MANENTI, Giovanni
Nacque presumibilmente a Venezia verso la fine del XV secolo.
Si conosce poco circa le sue origini. "Cittadino veneziano" (cioè originario di Venezia), come si definì nel prologo della sua Opera nuova, il M. potrebbe essere imparentato con Ludovicus de Manente, segretario del Consiglio dei dieci che sottoscrisse nel 1497 la mariegola (la matricola) della Scuola piccola di Ognissanti, sede della Confraternita dei Sensali cui appartenne anche il Manenti. Non è da escludere l'identificazione con un Giovanni (o Giovan Battista) Manente attivo a Roma tra il 1514 e il 1521 alla corte di Leone X (Ferrajoli, p. 569), che fu bersaglio di componimenti satirici e pasquineschi, e aspirante poeta (Pasquinate romane, p. 1040).
Questo personaggio ritorna non di rado anche nelle poesie di P. Aretino. In un sonetto composto nel 1521 in occasione del conclave per l'elezione di Adriano VI si potrebbero leggere delle allusioni alla provenienza veneziana e alla professione del M.: "Ed in cittade e fore / posa fare a migliara i cardinale, / senza le quatro tempora o sensale, / e tutti in carnovale / si posa mascherar licitamente, / ma prima canonizi Gian Manente" (ibid., p. 167).
La prima testimonianza della presenza del M. a Venezia risale al 1522, quando ottenne la concessione del gioco del lotto. Le estrazioni, annunciate per mezzo di avvisi a stampa, si svolsero in un primo momento presso il ponte di Rialto e in seguito il M. spostò la botega nella sua abitazione, a S. Polo o ai Frari minori.
Indipendentemente dalla fondatezza dell'ipotesi di un suo reale soggiorno a Roma, è certo che il giovane M. fu fortemente influenzato dagli stimoli provenienti dalla capitale, e attratto in particolare da scrittori che si cimentarono con il teatro in volgare, come B. Dovizi detto il Bibbiena - che cita un Manente in Calandra, I, 3 - e Aretino (delle cui vicende veneziane fu in seguito personalmente partecipe). Egli stesso compose un'opera teatrale intitolata Filargio, Trebia e Fidel, oggi perduta e nota solo per essere menzionata da Sanuto (XXXVII, col. 560).
Unica testimonianza del M. commediografo, l'opera, patrocinata dalla Compagnia della Calza dei Trionfanti, fu rappresentata la sera del 9 febbr. 1525, e ottenne un successo tanto ampio da oscurare persino la commedia di Angelo Beolco detto il Ruzante (quasi certamente la Betia), andata in scena subito dopo con il famoso attore Zuan Polo Liompardi e fortemente contestata per le sue oscenità (Padoan, 1978, p. 115).
Da allora il M. cercò di intrecciare una fitta rete di relazioni con i personaggi più in vista della città, provenienti dal patriziato o dagli ambienti mercantili, o ancora scelti tra i letterati attivi nella Serenissima. Nel 1527 anche Aretino, dopo aver visto da Mantova fallire i tentativi di una riconciliazione con papa Clemente VII, e forse a conoscenza dell'intenzione del marchese Federico II Gonzaga di aderire alle richieste romane, che reclamavano la sua punizione, decise di trasferirsi a Venezia. In un sonetto scrisse, a proposito dei giorni difficili che precedettero il suo arrivo: "Et non ho pur d'intrata duo ducati / et son da men che non è Gian Manente" (Romei, 1987), rievocando così una conoscenza che doveva necessariamente risalire agli anni precedenti e che avrebbe avuto seguito, come confermano la lettera inviata al M. nel dicembre 1537, in cui Aretino lo difendeva dalle accuse di disonesta gestione del lotto, e quella a Simon Bianco del giugno 1538.
La professione di sensale fornì al M. l'occasione per estendere le sue relazioni anche al di fuori della città, in terraferma, dove aveva interessi commerciali. In una lettera del 27 luglio 1530, G.P. Cavriolo, bresciano, lo ringraziava per i favori fatti alla "scuola". Non è noto a cosa si riferisse Cavriolo, ma dietro quella reticenza va forse letto un riferimento a vicende illecite del M., che infatti un anno più tardi fu sottoposto a un processo, insieme con altri imputati, per falsificazione e "stronzatura" (la diminuzione fraudolenta del metallo nobile contenuto nella moneta) di denaro (Sanuto, LIII, col. 386).
Il 30 ag. 1531, scrive Sanuto, il Consiglio dei dieci deliberò "di retenir Zuan Manenti dai lothi, qual feva monede false a Brexa" e fu posta una taglia sul capo dei quattro complici, condannati a morte in contumacia (Giovanni Bono, Ambrogio da Milano, Agostino Stiverio e sua moglie Allegrina). In attesa della sentenza definitiva il M. trascorse alcuni mesi nelle carceri di palazzo ducale. Il 21 marzo 1532 il Consiglio propose di bandirlo dalla città, ma il giorno seguente "fu iterum posto el procieder contra Zuan Manenti, et fo preso di no, sì che fu asolto" (Sanuto, LV, col. 656). Questa infelice circostanza ispirò al M. l'Opera nuova in versi volgare, intitolata Specchio de la giustitia( composta per Z. M. cittadin venetiano, pubblicata nel 1541 da Giovanni Antonio Nicolini da Sabbio.
