CAPELLA, Giovanni Maria
Sarebbe nato, stando al Lancetti, a Cremona nel 1520. Questa data per altro desta notevoli perplessità, se è vero che il C. morì consunto dalla vecchiaia, come affermano gli Annales di Giani-Garbi.
Del resto le tappe della sua stessa ascesa nelle cariche della Congregazione dell'Osservanza (dell'Ordine dei servi di Maria), in cui entrò adolescente, sembrano confermarne la scarsa attendibilità. Nel 1544 predica a Venezia, ed è già maestro in teologia. Come predicatore è ricordato ancora nei documenti conventuali di Venezia per gli anni 1546 e 1558. Nel 1547 è eletto vicario generale della Congregazione dell'Osservanza, e sotto la data del 21 aprile dello stesso anno vengono a lui inviate dal generale A. Bonucci, allora impegnato a Bologna nel concilio, le lettere patenti confermanti la carica. Tale ufficio egli ricoprì sino al 1549 e, ancora, dal 1550 al 1552 e, infine, nel 1570, anno della soppressione della Congregazione.
Su proposta del cardinal Alessandro Farnese, protettore dell'Ordine, fu da Pio V, il 14 ottobre dello stesso anno, nominato a vita socio del priore generale (come risulta da una lettera del vescovo di Bagnorea a lui indirizzata). Rinunciò a tale carica nel 1574, in concomitanza con il breve di Gregorio XIII (20 apr. 1574) con cui si stabiliva la concordia definitiva fra Osservanza e Ordine dei servi di Maria. Priore nel 1551 nel convento di S. Maria della Consolazione di Ferrara, nel 1556-57 si trovava nel convento di S. Vittore a Cremona. Dopo questo periodo il C. dovette vivere per diversi anni a Venezia. Fu qui infatti che il sacerdote Ambrogio Morelli affidò l'adolescente nipote Paolo (allora Pietro) Sarpi alle cure del C., il quale gli insegnò logica, iniziandolo agli studi di filosofia e teologia. E fu ancora il C. ad occuparsi degli studi del Sarpi, una volta entrato questo in convento nel 1566, e a seguirlo durante il noviziato.
È quasi certo che fu per suggerimento del C. che il Sarpi diciassettenne difese durante il capitolo generale dell'Osservanza tenuto a Mantova nell'anno 1569, per dirla con il Micanzio, "318 delle più difficili proposizioni della Sacra Teologia, e della Filosofia Naturale". Fu in seguito a questa disputa che il duca di Mantova Guglielmo chiese ai superiori il trasferimento del Sarpi nel convento di S. Barnaba a Mantova, nominandolo poi suo teologo. Può sembrare strano che il giovane Sarpi precedesse, nella carica di teologo del duca, lo stesso suo maestro che appare ricoprire tale ufficio nel 1577.
Al nome del C. restano legati gli ultimi, disperati tentativi per mantenere autonoma nei confronti dell'Ordine dei serviti la Congregazione dell'Osservanza. Quando al capitolo generale di Cesena, il 15 maggio 1570, fu letta per ordine del cardinal Alessandro Farnese la bolla di Pio V relativa all'unione fra la Congregazione e l'Ordine, stando agli Annales, il C. "vehementer expavit et totus consternatus, extremam hanc suae Congregationis jacturam graviter indoluit". La sua immediata andata a Roma non sortì alcun effetto nonostante i numerosi colloqui con le personalità più in vista della Curia ("omnem lapidem Romae ad praefatam exturbandam unionem frustra movit"). Fu in questa occasione, contemporaneamente alla sua permanenza a Roma, che dagli osservanti di Santa Maria di Venezia fu inviata al doge una supplica poiché, essendo "il breve [di Pio V] sureptitio", ne fosse proibita in Venezia la pubblicazione "a fin che si possa meglio instruire Sua Santità".
Le tensioni che dovettero accompagnare questi anni traspaiono con malcelata chiarezza negli stessi Annales, làdove i padri della Congregazione rinfacciano ai conventuali la "fiorentinizzazione" dell'Ordine e il poco pulito procedere del generale Faldossi che avrebbe ottenuto la soppressione della Congregazione "inaudita parte". Al di là dei complessi problemi religiosi, politici e di politica ecclesiastica che giocarono nella soppressione della Congregazione, va riconosciuta al C., anche in questo frangente, una chiara e decisa coerenza. Gli stessi Annales non possono non riconoscere che egli diresse la Congregazione "digne et laudabiliter" e che in questa carica "strenue se gessit".
