MARCHIORI, Giovanni
Nacque a Caviola d'Agordo, nel Bellunese, il 31 marzo 1696 da Marchioro e da Maria Maddalena Fent.
Primo documento ufficiale sulla sua attività è il contratto di garzonato con l'intagliatore G. Fanoli stipulato a Venezia il 17 nov. 1708 (De Grassi, G. M., appunti per una lettura critica, p. 126), che attesta l'indipendenza dal magistero di A. Brustolon più volte postulato dalla letteratura ottocentesca.
Secondo una consolidata tradizione locale, la sua opera d'esordio è un cassettone nella sacrestia della chiesa di Caviola (Carli, 1928, p. 3), verosimilmente realizzato intorno al 1715, alla fine quindi dell'apprendistato veneziano, fissato in sei anni. A un momento di poco posteriore dovrebbe invece risalire un busto ligneo di Adone, firmato, da poco comparso sul mercato antiquario (De Grassi, 2002, pp. 160-164). Secondo ulteriori attestazioni documentarie, nel 1725 il M. era titolare a Venezia di una bottega d'intaglio - a quella data aperta da almeno due anni (De Grassi, G. M., appunti…, p. 129) - e contemporaneamente iscritto al collegio degli scultori, fondato nel 1723, dal quale sarebbe uscito in quello stesso 1725 per rientrarvi alla fine degli anni Trenta. Primo intervento di un certo peso in laguna sembra essere stato il perduto angelo ligneo per il campanile di S. Giorgio Maggiore del 1727, seguito dalla decorazione di due imbarcazioni destinate al trasporto del doge, deliberata dal Senato veneziano nell'ottobre 1733 (Rossi, 2001, p. 490). Risalgono al 1737 i suoi primi lavori in marmo firmati, S. Servolo e S. Sebastiano per l'altare maggiore della parrocchiale di Buje in Istria, seguiti l'anno successivo da S. Alessio e S. Giovanna Falconieri per la chiesa dei Servi a Venezia, oggi a Fratta Polesine (Arslan, 1926). Sicuramente anteriori sono gli Angeli adoranti, firmati, sull'altare maggiore della parrocchiale di Velo d'Astico (Saccardo, pp. 163-169) e le due statue con i santi Pietro e Paolo sull'altare maggiore dell'arcidiaconale di Agordo (De Grassi, 2002, pp. 164-167), che risentono ancora di un'impostazione tardobarocca, come del resto le sculture all'incirca dello stesso periodo, sull'altare principale della chiesa dei Gesuiti di Graz. Queste ultime non sono le quattro Virtù cardinali segnalate da Federici (p. 136), ma S. Caterina e S. Barbara e i due gruppi con S. Ignazio di Loyola e S. Francesco Saverio con un'altra coppia di santi della Compagnia. A quel momento si può probabilmente attribuire una produzione ancora poco nota di crocifissi lignei di cui sono stati identificati due pregevoli esemplari a Frassenè Agordino (De Grassi, 2002, pp. 164-167) e in collezione privata (Manganello).
Dalla seconda metà del quarto decennio il M. è quindi tra i pochissimi artisti attivi a Venezia a impegnarsi contemporaneamente nell'intaglio e nella scultura in marmo, segno inequivocabile della grande fortuna, anche commerciale, goduta tra i contemporanei. Nel 1741 ricevette infatti la sua commissione più nota: le ventiquattro portelle degli armadi della sala superiore nella Scuola grande di S. Rocco a Venezia, decorate da rilievi con episodi della vita del santo (Rossi, 1982), conclusi nel 1743 e riprodotti ad acquaforte da G. Fossati nella sua Vita del glorioso s. Rocco (Venezia 1751). Negli stessi anni lavorò nella chiesa attigua all'apparato decorativo ligneo per l'organo e alla grande lunetta in marmo con la Gloria di s. Rocco per il portale d'accesso (oggi ricoverata nella cappella absidale sinistra e sostituita da una copia). Nel 1744 consegnò inoltre le due celebri statue marmoree di Davide e S. Cecilia collocate in due nicchie della controfacciata. Risalgono invece al 1746 due grandi santi marmorei, Maurelio e Giorgio, per il duomo di Ferrara.
Gli anni Quaranta segnano anche l'inizio di un proficuo rapporto con Francesco Algarotti, che oltre a imprimere una decisa svolta in senso classicista, aprì al M. le porte di altri committenti. Si leggono in questo senso la perduta Pomona per il console britannico Joseph Smith, della quale si conoscono due bozzetti in terracotta (Treviso, Museo civico L. Bailo; Londra, Victoria and Albert Museum), e il gruppo con Cristo risorto davanti alla Maddalena, affidato al M. dal cardinale bresciano Angelo Maria Querini intorno al 1750, grazie alla decisiva mediazione di Algarotti.
