MARGHINOTTI, Giovanni
– Nacque il 7 genn. 1798 a Cagliari, probabilmente primogenito di Vincenzo e di Giuseppina Serra.
Del padre, artigiano originario di Trapani, si hanno poche e generiche notizie; dovette comunque assicurare una buona istruzione ai propri figli, dato che Efisio fu gesuita, Carlo ingegnere, Luigi avvocato (M.: luoghi…, p. 28).
Il M., considerato uno dei più rappresentativi pittori sardi del XIX secolo, manifestò il suo talento artistico sin da ragazzo, suscitando l’interesse del generale Stefano Manca, poi marchese di Villahermosa, influente collaboratore del viceré duca del Genovese, poi re, Carlo Felice e promotore di iniziative per lo sviluppo e la valorizzazione dell’arte in Sardegna. Dal 1819, grazie alla concessione di una pensione regia, poté frequentare a Roma l’Accademia di Francia, la pubblica Accademia pontificia sotto la guida di J.-B. Wicar, allievo di J.-L. David, la scuola del colorito e del nudo del neoclassico G. Landi e, nell’ospedale di S. Spirito, i corsi di anatomia. Apprese così l’arte di eseguire copie di dipinti antichi, soprattutto fiamminghi e del Seicento italiano, e nel 1822 gli fu assegnato il primo premio nella classe di pittura. Risale al 1825 il suo matrimonio a Roma con Felicita Puccini, di una famiglia originaria di Ferentino.
Diverse sue opere – tra le quali i dipinti raffiguranti S. Girolamo e David e una copia dell’Ecce Homo da G. Reni – furono inviate a Torino come dono al sovrano e nel 1829 egli stesso si recò in quella città per esporre al Palazzo reale un grande dipinto di tono accademico raffigurante il re Carlo Felice abbigliato in costume seicentesco. Grazie al mecenatismo del marchese di Villahermosa, nello stesso anno gli fu commissionata la monumentale tela Omaggio al re Carlo Felice protettore delle belle arti in Sardegna, voluta dal Consiglio civico di Cagliari per adornare l’aula del Palazzo municipale.
Con quest’opera, ultimata dopo un anno di lavoro, il M. dimostrava di aver assimilato le linee portanti della pittura romana di inizio Ottocento e di aver subito il fascino del neoclassicismo, soprattutto nell’impianto aulico e monumentale della composizione, nella rigorosa definizione del disegno e nella resa morbida delle tinte e dei volumi. In seguito al successo di questa e di altre opere, anche di carattere sacro – come l’ariosa pala d’altare del 1829 raffigurante l’Annunciazione, donata dal re alla chiesa della Ss. Annunziata degli scolopi a Cagliari, dove è tuttora conservata –, il M. fu incluso nella lista ufficiale dei «pittori di istoria e di ritratti» operanti a Roma (M.: luoghi…, p. 96).
Nel 1834 il M. decise di stabilirsi a Cagliari e di aprire uno studio nel quartiere natio di Marina, dove poté continuare a lavorare per la committenza regia ed ecclesiastica. Nel 1837 eseguì i ritratti del defunto Re Carlo Felice e di sua moglie Maria Cristina di Borbone per il castello ducale di Agliè a Torino e, verso il 1840, assunse l’incarico di contribuire al vasto programma di celebrazione figurativa della dinastia sabauda promosso dal nuovo sovrano Carlo Alberto. Per il Palazzo reale di Torino realizzò tre tele storiche e quattro ritratti di uomini illustri destinati alla galleria del Daniele.
L’eco delle opere di committenza reale accresceva la sua notorietà nella provincia sarda; su concessione di importanti istituzioni pubbliche eseguì diverse opere a carattere encomiastico, tra le quali un’altra imponente tela per il Palazzo municipale di Cagliari, dipinta nel 1843 (Lo sbarco del re Carlo Alberto a Cagliari il 17 apr. 1841). Le autorità ecclesiastiche gli affidarono la creazione di grandi quadri destinati all’abbellimento delle maggiori chiese isolane: tra gli altri, il Sacro Cuore di Maria (1831-34) per il duomo di Cagliari, la Coena Domini (1838) e il Martirio di s. Andrea (1840) per la cattedrale di Ozieri, la Comunione degli apostoli (1842) per il duomo di Sassari, l’Adorazione dei magi e l’Ultima cena (1847) per la cattedrale di Oristano.
In quegli anni il M. cominciò ad affrontare anche tematiche legate al Romanticismo e riuscì a coniugare il linguaggio retorico proprio del pittore di corte con quello realistico, particolarmente evidente nella resa espressiva dei ritratti.
