CATTANEO (Cataneo), Giovanni Maria (Mario)
Nacque nella seconda metà del sec. XV a Novara; indirizzatosi agli studia humanitatis, compì la sua educazione sotto la guida di Giorgio Merula e Demetrio Calcondila, probabilmente a Milano nell'ultima decade del secolo.
La famiglia del C., a quanto egli afferma nel Genua (vv.362 s.), sarebbe stata di origine catanese: ma è probabile che tale affermazione sia fatta per amore dell'etimologia, e che il C. discendesse dai Cataneo o Cattaneo lombardi. In quanto al luogo degli studi del C., il Giovio, che negli Elogia ci dà anche il nome dei suoi maestri, sembra accennare a Pavia, dove d'altronde non risulta che il Calcondila abbia mai insegnato: è verosimile quindi pensare a Milano e al periodo in cui il Merula e il Calcondila vi insegnarono contemporaneamente (1491-1494). Tale supposizione è confortata dal fatto che a Milano si riferiscono tutti i primi scritti del C.: una lettera ad Alberto Pio all'inizio dell'editio princeps della Suida curata dal Calcondila (Mediolani, G. Bissoli e B. Dolcibelli, 1499) della cui stampa il C. si era interessato, e due epigrammi all'inizio del De raptu Proserpinae di Claudiano commentato da Giano Parrasio (Mediolani 1501).
A Milano il C. redasse e pubblicò l'ampio commento alle Epistole e al Panegirico di Plinio, che lo impose all'attenzione degli ambienti umanistici e che resta la sua opera più importante e impegnativa (C. Plinii Caecili Secundi Epistolarum libri IX. Libellus epistol. ad Traianum cum rescriptis ejd. principis. Panegyricus Traiano dictus cum enarrationibus Io. Mar. Catanaei, Mediolani, apud A. Minutianum, 18 genn. 1506).
Verosimilmente la milanese del 1506 è la prima ed. (cfr. G. T. Graesse, Trésor...,V, Berlin 1922, p. 345), anche se P. Orlandi (Origine e progressi della stampa..., s.n.t., p. 309) afferma che Enarrationes del C. sulle Epistole e sul Panegirico furono stampate a Venezia nel 1500. L'opera si apre con una dedicatoria a Goffredo Carli, "praesidi Gratianopolis ac Mediolani" datata da Milano il 1º dic. 1505; seguono una breve Vita Plinii e il commento ai nove libri delle Epistolae. Poi, il commento alla corrispondenza tra Plinio e Traiano è dedicato ad Ambrogio del Maino, e quello al Panegyricgs a Gian Giacomo Trivulzio. Il commento pliniano del C. ebbe enorme fortuna e numerosissime ristampe, spesso insieme con commenti altrui, fino al Settecento.
Poco più tardi, il C. cominciò a frequentare gli ambienti della Curia romana, probabilmente al servizio del genovese Bandinello Sauli (cardinale dal 1511, vescovo di Albenga nel 1513,morto nel 1518), che lo assunse come segretario e, secondo il Giovio, lo spinse a prendere gli ordini sacri e gli donò un beneficio ecclesiastico.
La prima testimonianza della presenza del C. a Roma è del 1509, quando il Mazzocchi stampò l'Isocratisoratio panegyrica... per I.M.C. in latium [sic] summa celeritateac pari iudicio translata, dedicata dal C. allo scrittore apostolico Pietro Forti, che gli aveva chiesto di volgere in latino l'orazione. il C. allora era a Roma di passaggio: nella dedicatoria - datata 15 marzo 1509 - afferma di aver steso la versione in pochi giorni, tanti quanti anni aveva studiato il greco, "in hoc urbis discursu".
In seguito - probabilmente dal 1511, in coincidenza con la nomina del Sauli a cardinale - il C. sembra risiedesse quasi continuativamente a Roma, allontanandosene solo per seguire il suo patrono nei viaggi a Genova; qui partecipò abbastanza attivamente alla vita accademica e proseguì nell'attività di traduttore dal greco in latino.