In terza rima e diviso in tre libri, il poemetto è modellato sulla Commedia dantesca: il primo libro descrive le prigioni di palazzo ducale (Inferno del mondo); il secondo illustra la giustizia esercitata attraverso le magistrature veneziane (Purgatorio del mondo); il terzo, infine, celebra il Paradiso della sala del Consiglio, simbolo della grandezza e della potenza di Venezia. Percorrendo le prigioni veneziane in compagnia di una guida (Virgilio), il M. descrive con grande realismo e precisione gli ambienti e le pene dei detenuti, senza tralasciare alcuni dettagli autobiografici. Il poema è dedicato al doge Pietro Lando (succeduto nel 1539 ad Andrea Gritti, originariamente destinatario dell'opera), cui si fa riferimento nei versi finali.
Tornato nuovamente alle sue attività - compreso il lotto, da cui ormai dovevano provenirgli più problemi che guadagni, come si deduce dalla lettera di Aretino del 1537 -, nel 1534 fece stampare a Venezia da Nicolini da Sabbio una Tariffa de' cambi, libro tecnico destinato alla contabilità, che ebbe all'epoca una certa circolazione, come attestano gli inventari di alcune biblioteche di mercanti settentrionali.
Lo Short-title Catalogue of books printed in Italy and of books in Italian( (II, p. 314) segnala anche un Giacomo Manenti, autore di una Tariffa de tutte le marcancie da ogni precio che coreno pel mondo che va a grosi a oro, pubblicata a Venezia nel 1552 presso l'editore Stefano Nicolini da Sabbio, erede di quel Giovanni Antonio che aveva stampato quasi vent'anni prima la Tariffa de' cambi del Manenti.
Il M. si cimentò infine nella traduzione di un opuscoletto pseudoaristotelico non tra i più celebri, il Secretum secretorum, uscito a stampa nel 1538 per Giovanni Tacuino: Col nome de' Dio. Il segreto de' segreti, le moralità, et la phisionomia d'Aristotile, dove si trattano e mirabili ammaestramenti ch'egli scrisse al Magno Alessandro sì per il reggimento de l'Imperio come per la conservatione de la sanità, e per conoscere le persone a che siano inclinate, ad esempio e giovamento d'ogn'uno accomodatissimi, fatti nuovamente volgari per Giovanni Manente.
Dedicata "al pieno di carità et di bontà M. Piero di Simone", la traduzione nacque probabilmente con l'intento di procurarsi la protezione di qualche potente o come segno di riconoscenza per favori ottenuti. Il Secretum secretorum, opera spuria attribuita ad Aristotele fin dall'antichità, si inserisce nel filone della trattatistica per la formazione del principe. Speculum di precetti per il sovrano, dalla salute fisica alla perfezione morale, il trattatello rappresenta un modello di educazione totale all'interno di un progetto di Stato giusto ed efficiente, quale quello veneziano, qui nuovamente evocato. Un eloquente ritratto del M. ormai avanti negli anni, illetterato con la predilezione per le lettere, è dipinto nel Prologo, dove l'autore si autodefinisce "groso e rozo" e "in un tempo mercatante, al che son tirato per forza di natura, et philosopho, al che son disposto per inclinatione di natura", deplorando un destino contrario alla propria vocazione e rimpiangendo di non essersi dedicato con costanza agli studi "per bassezza di fortuna".
Il M. morì verosimilmente a Venezia tra il 1540 e il 1541.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Consiglio dei dieci, Deliberazioni, Criminali, b. 7; Capi del Consiglio dei dieci, Notatorio, reg. 11, c. 90; A. Ferrajoli, Il ruolo della corte di Leone X, in Arch. della R. Soc. romana di storia patria, XXXIX (1916), pp. 569-571; M. Sanuto, I diarii, Bologna 1969-79, XXXII-XXXVII, XXXIX-XLI, XLV-XLVII, L-LV, ad indices; Pasquinate romane del Cinquecento, a cura di V. Marucci - A. Marzo - A. Romano, Roma 1983, pp. 81, 103, 167, 200, 1040; B. Dovizi (detto il Bibbiena), La Calandra, a cura di G. Padoan, Padova 1985, p. 79; D. Romei, Scritti di Pietro Aretino nel codice Marciano it. XI.66 (=6730), Firenze 1987, p. 117; Edizione nazionale delle opere di Pietro Aretino, IV, Lettere, a cura di P. Procaccioli, Libro I, Roma 1998, pp. 367-370; Libro II, ibid. 1999, p. 54; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, VI, Venezia 1853, pp. 637-639; G.L. Moncallero, Il cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena umanista e diplomatico (1470-1520), Firenze 1953, pp. 531 s.; G. Padoan, Momenti del Rinascimento veneto, Padova 1978, pp. 39, 115-119; G. Scarabello, Carcerati e carceri a Venezia nell'età moderna, Roma 1979, pp. 29-31; G. Inglese, Contributo al testo critico della "Mandragola", in Annali dell'Istituto per gli studi storici, VI (1979-80), p. 139 n. 32; G. Padoan, La commedia rinascimentale a Venezia, in Storia della cultura veneta, 3, I, Vicenza 1981, p. 414 n. 156; D. Romei, Aretino e Pasquino, in Atti e memorie della Accademia Petrarca di lettere, arti e scienze, n.s., LIV (1992), pp. 67-92; Short-title Catalogue of books printed in Italy and of books in Italian( in North American libraires, II, Boston, MA, 1970, p. 314.