MANSUETI, Giovanni
Anno e luogo di nascita del M., figlio di Nicolò e di Cecilia, rimangono tuttora imprecisabili. La ricostruzione delle vicende biografiche del pittore è affidata quasi esclusivamente a una serie di documenti pubblicati da Ludwig (1905) che attestano la sua presenza a Venezia dal 1485, anno in cui, il 22 luglio, il M. testimoniò, insieme con un fratello di nome Vittore, per il testamento di Maria, moglie di Pietro Loredan. Nel testamento di Laura Longini, prima moglie del M., dettato in stato di gravidanza nel 1489, egli è citato per la prima volta con la qualifica di pittore; mentre i colleghi Gentile Bellini e C. Caselli compaiono in qualità di testimoni. In un documento del 1502 il M. risulta avere una sorella di nome Gaia. In assenza di informazioni dirette sulla formazione e sugli esordi del pittore e in sostanziale allineamento con l'indicazione vasariana, la critica ha individuato nella figura di Gentile Bellini, per documentata familiarità e per evidenti contiguità stilistiche e tematiche, il principale riferimento culturale del linguaggio pittorico del Mansueti. Tale determinazione è saldamente collegata alla presenza del M. fra i collaboratori di Gentile nell'esecuzione del ciclo per la Scuola di S. Giovanni Evangelista: nel cartiglio del telero con il Miracolo della reliquia della Santa Croce in campo S. Lio, egli si dichiara "discepolo di Bellini", verosimilmente in riferimento a Gentile.
Priva di sostegno documentale è l'ipotesi di un discepolato presso L. Bastiani insieme con V. Carpaccio (Ludwig - Molmenti, invertendo l'antica indicazione di Zanetti sul M. e L. Bastiani condiscepoli di V. Carpaccio); mentre ha riscosso scarsa attenzione l'iscrizione nel Padre Eterno tra quattro santi (in collezione I. Brass a Venezia, ma proveniente dalla chiesa di S. Maffeo di Mazzorbo) in cui il M. si definiva discepolo di Giovanni Bellini (Berenson; Heinemann, 1965; Miller), iscrizione del resto già riportata in tono dubitativo nell'edizione milanesiana delle Vite del Vasari.
Elementi comprovanti una precoce e consolidata integrazione del M. nella koiné belliniana, sono già riscontrabili peraltro nella Rappresentazione allegorica della Trinità (Londra, National Gallery) del 1492, la prima fra le opere firmate e datate dal M., in cui il pittore, all'epoca già dotato di un linguaggio strutturato, riesce a interpretare combinandole, la rigida razionalità propria di Gentile nell'impianto compositivo, e l'inserimento di una complessa struttura architettonica mediana inquadrante porzioni di paesaggio, memore delle novità della Pala di Pesaro di Giovanni Bellini. La vicenda artistica del M., che si dedicò con una certa continuità alla produzione di opere devozionali di piccolo e medio formato, fu però indissolubilmente legata alla sua attività di pittore di grandi soggetti narrativi. Per il ciclo di otto teleri destinati all'albergo della Scuola di S. Giovanni Evangelista - oggi tutti presso le Gallerie dell'Accademia a Venezia, eseguiti a partire dal 1496 da un gruppo di artisti coordinati da Gentile Bellini - il M. dipinse due episodi raffiguranti Il miracolo della reliquia della Croce in campo S. Lio e la Miracolosa guarigione della figlia di Benvegnudo da S. Polo.
Nel primo, eseguito posteriormente al 1496 (Mason Rinaldi: l'anonimo estensore di un opuscolo del 1590 sui Miracoli della Croce ne anticipava l'esecuzione al 1494), il M. mostra un inequivocabile ma impacciato adeguamento ai modi gentiliani nella disposizione spaziale delle teorie degli astanti (fra i quali la critica tende in generale a individuare un presunto autoritratto); un disegno attribuito a Gentile, oggi agli Uffizi, è ritenuto piuttosto unanimemente uno studio preparatorio per il dipinto (Pignatti; Fortini Brown). Il secondo telero, databile intorno al 1506 (Pignatti), è contrassegnato da una personale declinazione del carattere di particolareggiato e opulento decorativismo che caratterizza l'intero ciclo - a cui lavorarono anche L. Bastiani, V. Carpaccio e B. Diana - e che, d'ora in avanti, assurgerà a cifra stilistica del M.: l'articolazione prospettica del sontuoso interno casalingo, pur nella rumorosa varietà del dettaglio, organizza l'affollata composizione in una successione ordinata di piani spaziali forse debitrice dell'esempio carpaccesco (Moschini Marconi). Fra l'esecuzione dei due teleri si interpone cronologicamente l'Arresto di s. Marco firmato e datato dal M. al 1499 (oggi a Vaduz, Collezione Liechtenstein) e destinato in origine alla cappella della Scuola dei Setaioli nella chiesa veneziana di S. Maria dei Crociferi. In passato erroneamente ritenuto pertinente al ciclo per la Scuola grande di S. Marco (Venturi, 1915; Van Marle), il dipinto costituisce un'importante testimonianza del crescente interesse del M. per la rappresentazione di un pittoresco mondo orientaleggiante, riprodotto nella varietà inventariale dei costumi e in una complessa macchina decorativa (Raby; Fortini Brown) dove la concitazione dell'episodio narrato viene risolta in termini di sostanziale staticità, nell'ambito di un'impostazione fortemente scorciata dello spazio architettonico.
