ANGIOLELLO (Degli Angiolelli), Giovanni Maria
Nacque a Vicenza tra il 1451 e il 1452, da Marco di Bartolomeo.
Gli Angiolelli (Ancelello, De Anzolellis, Angiolellus) erano nel XIII secolo fra le più antiche e più ragguardevoli casate di Bologna. In seguito alle lotte dei gueffi e dei ghibellini, scoppiate in quella città tra le maggiori famiglie, in specie tra i Geremei e i Lambertacci, una parte degli Angiolello dovette abbandonare Bologna e si trasferì a Verona e a Vicenza, dove essi riacquistarono in breve una posizione eminente e ricoprirono importanti uffici. A Vicenza abitavano "nell'angolo tra il Soccorsetto ed il Corpus Domini ed avevano sepolcro in Santa Corona. La lor insegna era di verde, a tre aquile d'oro, coronate dallo stesso, disposte 1 e 2" (cfr. S. Rumor, Il blasone vicentino, in Miscellanea di storia veneta, XI, 5, Venezia 1899, p. 17). Il capostipite degli Angiolelli vicentini può considerarsi Gregorio. Questi ebbe un figlio di nome Bartolomeo, nonno di Giovanni Maria.
Della prima giovinezza e della camera. di studi dell'A. non sappiamo nulla. La prima notizia sicura risale all'anno 1468, come si ricava dal manoscritto, pubblicato da A. Capparozzo per la prima volta, Come l'anno 1468 io Francesco et Gio. Maria mio fratello degli Anzolelli vicentini, partimmo da Vicenza a' dì 5 Agosto per lo vigggio di Negroponte, et quello che ne incontra fino alla ritornata (Di G. M. A. e di un suo inedito manoscritto, Vicenza 1881, per nozze Lampertico-Balbi). In quella data egli partì col fratello maggiore Francesco alla volta di Negroponte, minacciata dagli Ottomani, presumibilmente per prendere parte ai combattimenti. 16 probabile che prima, a Vicenza, egli seguisse gli studi classici e fosse scolaro del noto umanista Ogniben Leoniceno (cfr. S. Savi, Memorie antiche e moderne intorno alle pubbliche scuole in Vicenza, Vicenza 1815, pp. 30 ss.), ma non c'è alcun documento che lo confermi. Suo fratello Francesco aveva imparato il mestiere delle armi e prestava servizio al soldo di Venezia come capitano di fanteria. Nell'estate del 1470 durante l'assedio di Negroponte - posto alla città dal sultano Maometto II perdette il fratello in battaglia e il 2 luglio cadde in mano dei Turchi, che lo portarono via come schiavo, poiché apparteneva alla schiera dei "giovinetti" minorenni, cui il sultano aveva voluto lasciar salva la vita. Insieme con innumerevoli compagni di sventura, egli seguì il vittorioso Maometto II nella marcia attraverso la Grecia e la Tracia fino a Costantinopoli; qui, al più tardi nel 1472, fu assegnatoa Mustafâ-Celebi, secondogenito del sultano e suo figlio prediletto. Questi comandava allora la parte delle forze militari ottomane che venne impegnata nella lotta contro il sovrano del Montone Bianco, Uzun Hasan, alleato della Serenissima.
I particolari delle vicende vissute dall'A. in questo periodo si apprendono da una parte più antica e più completa della Historia Turchesca dello stesso A., che venne pubblicata da G.B. Ramusio, col titolo Breve narrazione della vita et fatti degli Scià di Persia Ussun Hassan e Ismaele, nella celebre raccolta Navigazioni e viaggi, II, Venezia 1559, p. 65, e di cui si servì anche P. Giovio (Gli elogi, vite brevemente scritte d'uomini illustri, Venezia 1559, p. 252). La sua Breve narrazione, che fu edita per la prima volta nel settembre del 1490 da Leonardo da Basilea assieme alla grammatica greco-latina di Costantino Lascaris, ma che è andata perduta (cfr. D. Facciolì, Catalogo dei libri stampati in Vicenza e suo territorio nel secolo XV, Vicenza 1796, p. 47, dove si trova citato questo incunabolo, molto prima dunque che su di esso richiamasse l'attenzione G. Weil, Ein verschollner Wiegendruck von G.M.A., in Westöstliche Abhandlungen Rudolf Tschudi zum siebzigsten Geburtstag überreicht, Wiesbaden 1954, pp. 304-314), è la fonte occidentale più importante per la storia delle guerre che si svolsero a quel tempo tra Maometto II e Uzun Hasan e al cui esito il mondo occidentale guardava con ansiosa speranza.
