BENEDETTI, Giovanni Maria
Nacque a Siena, presumibilmente nell'ultimo decennio del sec. XV. "Di casa ignobile" lo dice il governatore mediceo Agnolo Niccolini in un dispaccio al duca Cosimo del 30 ag. 1560 (Bandini, p. 92) e il contemporaneo Sozzini ricorda che era "detto sopra nome Giovan Maria Giramondo per li tanti viaggi che nelli suoi giorni aveva fatti" (p. 42). Di tali viaggi tuttavia si sa ben poco; di quello che dovette essere il più importante e avventuroso serba memoria soltanto una tarda lettera di un amico del B., il giurista e letterato senese Claudio Tolomei: da ciò che questi scriveva a Gabriel Cesano il 20 giugno 1544 sembra che il B. abbia partecipato nel 1519 alla prima spedizione messicana di Fernando Cortés e che con i conquistadores sia rimasto almeno sino al 1524, al momento cioè della fondazione di Vera Cruz, che egli stesso anzi avrebbe consigliato. Queste notizie non trovano tuttavia conferma nelle fonti spagnole, inclini del resto ad ignorare il contributo degli stranieri alle prime vicende del Nuovo Mondo.
Dopo questo primo, oscuro periodo si perdono le tracce del B. per circa un ventennio. là ancora l'epistolario del Tolomei a darne poi un qualche rapido cenno in alcune lettere del 1543 allo stesso B. dalle quali non pare che questi intendesse rinunziare alla sua vita errabonda: "subbito volevate ire a Bologna, e da Bologna a l'abboccamento del Papa e de l'Imperatore; e di quello volevate pigliare alto mare" (p. 60) e ancora: "mi dite che volete volare, non so se nel Bagadat o nel Tenústitan o a le Moluche" (ibid.). Che ne fosse di questi fantasiosi progetti non è dato sapere: anche per gli anni successivi infatti le notizie sul B. continuano incerte e frammentarie. Visse per qualche tempo alla corte romana, entrando al servizio del cardinale di Tournon, probabilmente in qualità di segretario. Fece poi ritorno a Siena dove si trovava nel 1550, quando la tutela spagnola cominciò ad inasprirsi e a suscitare le prime reazioni in nome della "libertà senese".
Sin da questo momento il B. si mise in evidenza come uno dei più decisi oppositori dei programmi egemonici di don Diego de Mendoza, tanto da acquistarsi, malgrado l'origine plebea che gli rendeva più difficile la cosa, un forte ascendente sulla parte della nobiltà cittadina più tenacemente legata alle tradizioni di autonomia della Repubblica. Tale ruolo direttivo toccò al B., oltre che per la sua forte personalità, anche per le relazioni che egli aveva saputo allacciare a Roma con il partito francese che faceva capo al Tournon e al cardinale Ippolito d'Este; tali relazioni gli permisero infatti di tenere, nel corso dei due anni che furono necessari per decidere l'intervento della Francia nella questione senese, le fila delle intricate manovre e trattative tra i rappresentanti della politica francese in Italia e i personaggi che capeggiavano clandestinamente in Siena il partito antispagnolo.
Un primo personale tentativo presso i Francesi fece il B. nell'invemo del 1550, allorché si recò a Parigi per prendere contatto con il senese Pier Antonio Pecci, che era al servizio della regina Caterina de' Medici.
Tornato dalla Francia, il B. riprese il, proprio servizio presso il cardinale di Tournon. Secondo un contemporaneo risale a questo nuovo suo soggiorno romano "l'opera che componeva contro Aristotele e suoi seguaci", la quale nella primavera del 1551 era "a buon termine, e di già ne aveva parlato alli stampatori per darla quanto prima in luce" (La cacciata della guardia spagnola da Siena, p. 492). Questo scritto deve essere probabilmente identificato con un Discorso contro le meteore di Aristotele, che tuttavia non pare fosse mai pubblicato e del quale resta un manoscritto nella Biblioteca Ambrosiana di Milano, H 55 inf., cc. 1-36.
L'opera sarebbe stata usata dal B., secondo la stessa fonte, come veicolo di propaganda antispagnola e come chiave per la sua corrispondenza in codice con gli amici politici senesi: "il quale modo giudicavano più sicuro perché già in quel tempo aveva fatti certi scritti contro Aristotile, per il quale intendeva Don Diego, e per li stampatori li Francesi; e li aveva non solo mostrati al Mendozza, ma studiosamente gli aveva sparsi e pubblicati per Siena e per Roma" (ibid.).
