespasiano da Bisticci, Vite di uomini illustri del secolo XV, a cura di P. D’Ancona - E. Aeschlimann, Milano 1951, p. 351; T. Fazello, De rebus Siculis decades duae, Panormi 1560, p. 109; V. Littara, De rebus Netinis liber, Panormi 1593, p. 120; A. Mongitore, Bibliotheca Sicula, I, Panormi 1707, p. 352; R. Pirro, Sicilia sacra, I, Panormi 1733, p. 668; A. Narbone, Storia della letteratura siciliana, sec. XV, X, Palermo 1859, pp. 233 s.; A. Corradi, Annali delle epidemie occorse in Italia dalle prime memorie fino al 1850, Bologna 1865, pp. 555, 565; V. Di Giovanni, Filologia e letteratura siciliana, III, Palermo 1879, pp. 233-241; G. Voigt, Il risorgimento dell’antichità classica ovvero il primo secolo dell’umanismo, I, Firenze 1888, p. 494; R. Sabbadini, Biografia documentata di G. Aurispa, Noto 1891, pp. 174-186; Id., L’Angelinetum di G. M., in La Biblioteca delle scuole italiane, IV (1892), pp. 193-196; Id., Spigolature umanistiche: G. M., in Rivista etnea, I (1893), p. 53; Id., Una mascherata mitologica a Ferrara nel 1433, Catania 1895; A. Lazzari, Ugolino e Michele Verino: studi biografici e critici, Torino 1897, pp. 20-22; G. Pardi, Titoli dottorali conferiti dallo Studio di Ferrara nei secc. XV e XVI, Lucca 1900, pp. 16 s.; R. Sabbadini, Briciole umanistiche, in Giornale storico della letteratura italiana, XLVI (1905), pp. 80 s.; Id., Spigolature di letteratura siciliana nel sec. XV. Studenti e professori, in Arch. stor. per la Sicilia orientale, IV (1907), p. 117; F.A. Termini, Pietro Ransano umanista palermitano del sec. XV, Palermo 1915, p. 188; P. Verrua, Umanisti ed altri «studiosi viri» italiani e stranieri di qua e di là dalle Alpi e dal mare, Genève 1924, p. 19; L. Bertalot, Uno zibaldone poetico umanistico del Quattrocento a Praga, in La Bibliofilia, XXVI (1924-25), pp. 134-139; G. Ellinger, Italien und der deutsche Humanismus in der neulateinischen Lyrik, I, Berlin-Leipzig 1929, pp. 27 s.; Carteggio di Giovanni Aurispa, a cura di R. Sabbadini, Roma 1931, ad ind.; F. Calonghi, Due codici tibulliani della Biblioteca civica di Bergamo, in Rivista indo-greco-italica, XVII (1933), pp. 44-49; F. Marletta, I siciliani nello Studio di Padova nel Quattrocento, in Arch. stor. per la Sicilia, II (1936-37), p. 184; Id., L’umanista Francesco Pontano, in Nuova Rivista storica, XXVI (1942), p. 37; D.P. Lockwood, Ugo Benzi Medieval philosopher and physician 1376-1439, Chicago 1951, p. 192; C. Corso, Il Panormita in Siena e l’Ermafrodito, in Bull. senese di storia patria, LX (1953), pp. 154-157; G. Resta, L’epistolario del Panormita. Studi per una edizione critica, Messina 1954, ad ind.; Id., Per una edizione critica dei carmi di G. M., in Rinascimento, V (1954), 2, pp. 261-289; A. Altamura, I carmi latini di G. M., Palermo 1954; A. Garosi, Siena nella storia della medicina (1240-1555), Firenze 1958, p. 418; D. Bloch, Quelques manuscrits de Pietro di Celano à la Bibliothèque nationale de Paris, in Studi di bibliografia e di storia in onore di Tammaro De Marinis, I, Verona 1964, pp. 149-151; Poeti latini del Quattrocento, a cura di F. Arnaldi - L. Gualdo Rosa - L. Monti Sabia, Milano-Napoli 1964, p. 