Quando, alla fine del 1474, il principe Mustafâ morì all'improvviso a Boru - non lontano da Nigde -, l'A. mutò padrone e passò nel palazzo del sultano a Costantinopoli. Qui divenne tesoriere del Serraglio, ebbe cioè un incarico di fiducia, che gli consentì anzitutto di guardare a fondo nella situazione finanziaria di corte. Nella sua qualità di tesoriere (defterdâr) doveva accompagnare il sultano dappertutto e tenere un libro "de tute le sue intrade". Si può dare per certo che alla corte del sultano egli esercitasse anche le funzioni di lettore, che godesse quindi di una posizione privilegiata, in virtù della quale poté seguire molto da vicino e molto in profondità le vicende della storia ottomana dal1475 alla morte del sultano (3 maggio 1481). Le sue relazioni, stese certo in una lingua disadorna, sono perciò di particolare importanza per la conoscenza delle campagne militari ottomane effettuate sotto Maometto II il Conquistatore. Egli prese parte di persona a parecchie di esse; fra le altre a una contro Stefano il Grande di Moldavia (1476), nonché alla guerra combattuta nella Bosnia contro gli Ungheresi (1476-77). Anche quando, nella primavera del 1481, il sultano si mosse alla volta dell'Anatolia e morì inaspettatamente, l'A. si trovava al suo fianco. In che modo egli passasse poi al servizio del nuovo sultano Bàyazêd II, non è riferito nei particolari, né lui stesso si dilunga sull'argomento nella sua Historia Turchesca, almeno nelle redazioni finora note.
È infondata l'ipotesi, sostenuta dal Reinhard, che l'A. si trovasse già da prima al seguito di Uzun Hasan, come si ricava, a parte il resto, già dal semplice confronto col capitolo 27 del viaggio in Persia di Giosafat Barbaro, stampato per la prima volta a Venezia nel 1487 pei tipi di A. Fosio, forse assieme al viaggio di A. Contarini, un'opera di cui purtroppo è andato perduto l'incunabolo. Da questa fonte l'A. ha attinto lunghi passi, che ha inserito nella propria narrazione, lasciando inalterato l'uso della prima persona (cfr. N. Di Lenna, Giosafat Barbaro e i suoi viaggi nella regione russa e nella Persia [1474-78], in Nuovo Arch. veneto, n. s., XXVIII [1914], pp. 80 s.).
L'A. deve essersi allontanato dalla Turchia, di nascosto o per consenso, fin dai primi anni di governo del nuovo sovrano ottomano. È certo che intorno all'anno 1483 si trovava di nuovo nella sua città natale, Vicenza. Le sue vicende a cominciare da questo momento sono alquanto oscure. Se è vero, come sostengono i suoi biografi, che egli rimase in Turchia "cercha anni 20", non sarebbe potuto ritornare in patria che verso l'anno 1490.
Contrastano però con questa ipotesi anzitutto le sue vicende familiari. Fu allora infatti che egli si sposò; e dal matrimonio nacquero parecchi figli. Secondo l'Arch. notarile di Vicenza (Matricola, reg. 3, c. 32 e reg. 5, c. 1r e 3r), tra il 1515 e il 1525 furono iscritti al collegio dei notai tre figli suoi, di nome Francesco, Marco e Antonio: in tal caso è difficile che fosse ritornato definitivamente a Vicenza soltanto nel 1490. Si sa che una figlia, il cui nome non è finora accertato, andò sposa a G. B. Zuffato, mentre l'unico figlio superstite, Francesco, divenne medico e sposò Cecilia, figlia del noto medico padovano Lodovico Zuffato.
Da questa unione nacquero due figli, Antonio Maria e Giovanni Paolo, che era ancora vivo nel 1589 e continuò la discendenza, il cui ramo maschile si estinse nel secolo XVIII. Gli altri due figli Marco e Antonio pare morissero in giovane età.
Se l'A. visse veramente in Persia per qualche tempo, questo dovette avvenire intorno all'anno 1482, cioè subito dopo la morte di Maometto II A quell'epoca egli dovette dimorare a Tabriz, ossia alla corte del figlio di Uzun Hasan, ed è presumibile che si trovasse là per incarico della Signoria, a cui stava particolarmente a cuore mantenere rapporti con il nemico implacabile degli Ottomani. In questa veste o in quella di mercante egli dovette, con ogni probabilità, intraprendere un secondo viaggio in Persia negli anni 1499-1515.