Morì nel convento di S. Vittore di Cremona, stando al Giani-Garbi, seguito dal Raffaelli e, recentemente, dal Montagna, il 24 sett. 1585; secondo l'Arisi invece, a cui si associa il Lancetti e anche il Branchesi, il 24 sett. 1582. Le scarse notizie relative alla vita del C. possono, in parte almeno, esser completate, dalle due opere di notevole respiro, che costituiscono la sola testimonianza della sua attività letteraria. Non è escluso per altro che, come per molti altri esponenti della Congregazione e dell'Ordine di questo periodo, altri suoi scritti siano rimasti inediti o siano andati dispersi, se vogliamo credere agli Annales che postillano: "multa Pater iste lucubravit, quae ad lucem non pervenerunt, ex quibus tamen duo edita fuerunt opuscula".
La prima opera del C. fu pubblicata a Ferrara nel novembre 1551, e fu stampata con estrema rapidità: solo due mesi intercorrono fra la data apposta alla dedica al cardinal Ippolito d'Este (20 settembre) e l'uscita del libro che reca il titolo Scriptum luculentissimum de satisfactione Iesu Christi et satisfactione nostra. La stampa avvenne "in conventu S. Mariae Consolationis, per magistrum Io. Mariam [forse lo stesso C.] et fratres eius de Nicolinis de Sabio". L'ipotesi, prospettata dal Rossi, secondo cui la stampa sarebbe avvenuta altrove e sarebbe stata "messa poi sotto quella denominazione" non sembra plausibile, tenuto conto che a f. 73 si legge, a proposito degli errori tipografici: "de quibus quaedam inter imprimendum praesentia nostra vel discipulorum nostrorum fuerunt emendata".
Il De satisfactione si inscrive in un periodo particolarmente tormentoso per Ferrara. La duchessa Renata non riusciva più a proteggere dall'Inquisizione nei territori di casa d'Este i contestatori della Chiesa romana: il 22 ag. 1550era giustiziato mediante strangolamento Fannio Fannini da Faenza e il 23 maggio 1551si aveva l'esecuzione di Giorgio Siculo. D'altra parte, se si spinge lo sguardo oltre Ferrara, non molti anni prima (1543), era uscito a Venezia il Trattato utilissimodel beneficio di Giesu Christo e proprio nel 1551 appariva a Basilea il Trattato dell'unicae perfetta satisfactione di Christo di Agostino Mainardi. Si tratta dunque di un'opera che affronta una tematica vivacemente dibattuta sia in ambito protestante-riformato sia in campo cattolico. Ma il C. è certamente tra i primi, se si eccettui il Gaetano che ha dedicato espressamente uno dei suoi Opuscula al De satisfactione (1534), ad affrontare in un volume esclusivamente questo argomento. Eppure non solo questo scritto, ma nemmeno il nome del C. trovano posto nella classica opera dedicata dal Lauchert ai controversisti italiani. E ciò può sorprendere, anche se il De satisfactione, scritto "stimulis atque obsecrationibus" di numerosi fedeli, è rivolto non contro Lutero, come afferma l'Arisi, ma contro gli eretici in generale di cui il C. aveva studiato a fondo le opere ("scripta quorum multa a nobis longo tempore preferito fuerunt inspecta diligenter", f. 72v). In questo lavoro che è strettamente intessuto di Scrittura, ma in cui non mancano supporti di pensiero agostiniani e tomisti, ma soprattutto scotisti (il Micanzio lo dice "particolarmente aderente alle opinioni dello Scoto, nella qual dottrina aveva pochi pari"), se si ha una dura critica alla dottrina del "sola fides" nel senso della necessità ineliminabile della soddisfazione da rendersi dall'uomo "pro peccatis temporaliter puniendis" (f. 32), è pur vero che si sostiene come la soddisfazione non sia attribuibile alla "virtù propria" dell'uomo, bensì alla "virtù della passione di Gesù Cristo". Così che solo "aliquo modo", "improprie", essa è ascrivibile al libero arbitrio, laddove "proprie" è dono di Dio, "perché procede dalla grazia". Non fa meraviglia dunque che si incontrino nell'opera espressioni che invitano i cristiani a meditare ogni giorno sul "beneficio amplissimo e magnifico [della passione di Cristo] sommamente necessario per la nostra liberazione" (f. 19v). Nonostante le diatribe istituzionali che dividevano la Congregazione dall'Ordine, si colgono qui delle note che appaiono anche in Agostino e Stefano Bonucci e nel Capitone, tutti e tre eminenti rappresentanti dei conventuali.