Nel 1842 fu nominato socio onorario di pittura presso la Reale Accademia Albertina di Torino; nel 1844 ricevette il titolo di virtuoso di merito all’Accademia dei Virtuosi al Pantheon di Roma e nel 1845 quello di pittore di camera del re Carlo Alberto. L’anno successivo gli fu assegnata la cattedra delle classi superiori di disegno all’Accademia di belle arti di Torino, incarico che lo portò a trasferirsi in quella città per dieci anni. Gli ultimi riconoscimenti furono sollecitati nel 1844 dalla collocazione, nel Palazzo reale, della grande tela raffigurante Carlo III di Savoia che adora la ss. Sindone a Chambéry, particolarmente apprezzata per gli effetti atmosferici di luci e colori dal barone Giuseppe Manno, illustre studioso sardo membro della Giunta torinese di Antichità e belle arti. In quel periodo il M. partecipò regolarmente alla mostra annuale della Promotrice di belle arti e nel 1848, in linea con i fermenti risorgimentali del momento, vi espose alcune opere con espliciti messaggi patriottici.
Nel 1849 raffigurò due avvenimenti riguardanti Caio Gracco nel periodo in cui esercitava l’incarico di questore in Sardegna, traendo spunto dalle vicende narrate nelle Vite parallele di Plutarco: I Sardi offrono ai legionari di Caio Gracco indumenti e vettovaglie e Caio Gracco si discolpa di fronte al Senato dalle accuse di immoralità e vessazioni compiute in Sardegna (Cagliari, Palazzo civico). La figura idealmente magnanima e retta del protagonista era implicitamente identificata con quella del committente delle opere, Alberto Ferrero conte di La Marmora, nominato nel 1849 comandante generale dell’isola.
Grazie alle referenze delle sue importanti cariche accademiche e reali, nel 1852 il M. ebbe l’occasione di entrare in contatto con la corte spagnola e, due anni dopo, di ricevere a Madrid il titolo di cavaliere dell’Ordine di Carlo di Borbone. Tra i tanti ritratti di quel periodo, sospesi tra canoni borghesi e spunti psicologici, si segnala il malinconico Ritratto di Maria Adelaide d’Asburgo Lorena, regina di Sardegna (Napoli, Palazzo reale).
La riforma dell’Accademia Albertina comportò, qualche anno dopo, un ricambio generazionale del corpo docente e, di conseguenza, il pensionamento del M., nel 1856. L’ennesimo riconoscimento ufficiale – l’onorificenza della croce di cavaliere dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, concessa dal re Vittorio Emanuele II nell’anno del suo congedo dall’Accademia – non scongiurava il rischio della sua emarginazione dal contesto delle innovazioni politiche e culturali del momento. Decise allora di tornare a Cagliari, dove poteva ancora contare sulla committenza delle principali istituzioni cittadine e su una nutrita clientela borghese. La scelta non fu condivisa dai suoi familiari, probabilmente anche perché uno dei figli, Angelo, si accingeva a intraprendere a Torino la carriera di pittore. A Cagliari il M. continuò a dedicarsi intensamente all’attività artistica e tentò, senza riuscirvi, di creare la prima scuola di disegno e pittura della città.
La sua ultima e copiosa produzione – di cui si sono conservati alcuni grandi ritratti ufficiali del re Vittorio Emanuele II, una raccolta di disegni, appartenenti alla Galleria comunale cagliaritana, e numerosi dipinti di collezioni pubbliche e private – denota il suo eclettismo non solo nello stile ma anche nella scelta dei soggetti, stimolato da spunti letterari e teatrali, riferimenti classici, avvenimenti e personaggi storici, tematiche orientalistiche e popolaresche e quant’altro si addiceva ai gusti artistici dell’epoca. Tra le sue opere più riuscite sono due piccole scene di guerra ispirate all’insurrezione nazionale della Grecia, datate intorno agli anni 1855-60 (Cagliari, Palazzo civico). Per il loro stile abbozzato ed energico il M. sembra aver tenuto conto dell’opera di F. Goya, ammirata sicuramente durante un suo soggiorno a Madrid.
Negli ultimi anni della sua vita eseguì molti ritratti e piccole composizioni paesaggistiche, ariose ed essenziali nella resa dei valori luministici e cromatici. Tra le scene di genere più significative è Il guado del 1860 circa (ibid.), nel quale il M., raffigurando una giovane popolana con bimbo in braccio, riprende quasi alla lettera un dettaglio della Foresta di Cesare Della Chiesa conte di Benevello (1840: Torino, Galleria civica d’arte moderna).
In linea con il recupero romantico delle tradizioni popolari, il M. realizzò anche diversi quadri raffiguranti sagre, balli e ambientazioni di sapore folcloristico, molti dei quali sono tuttora conservati presso la Pinacoteca Mus’A di Sassari (Dore).
Sul finire della carriera il M. sviluppò una personale capacità di sintesi cromatica e compositiva, tesa a cogliere il significato e la forza espressiva del soggetto e, al tempo stesso, un deciso abbandono delle ricercatezze formali di tono accademico, come rivela la Cena in Emmaus del 1863, pala d’altare per la chiesa cagliaritana di S. Eulalia.
Il M. morì a Cagliari il 20 genn. 1865.
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