Durante il soggiorno romano, infatti, il C. tradusse tre "dialoghi" lucianei rappresentanti rispettivamente lo stile tenero, il grave e il giocoso: gli Amores, il De conscribenda historia e i Lapithae. Del primo opuscolo nulla sappiamo; del secondo, dedicato al Giovio, il Cotta afferma che fu pubblicato a Venezia nel 1522; il terzo fu stampato a Roma dal Mazzocchi (ma s.n.t.) col titolo Luciani Convivium seu Lapithae... I.M.C. interprete, con una breve dedicatoria del C. al noto mecenate Hans Goritz (Corycius). Il C. infatti fece parte degli "accademici coriciani",e il suo nome è presente nel loro elenco, steso probabilmente dal Giovio e pubblicato dal Fanelli (in F. Ubaldini, Vita di mons. A. Colocci, Città del Vaticano 1969, App. IV, p. 114). Dei rapporti del C. col Goritz, e quindi col circolo letterario che gravitava intorno al ricco prelato tedesco, principale testimonianza sono i Coryciana, la raccolta cioè delle liriche latine che annualmente venivano depositate dai poeti romani presso il gruppo marmoreo di S. Anna, donato dal Goritz alla chiesa di S. Agostino: non solo il C. ha tre epigrammi nell'edizione (Romae 1524,cc. [Diii], K ivv, Mv-Mii), ma nei codici Vat. lat. 2754 (ff. 6v-7v) e Corsiniano Rossi 207 (f. 12rv), contenenti due redazioni dei Coryciana anteriori alla stampa, una sua lettera al fratello Giacomo, in cui dice "mihi amicissimus" il Goritz, manifesta l'intenzione di promuovere quella pubblicazione della raccolta, che poi sarà realizzata da Blosio Palladio (cfr. J. Ruysschaert, Les péripéties inconnues de l'édition des "Coryciana" de 1524, in Atti del Convegno di studi su A. Colocci,Jesi 1972, pp. 52 s.). Della partecipazione del C. alla gaia vita "accademica" di Roma fa fede anche il suo contributo al parodistico commento che dell'Epulum populi Romani eucharisticon del poetastro Giulio de Simone fecero intorno al 1514 numerosissimi esponenti dell'umanesimo romano, auspice il Savoia (cod. Vat. lat. 5356; il contributo del C. è al f. 115v).
A Roma, probabilmente influenzato dai locali circoli tardoumanistici, il C. cominciò a manifestare un'inedita inclinazione per la poesia, cui per alcuni anni sembra essersi dedicato quasi esclusivamente. Prima manifestazione del distacco del C. dalle radici della primitiva formazione filologico-erudita di origine milanese e del suo abbandonarsi ad ambizioni poetiche storicheggianti; è il poemetto Genua, scritto su invito del cardinal Sauli e stampato a Roma dal Mazzocchi s.d., ma con una dedicatoria del C. al protonotario Stefano Sauli del 1º febbr. 1514.