L'altra opera del C., uscita nel gennaio 1557 a Cremona "apud Vincentium Contem" e dedicata a Giacomo Gaudio, cremonese, reca il titolo: Opusculum de concordia nostrae verae libertatis,sive ad bonum sive ad malum in praesenti saeculo,cum immutabilitate praescientiae et divinae voluntatis atque cum infallibili certitudine praedestinatorum et reprobatorum. Un'altra edizione uscì a Venezia nel 1559 "in vico sanctae Mariae formosae ad signum Spei". In questa problematica estremamente dibattuta, il C. aveva avuto un predecessore nell'ambito stesso della Congregazione in fra' Girolamo da Mendrisio, che aveva pubblicato a Milano nel luglio 1530 una Quaestio de compossibilitate infallibilis scientiae Dei atque contingentiae rerum... . L'opera del C., che non è diretta contro persone particolari di eretici, è impregnata di Scrittura e segue, per esplicita confessione del C. nella "Authoris praefatio", le orme di Agostino, di s. Anselmo, di Severino Boezio (nell'ordine). Non mancano per altro numerosi rinvii a Tommaso e Scoto. Anche per questo complesso di problemi, in armonia con le conclusioni a cui era giunto nel De satisfactione, il C.sottolinea come l'uomo possa da solo operare il male, ma non sia capace con le sue forze di attuare il bene che si realizza "principaliter praeveniente Dei auxilio et subsequente" (f. 41). Ciò senza condannare, anzi mostrando una certa simpatia per le opinioni dei teologi che ritenevano il problema "pro statu isto non posse intelligi et minus deciarari ab hominibus" (f 48).
Queste due opere sono sufficienti a far comprendere come il C. seguisse con viva sensibilità e profonda competenza i problemi del suo tempo, non solo, ma cercasse di affrontarli, in sintonia (e forse anche in appoggio) con le personalità più aperte presenti al concilio di Trento, riportando il discorso sul piano della Scrittura interpretata alla luce dei Padri in una prospettiva di pensiero teologico-filosofico, mai però invadente, che potremmo definire di ispirazione agostiniano-scotista.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. Gen. O.S.M., Registra Priorum Gener., Fondo Fiorentino, 27 (A. Bonucci) , f. 151; 31 (S. Bonucci), ff. 5 ss.; 32 (A. Morelli), ff. 155-186; 33 (G. Tavanti), ff. 162, 165 ss., 172; Ibid., Uomini illustri,Privilegi, C., filza 3, ff. 49, 49bis, 49tris; Ibid., Mantova Provincia e Diversi, cod. 227, tomo 89, ff. 159 ss., 244 ss.; Ibid., Centones Callisti Palombella,Scriptorum Ordinis Calendarium Histor. Ord., f. 39; Ibid., Catal. dei principali scrittori dell'Ordine de' servi di Maria compilato da p. Lottaringo Raffaelli del medesimo Ordine, f.20; Cremona, Bibl. com. V. Lancetti, Biografie cremonesi (schede mss. redatte tra il 1500 e il 1820); Annalium Sacri Ordinis Fratrum Servorum B. Mariae Virginis, a cura di A. Giani-L. Garbi, II, Lucae 1721, pp. 146 s. 160, 221, 257, 276; A. Vicentini, Vicari generali della Congregazione de' servi, Roma 1925, pp. 11 s.; Id., I servi di Maria nei documenti e codici veneziani, II, 1, Vicenza 1932, pp. 61, 63; I, 1, ibid. 1933, pp. 206 s.; Memorabilium Sacri Ordinis Servorum B.M.V. Breviarium, a cura di A. F. Piermei, IV, Romae 1934, pp. 34, 160 ss.; Ph. Tozzi, De scriptoribus Ordinis Servorum B.M.V., a cura di P. Branchesi, Bologna 1964, p. 37; F. Arisius, Cremona literata, II, Parmae 1706, p. 204; F. Micanzio, Vita del padre Paolo Sarpi dell'Ordine de' servi, in Opere di p. Paolo Sarpi servita, VI, Helmstat 1765, pp. III-V; A. Bianchi-Giovini, Biografia di fra' Paolo Sarpi, I, Zurigo 1846, pp. 5 ss.; E.Rodocanachi, Renée de France duchesse de Ferrare, Paris 1896, pp. 198-222; B. Fontana, Renata di Francia, I, Roma 1899, pp. 227 s.; F. Lanzoni, La Controriforma nella città di Faenza, Firenze 1925, pp. 89-101; F. C. Church, I riformatori italiani, I, Milano 1967, pp. 291-303; A. M. Rossi, Manuale di storia dell'Ordine dei servi di Maria..., Roma 1956, pp. 94, 313, 545, 549, 577, 578, 813, 814; P. Branchesi, Edizioni del sec. XVI (1501-1600), in Bibl. dell'Ordine dei servi, II, Bologna1972, pp. 134 s.; D. Montagna, Studi e scrittori dell'Osservanza dei servi, ibid., pp. 305 s., 311.