Non c'è alcuna conferma all'ipotesi talvolta formulata che l'A. sia l'autore della Relazione sulle cose dei Turchi di un mercante veneziano partito per Costantinopoli (in A. Manuzio, Viaggi fatti da Vinetia alla Tana, in Persia, in India et in Costantinopoli, Venezia 1543, pp. 121 ss.). Questo mercante indica come anni del suo soggiorno in Persia il periodo compreso tra il 1507 e il 1520, un'epoca cioè in cui l'A. era già avanzato d'età e dal 1517 presidente del collegio dei notai (cfr. Archivio notarile di Vicenza, Matricola, reg. 4, anno 1517, c. IV). Questa carica eminente l'A. dovette ricoprirla fino alla morte, di cui si ignora la data precisa. In ogni caso la sua morte avvenne poco prima del 1525. Le ultime notizie della sua vita infatti risalgono all'agosto del 1524. Morì in poco agiata condizione di fortuna e lasciò la sua famiglia in condizioni modeste. Non è sicuro il luogo della sua sepoltura, ma presumibilmente fu tumulato, come i suoi avi, nella tomba di famiglia in Santa Corona, l'antica chiesa domenicana di Vicenza.
L'A., come discusso autore della cosiddetta Historia Turchesca, ha riacquistato notevole importanza nella cerchia degli storici, specie negli ultimi decenni, ma già nel secolo XVII aveva riscosso grande stima ed elogi come profondo conoscitore della storia turca. L'opera, che finora si conosce da tre manoscritti (Parigi, Biblioteca Nazionale, ms. ital. 1238; Parigi, Archivio dei Ministero degli Affari Esteri, cod. misc. Turchia nr. 2, cc. 410-517; Milano, Biblioteca Ambrosiana, R. 119, sup. ff. 181 ss.), ai quali si dovrebbe forse aggiungere come traduzione e rielaborazione il manoscritto spagnolo fds. esp.3 49 della Biblioteca Nazionale di Parigi, costituisce senza alcun dubbio una delle fonti di maggiore importanza, non tanto per la più antica storia ottomana, quanto piuttosto per i sultanati di Maometto II e di Bàyazêd II e fu sfruttata spesso ed esaurientemente proprio per lo studio e per la narrazione storica di quel periodo. Questo, specialmente dopo la pubblicazione - curata da Ioan Ursu - del documento parigino ms. ital. 1238della Bibl. Naz. di Parigi, collazionato col manoscritto dell'Archivio dei Ministero degli Affari Esteri e edito sotto il titolo, Historia Turchesca (1300-1514), Bucarest 1910.
Tutto l'impegno messo da L'Ursu nel suo lavoro non ha purtroppo eliminato, la necessità di un'edizione a base scientifica. I. Ursu sostiene che questa cronaca non risale affatto all'A., bensì al nobile veneziano Donato da Lezze, ma il suo articolo (Uno sconosciuto storico veneziano del secolo XVI, Donato da Lezze, in Nuovo Arch. veneto, n. s., X, t. XIX [1910], pp. 5-24) non ha trovato consensi.
Certo è che l'A., il quale non era né un dotto né un diplomatico, ma secondo le apparenze un mercante, e che come tale ritornò in Oriente, fu uno scrittore senza ambizioni e quindi anche privo di eleganza, che non poté mai avere avuto l'intento di conquistarsi gloria letteraria. Nonostante la sua lunga permanenza nell'iinpero ottomano, l'A. rimase libero da preconcetti e cristiano. Ammesso pure che egli non possa in nessun caso considerarsi l'unico compilatore dell'intera Historia Turchesca - problema che d'altronde si potrebbe risolvere in modo soddisfacente solo dopo un approfondito confronto dei manoscritti a noi pervenuti (cfr. J. Reinhard, Édition de J.M. Angiolello, I, Ses manuscrits inédits, Besançon 1913) -, rimane indiscusso che le parti dell'opera essenziali da un punto di vista scientifico sono uscite dalla sua penna.