138; J. Delz, Ein unbekannter Brief von Pomponius Laetus, in Italia medioevale e umanistica, IX (1966), p. 432; H. Bresc, Livre et société en Sicile (1299-1499), Palermo 1971, ad ind.; A. Franceschini, Spigolature archivistiche prime, in Atti e memorie della Deputazione provinciale ferrarese di storia patria, s. 3, XIX (1975), pp. 121 s.; A. Traina, Poeti latini (e neolatini). Note e saggi filologici, I, Bologna 1975, p. 342; II, ibid. 1981, pp. 163-171; R. Galli, Una poesia umanistica sulla fonte Gaia di Siena, in Interrogativi dell’umanesimo, I, Essenza-persistenza-sviluppi. Atti del IX Convegno internazionale del centro di studi umanistici, Montepulciano… 1972, a cura di G. Tarugi, Firenze 1976, pp. 81-86; A. Franceschini, Giovanni Aurispa e la sua biblioteca. Notizie e documenti, Padova 1976, ad ind.; S. Mariotti, M. «Carmina varia» 1, 37 R., in Giornale italiano di filologia, n.s. VII (1976), pp. 322 s.; A. Barilaro, Pietro Ranzano umanista domenicano di Palermo, in Memorie domenicane, n.s., VIII-IX (1977-78), pp. 74, 193 s.; G. Ferraù, La vicenda culturale, in La cultura in Sicilia nel Quattrocento (catal.), Roma 1982, p. 20; G. Martellotti, I carmi del M., in Id., Dante e Boccaccio e altri scrittori dall’umanesimo al romanticismo, Firenze 1983, pp. 257-271; N. De Blasi - A. Varvaro, Napoli e l’Italia meridionale, in Letteratura italiana. Storia e geografia (Einaudi), II, 1, Torino 1988, p. 237; A. Panormita, Hermaphroditus, a cura di D. Coppini, I, Roma 1990, ad ind.; G. Resta, Un antico progetto editoriale dell’epistolario del Panormita, in Studi umanistici, I (1990), pp. 42 s.; A. Bisanti, Aspetti dell’imitazione virgiliana nei carmi latini di G. M., in Orpheus, XIII (1992), pp. 33-51; E. Di Lorenzo, Appunti sul distico elegiaco di G. M., in I Gaurico e il Rinascimento meridionale. Atti del Convegno di studi, Montecorvino Rovella… 1988, a cura di A. Granese - S. Martelli - E. Spinelli, Salerno 1992, pp. 311-327; Censimento dei codici dell’epistolario di Leonardo Bruni, I, Manoscritti delle biblioteche non italiane, a cura di L. Gualdo Rosa, Roma 1993, p. 150; II, Manoscritti delle biblioteche italiane e della Biblioteca apost. Vaticana, a cura di L. Gualdo Rosa, ibid. 2004, pp. 30, 123; A. Bisanti, Suggestioni properziane e «descriptio pulchritudinis» nei carmi di G. M., in In memoria di Salvatore Vivona. Saggi e studi, a cura di G. Catanzaro, Assisi 1997, pp. 143-175; D. Coppini, Da «dummodo non castum» a «nimium castus liber»: osservazioni sull’epigramma latino del Quattrocento, in Les Cahiers de l’humanisme, I (2000), pp. 304 s.; D. Coppini - P. Viti, La produzione latina dell’età umanistica, in Storia della letteratura italiana (Salerno), X, La tradizione dei testi, Roma 2001, pp. 420 s.; D. Coppini, I canzonieri latini del Quattrocento. Petrarca e l’epigramma nella strutturazione dell’opera elegiaca, in «Liber», «fragmenta», «libellus» prima e dopo Petrarca. In ricordo di D’arco Silvio Avalle. Seminario internazionale di studi, Bergamo… 2003, a cura di F. Lo Monaco - L.C. Rossi - N. Scaffai, Firenze 2006, pp. 220-226; V.A. Amico, Lexicon topographicum Siculum, I, 2, Panormi 1757, p. 139.