In 446 mediocri esametri l'opuscolo descrive "historice magis quam poetice" - come afferma il C. stesso - la città di Genova, ed è una vera e propria guida alla topografia, alla vita commerciale e industriale, ai monumenti, alle località più caratteristiche, alle consuetudini tipiche del luogo. Narra il Giovio che dopo il Genua il C.si appassionò talmente alla poesia latina - per cui d'altronde non aveva né una valida preparazione né sufficiente vocazione - da iniziare un poema epico sulla prima crociata, il Solymidos;ma ne sarebbe stato distolto dalle ironie del Bembo, cui lesse un primo abbozzo. La testimonianza del Giovio parrebbe comprovata dai registri di prestito della Biblioteca Vaticana pubblicati dalla Bertola, che attestano la volontà del C. di documentarsi sulla prima crociata e sul mondo arabo: il 15 mov. 1516 egli prese in prestito, dando in pegno un anello d'oro, l'Historia regum Britanniae, e cioè l'attuale Vat. lat. 2005, contenente anche l'Historia Hierosolymitana di Roberto di Reims; il 27 sett. 1518 restituì un Corano, avuto da Filippo Beroaldo iunior, morto da pochi giorni. Il poema doveva essere in esametri latini e non certo, come affermò il Cotta (p. 175) suggestionato dall'argomento che precorre la Liberata del Tasso, in ottava rima volgare. Il C. in seguito sembrerebbe aver tramandato ad altri il suo progetto: nel De litteratorum infelicitate del Valeriano, di cui è tra gli interlocutori, il C. ricorda come nel 1527, all'epoca del Sacco, il suo allievo Giovanni Bonifacio Vittorio stesse terminando una Gottifredi historia.
Intanto, nel 1517, veniva stampata a Roma dal Mazzocchi l'ultima, fortunatissima traduzione del C., quella dei Progymnasmata di Aftonio:, pubblicata la prima volta col titolo di Aphtonii Sophistae Preexercitamentorum libellus, ebbe molte riedizioni, da sola o in raccolte di traduzioni dal greco. L'anno successivo morì il cardinal Sauli, ma non sembra che le fortune del C. subissero scosse sensibili per la scomparsa del suo protettore: ormai egli era in possesso di benefici ecclesiastici redditizi, aveva credito e amicizie influenti in Curia, e non è improbabile che si dedicasse anche all'insegnamento, privatamente o presso lo Studio romano.
Che il C. possedesse ricchi benefici risulta evidente dalle notizie forniteci dal Giovio sulle circostanze delle sue esequie; in quanto alla sua attività d'insegnante, si è già visto come nel De litteratorum infelicitate si parli di un suo discepolo, e bisognerà aggiungere che nel ruolo dei professori dell'Archiginnasio di Roma per il 1514 figura "in Rhetorica diebus festis de mane",con la retribuzione di centotrenta fiorini, un "Ioannes Darius [sic] Novariensis",che il Marini credette di identificare col Cattaneo. Comunque è certo che anche dopo la morte del Sauli il C. a Roma rimase in una posizione di prestigio: era in buoni rapporti col Sadoleto, se gli dedicò una riedizione del suo commento pliniano stampata a Venezia alla fine del 1519 (ma la dedicatoria è datata da Roma nel 1518); tra il 1520 e il 1521 la sua influenza in Curia è dimostrata da varie lettere in cui l'Alciato chiede a F. Calvo di ottenergli l'intermediazione del C. per la propria richiesta di avere gratuitamente dal pontefice il privilegio di conferire dottorati, richiesta poi accolta.
Nulla sappiamo degli ultimi anni della vita del C., se non che ritornò alla prosa e, secondo la testimonianza del Giovio, scrisse un trattato De potestate et cursu solis et lunae, iniziando anche la stesura di un De ludis Romanis, entrambi perduti; la seconda opera restò interrotta dalla morte del C., avvenuta a Roma verso la fine del 1529 o agli inizi del 1530.
In quel periodo Clemente VII era a Bologna, e la morte del C. fu tenuta nascosta da quanti aspiravano a succedergli nei suoi benefici ecclesiastici: fu così sepolto segretamente e senza onori, e ai letterati suoi amici fu fatto credere che fosse in Toscana a fare cure termali. Un epitaffio che allude al fatto, riferito dal Giovio negli Elogia, fu scritto per lui da Pietro Mirteo.