Malgrado la singolarità del personaggio il Tournon non gli lesinò la sua fiducia, mostrandosi incline alle sue richieste di un intervento francese a Siena; a questo il B. garantiva l'appoggio della cittadinanza "e si prometteva particolarmente di alcune nobili e potenti casate. che nel bisogno non avrebbono mancato d'efficacissimo risentimento" (ibid., p. 485).
II Tournon decise perciò di affidare al B. i primi contatti con gli oppositori senesi del Mendoza e nel maggio del 1551 l'esule tornò clandestinamente nella sua città abboccandosi con alcuni influenti personaggi: i fratelli Girolamo e Lelio Tolomei, congiunti di Claudio, anche lui costretto all'esilio dall'ostilità del Mendoza, e M. A. Amerighi.
Le assicurazioni che il B. poté dare a costoro sulla probabilità di un appoggio francese ad una sollevazione antispagnola furono decisive nell'allargare e rinsaldare le fila della congiura. A questa aderì subito, tra gli altri, anche uno degli esponenti del governo senese controllato dal Mendoza, A. Amerighi, il quale non esitò a porsi a capo del complotto. Recatosi a Roma, prese accordi diretti per mezzo del B. con il Tournon e conl'agente francese, il vescovo di Mirepoix Claude la Guiche; la liberazione di Sìena cominciò così ad uscire dalla fase di un progetto nato dalla fertile e inquieta fantasia di un avventuriero per passare a quella della realizzazione. Questa, tuttavia, fu ritardata dall'intervento francese nella guerra tra Ottavio Farnese e il papa.
Durante questa campagna, nell'estate del 1551, il cardinale di Tournon abbandonò Roma trasferendosi a Venezia e interrompendo di fatto le trattative senesi. Non così il B., che pur seguendo il cardinale, continuò a mantenere i contatti con l'Amerighi e con gli altri congiurati e a tentare di sollecitare una decisione francese, redigendo memoriali ad Enrico II "proponendoli tutte quelle cose opportune e necessarie a recuperare la già perduta libertà di Siena, e recuperata mantenerla" (Sozzini, p. 54), guadagnando alla congiura altri eminenti personaggi senesi, come Giulio Vieri e Giuseppe Palmieri, prodigandosi nuovamente, durante un soggiorno a Ferrara, presso Ippolito d'Este per averne l'appoggio influente, tornando per breve tempo a Roma per incontrarvi ancora clandestinamente l'Amerighi. Quando, nel febbraio del 1552, il Tournon riprese il suo posto a Roma per condurre le trattative di pace tra Giulio III e i franco-farnesiani, non volle che il B. lo accompagnaàse, "acciò fuggisse il risico di capitar male" (ibid., p. 62): nell'ottobre precedente, infatti, il Mendoza aveva fatto arrestare a Roma Cesare Vaiari, un senese noto per i suoi sentimenti antispagnoli, e il cardinale temeva che il nome del B. fosse risultato dagli interrogatori di costui; in effetti di lì a poco, l'8 marzo 1552, il Mendoza lo fece dichiarare ribelle dalla Bafia senese, che lo condannò al bando. Il B. rimase così a Ferrara presso Ippolito d'Este e continuò nel suo instancabile lavorio, il quale ebbe un peso certamente notevole nell'organizzazione della dieta di Chioggia. Dal 15 al 18 luglio 1552 si riunirono nella cittadina veneta i massimi esponenti della politica francese in Italia, il Tournon, l'Este, il maresciallo Paolo di Termes, comandante dei Francesi nella guerra di Parma, l'ambasciatore a Venezia Odet de Selve e il vescovo di Mirepoix, per concordare con i fuorusciti toscani, lombardi e napoletani una nuova iruziativa militare francese, resa possibile dalla disponibilità dell'esercito reduce dalla guerra di Parma. Contro la proposta di attaccare massicciamente le posizioni spagnole nello Stato di Milano e contro l'altemativa sostenuta dal principe di Sanseverino di una spedizione nel Regno di Napoli, il B. riuscì a convincere gli agenti francesi all'intervento su Siena.
Alle successive vicende militari che portarono alla liberazione di Siena non pare che il B. abbia partecipato. Ricostituita l'organizzazione politica della Repubblica, egli partecipò attivamente ai lavori del Consiglio Grande, al quale le sue benemerenze gli ottennero eccezionalmente l'ammissione malgrado l'origine plebea.