L'assenza di notizie su committenze o pagamenti, un approccio fortemente parcellizzato alle opere del M. da parte della critica - basato perlopiù su poco dirimenti ragioni attribuzionistiche - e la mancanza di studi di carattere sistematico hanno prodotto negli anni un catalogo disorganico e affollato oltre misura nella fase tarda della carriera del M., operando in genere per espunzione o attingendo dalla fluida e complessa congerie degli anonimi belliniani; mentre l'attività precedente al 1500, priva o quasi di riferimenti cronologici certi, risulta esplorata solo occasionalmente dalla critica e ricostruibile, allo stato attuale, esclusivamente su basi stilistiche.
Ascritti da Ludwig agli anni successivi al 1497, i quattro Santi, due dei quali firmati (Venezia, Gallerie dell'Accademia) con gli stemmi delle famiglie Loredan e Barbaro e con le iniziali di sette magistrati, dipinti per l'ufficio del magistrato del Cattaver, sono stati riportati, sulla base degli elenchi degli ufficiali, a un'epoca successiva al 1502 (Moschini Marconi); mentre firmato e datato al 1500 è il S. Sebastiano e santi dipinto per la chiesa di S. Francesco a Treviso, oggi alle Gallerie dell'Accademia di Venezia, in cui la collocazione delle figure in relazione al contesto architettonico è basata ancora su principî di rigida simmetria. Sulla base di tale criterio stilistico sono forse databili agli stessi anni la Madonna con santi e donatore, anch'essa all'Accademia, in cui la ricerca di eloquenza espressiva produce una gestualità meccanica e la Pietà di Urbino (Galleria di Palazzo Ducale) per la convenzionalità delle espressioni (Zampetti; Miller).
La documentazione posteriore al 1500 mostra il M. in una situazione di stabile integrazione nel territorio veneziano (da cui non risulta essersi mai spostato) e di relativo benessere: in un documento del 1504 il pittore risultava avere proprietà (parte della quale darà in dote a una delle figlie nel 1514) in contrada di S. Sofia; dal secondo testamento della moglie Laura del 1506, si apprende che a quella data una delle figlie del M., Cecilia, era già morta e che la famiglia dispose l'elargizione di una dote di 200 ducati per un'altra figlia, Vittoria, oltre a 40 ducati per un nipote, Francesco; del 1509 è il testamento di Camilla di Giovanni Morati, seconda moglie del M. che, dallo stesso anno, in luogo del generico "ser", comincia a essere menzionato nei documenti come "magister", a testimonianza di una ormai riconosciuta professionalità e di un crescente prestigio nel circuito artistico.
Nel giudizio critico sul M. tuttavia risulta sempre implicita e latente un'antica e consolidata pregiudiziale che lo classifica al rango di epigono di una sintassi belliniana sostanzialmente fraintesa nei suoi valori strutturali, riconoscendogli al massimo una pittoresca e superficiale sensibilità denotativa (Venturi, 1907; Van Marle); sulla base di un modello evolutivo mai posto in discussione, costruito sul costante influsso di Gentile Bellini dagli esordi fino alla fase matura, e su prestiti stilistici e figurativi da Giovanni Bellini, Cima da Conegliano e Carpaccio al volgere del secolo (Miller; Merkel), è stata quindi riferita al primo ventennio del Cinquecento buona parte della produzione conosciuta del Mansueti.