Oltre agli scritti già citati, molt'altro della copiosa produzione letteraria del C. dovette andare perduto: nulla sappiamo di un "laboriosum... opus selectorum ex bonis auctorum ad studiosorum utilitatem" e di un "compendium" di cui parla il Giraldi, né di un lugubre "carmen" in compianto dell'allievo Giovanni Bonifacio, morto subito dopo il Sacco, cui accenna il Valeriano; non sono note, infine, le ragioni che spinsero il Cotta ad attribuirgli i Carmina ad Pasquillum stampati a Roma nel 1510 dal Mazzocchi (cfr. Ascarelli, p. 37 n. 19). La lunga attività rese il C. un personaggio assai noto nell'ambiente letterario romano, ricordato quindi da quanti si fecero storici della vita accademica contemporanea: il Giovio ne parla negli Elogia e nel Dialogus de viris litteris illustribus (quest'ultimo in G. Tiraboschi, VII, 4,p. 1601), F. Arsilli nel De poetis urbanis (ibid., p. 1578); il Valeriano nel De litteratorum infelicitate lo pone tra gli interlocutori del secondo libro. Dei rapporti del C. con molti altri letterati già si è accennato: resta da aggiungere che egli fu anche in corrispondenza con l'Alciato (Barni, p. 28) e con Stefano Sterponi (cfr. Stephani Pisciensis Epistolae nel cod. 911 della Bibl. Riccardiana di Firenze, ff. 53-88), e in rapporti amichevoli con Giovanni Antonio Arimondo, che gli donò un codice miniato del sec. XV contenente il De finibus e altri scritti di Cicerone, ora codice D 97 sup. della Bibl. Ambrosiana di Milano (Cipriani, p. 31).
Il C. non va confuso con l'omonimo contemporaneo di Salò, che fu medico famoso e servì alla corte imperiale; in quanto al fratello del C., Giacomo, cui sono dedicate le redazioni manoscritte dei Coryciana, è forse identificabile col giurista novarese Giacomo Cattaneo, segretario dello Studio pavese, citato dall'Alciato in una supplica all'imperatore del 1540 e in un'altra al governatore di Milano del 1541 (Barni, pp. 186 e 188; Cotta, pp. 137 s.).
Fonti e Bibl.: P. Giovio, Elogia doctorum virorum…, Antverpiae 1557, p. 173; L. G.Giraldi De poetis nostrorum temporum dialogus I, in Opera, II, Basileae 1580, p. 393; G. P. Valeriano, De litteratorum infelicitate, a cura di D. Egerton Brydges, Genevae 1821, pp. 39, 47 s.; I due primi registri di prestito della Bibl. Apost. Vaticana…,a cura di M. Bertola, Città del Vaticano 1942, pp. 78, 84, 64* (autografo)*, 70*; A. Alciato, Le lettere…, a cura di G. L. Barni, Firenze 1953, ad Indicem;Bibl. Ap. Vat., Vaticana lat. 9266: G. M. Mazzuchelli, Gli scrittori d'Italia, f 297v; L. A. Cotta, Museo novarese, Milano 1701, pp. 174 ss. (cfr. la recensione in Giornale de' letterati d'Italia, III[1712], p. 244); G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VII, 4,Venezia 1796, p. 1298; G. Marini, Lettera... nella quale s'illustra il ruolo de' professori dell'Archiginnasio romano per l'anno MDXIV, Roma 1797, p. 15; R. Sabbadini, Storia e critica di alcuni testi latini, in Museo italiano di antichità classica, III (1890), p. 357; G. Bertolotto, "Genua" poemetto di G. M. C.,in Atti della Società ligure di storia patria, XXIV (1991), pp. 728-818 (il poemetto è riedito a pp. 753-770; sul saggio cfr. la recensione in Arch. stor. ital.,s. 5, XV [1895], p. 220); E. Motta, Demetrio Calcondila editore, in Arch. stor. lomb., XX (1893), p. 157; F. Ascarelli, Annali tipogr. di G. Mazzocchi, Firenze 1961, pp. 33 n. 12, 80 s. n. 77, 116 ss. n. 107; R. Cipriani, Codici miniati dell'Ambrosiana, Milano 1968, p. 31.