Ma il B. era troppo inquieto per starsene pago della nuova situazione: neanche un anno dopo egli era ancora il protagonista di un complotto, questa volta contro il cardinale Ippolito d'Este, luogotenente del re di Francia in Siena. Nell'agosto del 1553 un gruppo di cittadini decise di mandare ad Enrico II un memoriale di protesta contro l'atteggiamento tutorio che il cardinale assumeva nei riguardi della Repubblica accusandolo persino di volersi "fare tirano" (Pacifici, p. 231) della città. Latore a Parigi del memoriale avrebbe dovuto essere il B., ma questi prima che riuscisse a lasciare Siena fu arrestato e trovato in possesso del compromettente documento. Ne seguì un lungo processo nel quale il B. e gli altri autorevoli cittadini implicati nell'episodio ribadirono fermamente le loro accuse al cardinale: questi, per evitare che lo scandalo dilagasse, rinunziò a calcare la mano contro i suoi accusatori, limitandosi a farli condannare al bando, misura che poi Enrico II fece revocare.
Lo stesso cardinale interpretava correttamente il significato dell'episodio, quando riferendosi ad esso scriveva che "malamente si può sperare di veder questa terra senza qualche disturbo perché l'humor nel quale ella pecca è più tosto naturale che accidentale" (ibid., p. 232): e in effetti nei protagonisti di questa vicenda, e nel B. in particolare, irregolare e inquieto, insofferente di ogni disciplina e politicamente incapace di qualsiasi programma che non fosse quello della protesta e della ribellione, si ripeteva l'antica ostilità dei Senesi ad ogni autorità che ledesse in qualche modo le "libertà" comunali, il particolarismo fazioso e il municipalismo che impedirono alla Repubblica di darsi una autentica organizzazione politica, capace di confrontarsi con la nuova realtà degli Stati, e che perciò ne provocarono ineluttabilmente la rovina.
Durante le ultime drammatiche vicende della Repubblica il B. era a Roma, più che mai scontento degli antichi amici francesi. Scriveva amaramente a M. A. Amerighi il 1° apr. 1555: "Non ebbi mai speranza che le cose della città nostra per mezzo degli aiuti di questi agenti francesi avessino aver buon fine per via di guerra... Mai ho creduto alle loro parole e promesse ché sempre li ho trovati bugiardi in tutte le cose che facevano di bisogno... oggi si vergognano di averci così mal condotti e non poter aiutarci o vogliono che noi ci abbandoniamo di non andar più innanzi perché tengon le orecchie chiuse alle nostre parole e solo attendono al papato". E riferendosi alle ultime speranze senesi di un soccorso da parte dell'esercito di Lombardia del Brissac, concludeva con una minaccia patetica nella sua impotenza: "Se fra otto giorni non veggo niente di buono dirò o scaricherò l'animo mio dove così mi parrà" (Cantagalli, p. 419).
A Roma pare che il B. fosse tornato al servizio del Tournon e a Roma dovette trascorrere gli ultimi suoi anni, facendo parte della confraternita di S. Caterina, nella quale ebbe la carica di priore. Di una sua riapparizione a Siena parla, nella lettera citata del 30 ag. 1560, il governatore mediceo Niccolini, il quale proponeva a Cosimo l'arresto del B., "il più tristo huomo e maggior girondolatore dì questa natione... perché dall'osservarlo semplicemente se ne ha a trarre poco costrutto avendo a trattare con Senesi che - ancorché non sìeno nell'intelligentia - non sono costumati a sopportare alcuna cosa in benefitio nostro" .
Da questo momento non si hanno più notizie del Benedetti.
Fonti e Bibl.: C. Tolomei, Delle lettere... lib. sette, Venezia 1547, pp. 60, 63, 116, 118v-119, 151v; A. Sozzini, Il successo delle rivoluzioni della città di Siena d'imperiale franzese e di franzese imperiale, a cura di G. Milanesi, in Arch, stor. ital., II (1842), pp. 42 ss.; La cacciata della guardia spagnola da Siena d'incerto autore, a cura di G. Milanesi, ibid.. pp. 479 ss.; O. Malavolti, Historie di Siena, Venezia 1599, III, p. 160; G. A. Pecci, Memorie storico-critiche della città di Siena, III, Siena 1758, pp. 257 ss.; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, pp. 818 s.; F. Bandini Piccolomini, Un Senese fondatore di una città in America?, in Miscell. stor. senese, III (1897), pp. 91 s.; L. Rornier, Les origines politiques des guerres de religion. I. Henri II et l'Italie, Paris 1913, pp. 317, 321 s., 381; V. Pacifici, Ippolito II d'Este cardinal di Ferrara, Tivoli 1920, pp. 206 s., 232; R. Cantagalli, La guerra di Siena, Siena 1962, pp. 10-12, 14, ss, 56, 57. 154, 261, 418.