A. Perissa Torrini, nel sottolineare il carattere cerimoniale della sua pittura, colloca in una fase posteriore al 1505 la Trinità della chiesa di S. Simeone a Venezia, evidenziando la derivazione del modello da un disegno dell'album di I. Bellini, insieme con alcune somiglianze con l'Assunzione della Vergine dei Musei civici di Padova e con l'Incoronazione della Vergine dell'ex collezione Crespi di Milano (Berenson). Merkel propone di datare a una fase tarda le tre tele raffiguranti lo Sposalizio di Maria, la Natività e la Fuga in Egitto in S. Martino a Burano, attribuibili al M. sulla base di somiglianze formali con la firmata Natività di Susegana (perduta nel 1917). Sono inoltre riconosciute nei modelli grafici di I. Bellini e negli spunti paesaggistici mutuati da Cima le matrici figurative per altri dipinti del M.: l'Adorazione dei magi dei Musei civici di Padova, la Natività nel Museo di Castelvecchio a Verona e l'Adorazione dei pastori della Gemäldegalerie degli Staatliche Museen di Berlino. Indizi su possibili committenti del M. possono essere rilevati nella Visione di s. Agostino del Bonnenfanten Museum di Maastricht, databile agli anni 1505-10, in cui compare lo stemma dei Bernardo (Groen; Aikema-Brown), e nella Madonna in trono e santi della Walker Art Gallery di Liverpool, posta da Heinemann (1959) intorno al 1510 e recante lo stemma dei Michiel. Heinemann (1965), cui si deve l'unico tentativo di orientamento nell'ambito della produzione ritrattistica del M., priva di esemplari firmati (tra cui emerge per tradizionale attribuzione il Ritratto d'uomo della Galleria Borghese di Roma), colloca in una fase tarda anche la Madonna col Bambino e santi (già in collezione Rota a Bergamo), la Pietà del Museo reale di belle arti di Copenaghen e la Madonna col Bambino del Museo civico di Vicenza, ravvisando in queste opere l'influenza di Giovanni Bellini; lo stesso Bellini, insieme con Cima, sarebbe fonte d'ispirazione per alcune opere devozionali di piccolo formato passate in rassegna da S. Miller in ricognizione tematica. Tra gli apporti recenti al catalogo del M. vi è la Cena in Emmaus di La Celle Saint-Cloud, anch'essa su probabile prototipo di scuola belliniana (Loire).
L'ultima opera datata del M., del 1518, è la Madonna col Bambino, santi e donatori della chiesa arcipretale di Zianigo, in cui sembra potersi riscontrare un ductus pittorico di maggiore scioltezza (Marconi; Miller).
La Madonna col Bambino e santi dell'Ermitage di San Pietroburgo, il S. Martino e il mendico del Museo Correr di Venezia, il S. Girolamo dell'Accademia Carrara di Bergamo (firmato), le quattro portelle d'organo in S. Giovanni Crisostomo a Venezia e diversi altri significativi numeri del catalogo del M. sono tuttora in attesa di un'adeguata collocazione storico-contestuale.
L'incarico di maggiore rilevanza ricevuto dal M. riguardò l'esecuzione di tre teleri del ciclo della Vita di s. Marco (per il quale avevano già lavorato i fratelli Bellini) su commissione della Scuola grande di S. Marco, incarico che costituì anche l'ultimo episodio della sua vicenda artistica; sulla base della documentazione conosciuta (Ludwig; Sohm; Humphrey, 1985) è probabile che il M. ricevesse successivamente al 1518 la commissione del S. Marco risana Aniano e del Battesimo di Aniano, e tra il 1525 e il 1526 quella per i Tre episodi della vita di s. Marco.
Nei teleri a lui assegnati, riportati nel 1948 nella sede originaria (tranne il Battesimo, oggi a Milano, Pinacoteca di Brera), il M. interpretò lo spazio architettonico sul modello di complesse quinte scenografiche articolate in arcate, logge e scalinate riccamente decorate e densamente popolate di personaggi in costume orientale, sulla base di una grammatica ornamentale anticipata nelle precedenti opere di grande formato, oltre che nell'importante Cristo fra i dottori (Firenze, Uffizi) del primo decennio del Cinquecento (Tartuferi); in questa fase estrema della carriera del M. la ricostruzione di contesti orientali sembra riflettere la volontà di una più circostanziata verosimiglianza storica nella massiccia presenza di stemmi e costumi mamelucchi (Raby; Fortini Brown). Il telero con i Tre episodi, di più ampio respiro spaziale ma di ancor maggiore affollamento di astanti, rimase incompiuto nei ritratti di alcuni confratelli della Scuola (Sohm) e, alla morte del M., fu al centro di una controversia economica tra la moglie Camilla e i rappresentanti della Scuola di S. Marco, la cui eco si protrasse nella documentazione sino al 1531.
La data di morte del M. può essere posta fra il 6 sett. 1526, giorno in cui testimoniò per un atto notarile, e il 26 marzo 1527, quando il suo nome venne cancellato dagli elenchi dei confratelli della Scuola grande della Misericordia, cui evidentemente il M. doveva appartenere. Nel 1551 morì la moglie Camilla e nel 1566 una figlia, Cecilia, entrambe ancora residenti nella contrada di S. Sofia.
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