Oltre alla Histona Turchesca si attribuiscono all'A. altre opere. È del tutto infondato però considerarlo traduttore del Corano, che egli avrebbe tradotto dal turco (!) in italiano. Uno scritto - a quanto pare perduto -, De caelo et mundo,a giudicare dal titolo ha un contenuto diverso da quello degli altri lavori dell'Angiolello. Tra questi si ricorda in particolare il Testamento fatto da Maometto ad Haly, in cui l'A. voleva divulgare in lingua italiana il presunto testamento del profeta, da lui indirizzato al proprio genero 'Alê, attingendolo, ad una versione turco-sciitica certamente apocrifi. Si decantano in esso le virtù del buon Muslim e i particolari emergono evidenti dalla prima edizione che ne fece il Reinhard - basandosi sul ms. lat. XIV.123, trascrizione di G. Bertholoto - alle pp. 1-17 di un'opera rarissima (manca alla Biblioteca Nazionale di Parigi, si trova per es. alla Biblioteca Universitaria di Basilea), intitolata Angioiello Historien des Ottomans et des Persans, Buenos Aires s.d. (1913?). L'attribuzione di quest'opera all'A. risale al secolo XVII (cfr. G. Marzari, La historia di Vicenza, Vicenza 1604, p. 146).
Il diario del viaggio da lui intrapreso col fratello Francesco, caduto a Negroponte nel 1470, e continuato fino all'arrivo a Costantinopoli (1468-70) si basa sul manoscritto (autografo) incompiuto della Biblioteca Bertoliana di Vicenza, dato per perduto da N. Di Lenna e pubblicato da A. Capparozzo a Vicenza nel 1881, purtroppo soltanto in edizione a tiratura limitata. Il testo fu ripubblicato da J. Reinhard (A. Historien..., cit., pp. . 20-79). Della Breve narratione della vita et fatti del Signor Ussumcassano, comparsa a Vicenza nel 1490 e perduta, abbiamo già trattato. Quanto agli scritti dell'A. stesi presumibilmente in lingua turca - fra cui una biografia del sultano Maometto II - non possiamo dire nulla, perché fino ad ora non se n'è trovato nessuno e, nella migliore delle ipotesi, sono rimasti a Costantinopoli. Da qual fonte G. Gulliet, La vie de Mahomet II, Paris 1681, pp. 210, 218, 234; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, I, 2, Brescia 1753, p. 778, e P. Bayle, Dict. hist. et critique, Rotterdam 1695, sub voce Angiolello, desumano la notizia che l'A. dedicasse l'opera allo stesso sultano conquistatore, ricevendone M cambio un lauto compenso, rimane un segreto di quegli autori.
Bibl.: Oltre alle fonti già citate nel testo cfr. ancora J. Reinhard, Essai sur G. M. A. noble vicentin (1452-1525), premier historien des Ottomans (1300-1517) et des Persans (1453-1524). Sa vie, son oeuvre,Angers 1913; N. Di Lenna, Ricerche intorno allo storico G. M. A. (degli Anzolelli), palazzo vincentino, 1451-1525, in Arch. veneto-tridentino, V (1924), pp. 1-56, con ulteriori richiami specialmente alla bibliografia più antica. Cfr. anche S. Rumor, Ricordi turcheschi a Vicenza, Vicenza 1912, pp. 16 s.; G. Weil, Ein unbekannter tarkischer Transskischer aus dem Jahre 1489, in Oriens, VI(1953), pp. 260 ss. Ben presto gli storici locali di Bologna contesero l'A. a Vicenza, ma naturalmente senza alcun diritto; cfr. per questo argomento P. A. Orlandi, Notizie degli scrittori bolognesi, Bologna 1714, p. 167 e A. Bumaldi, Minervalia Bononiensia Civium Anademata, Bologna 1641, c. 138. La Biblioteca Bertoliana. di Vicenza possiede non poche fonti manoscritte sulla famiglia degli Angiolello, di cui si è servito in parte F. Babinger, Maometto II, il Conquistatore e l'Italia, in Riv. stor. ital., LXIII(1951), pp. 496 ss. Cfr. ancora per questa parte P. Amat di S. Filippo, Biografie dei viaggiatori italiani, II, Roma 1882, pp. 156 s.; p. Donazzolo, I viaggiatori veneti minori, Roma 1927, pp. 44 ss.; F. Babinger, Die Aufzeichnungen des Genuesen Iacopo de Promontorio-de Campis über den Osmanemtaat um 1475, in Bayerische Akademie der Wissenschaften philos.-hist. Klasse, Sitzungsberichte, 1956, 8. Heft, Monaco 1957, pp. 11 s. (con ulteriore bibliografia).