Destinata al tempio di S. Edvige a Berlino, la scultura, molto danneggiata, si trova oggi nella chiesa cattolica di S. Maria nella stessa città (Guerriero, 2000, pp. 135 s.). Algarotti figura tra i mecenati del M., al quale commissionò alcune sculture a soggetto mitologico per la propria villa a Carpenedo, una delle quali, Annibale giura eterno odio ai Romani, è stata rintracciata di recente (De Vincenti, 2001, pp. 247 s., 281). Al medesimo clima culturale appartiene anche il gruppo in collezione privata con Frisso che si accinge a sacrificare l'ariete dal vello d'oro (Id., 2005, p. 238).
Disperse sono invece numerose statue citate da Federici, in parte documentate da una serie di disegni in collezione privata (Menegazzi, 1959-60), che testimoniano una fortissima vena antiquaria. Sculture da giardino erano inoltre quelle un tempo collocate nel parco di villa Grimani a Martellago, delle quali quattro figure allegoriche sono oggi a Morristown, nel New Jersey (Mariacher; Russell).
Opera manifesto di questo momento di intenso recupero della classicità è la Testa ideale del Rhode Island School of design Museum of art a Providence (Graeme Keith), databile alla metà degli anni Quaranta, che prelude al grande rigore formale di molti dei lavori del periodo successivo, come il Paride passato sul mercato antiquario anglosassone (De Grassi, 2000, pp. 52 s.) o l'ancor più tarda Pietà della parrocchiale di Strigno, tutti ispirati a modelli antichi. Non è quindi un caso che alla fine del decennio si collochi un importante intervento di restauro condotto sull'antica statua del Marc'Aurelio sull'arco Foscari in palazzo ducale a Venezia (Rossi, 1997).
Questa componente antiquaria sembra essere stata particolarmente gradita ai collezionisti veneti; la letteratura settecentesca e ottocentesca registra infatti numerose opere appartenenti a patrizi, oggi in gran parte perdute: esemplare, in questo senso, il caso delle "quattro statue di palmi 3 e mezzo che mostrano il giudizio di Paride nella sala del marchese Sugana" (Federici). Della collezione di quest'ultimo sopravvive il busto femminile in marmo del Museo civico L. Bailo di Treviso, forse un frammento della Venere che, secondo Federici, il M. avrebbe volontariamente distrutto "per modestia" nei suoi ultimi anni di lavoro. All'estrema attività del M. appartiene anche un busto di Dafni di sapore già neoclassico, proveniente da una collezione trevigiana e oggi nella sede museale di villa Lattes a Istrana (Manzato).
Secondo i Notatori di Pietro Gradenigo (Livan, 1942, p. 46), nel 1753 il M. realizzò in gara con A. Gai un S. Pietro per l'altare maggiore della chiesa della Pietà a Venezia, che si caratterizza per un rigore formale ancora più accentuato che diventerà la cifra stilistica peculiare della sua produzione matura. Anticipazioni in questo senso si notano anche nell'altare dell'oratorio Pezzana a Carpenedo (Guerriero, 2000), che il M. realizzò tra la fine degli anni Quaranta e l'inizio dei Cinquanta.
Nella seconda metà del sesto decennio il M. si trasferì a Treviso, mantenendo però stretti rapporti con Venezia. Oltre a molti lavori per le chiese del territorio, spedì nel 1761 in Baviera le statue marmoree di Saturno e Cibele, a tutt'oggi nel parco del castello di Nymphenburg di Monaco. Tre anni dopo ricevette anche una richiesta della corte russa per alcune statue destinate alla residenza di Oranienbaum: di queste la Clemenza e la Vigilanza si trovano oggi nel parco di Gatčina; mentre il rilievo con il Ratto di Elena è andato perduto. Ancora per la chiesa veneziana di S. Rocco scolpì tra il 1766 e il 1767 i simulacri di S. Pietro e di S. Gherardo Sagredo, cui si associano stilisticamente S. Gregorio Magno e S. Quirino vescovo del duomo di Udine (ibid.). All'ultima fase dell'attività del M. sembrano inoltre appartenere la Fede e la Speranza sull'altare maggiore della chiesa di S. Maddalena a Treviso.
Dopo i grandi riscontri ottenuti tra i contemporanei, in virtù delle anticipazioni neoclassiche presenti in molte sue opere, la fortuna critica del M. rimase notevole anche nell'Ottocento, come testimoniano il profilo entusiastico tracciato da Federici e il giudizio non negativo del severissimo Cicognara (1818). Il precoce recupero critico operato negli anni Venti del Novecento da Arslan e proseguito negli ultimi anni, ha restituito un profilo del M. che a tutt'oggi ne fa una delle figure più interessanti del panorama veneto della seconda metà del Settecento.
Il M. morì a Treviso il 2 genn. 1778 e fu sepolto accanto alla moglie nella chiesa di S. Tommaso.
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