MANDELLO (Mandelli), Giovanni (Giovannolo)
Figlio di Guidetto di Ottolino e di Floramonda di Matteo (I) Visconti, nacque presumibilmente a Milano nel primo quarto del XIV secolo.
Il M. era dunque strettamente imparentato, in linea materna, con i signori di Milano: nipote di Galeazzo (I), Giovanni e Luchino Visconti e cugino di Azzone, Galeazzo (II), Bernabò e Matteo (II). Miles e cittadino milanese, membro di una famiglia appartenente all'élite urbana sin dalle origini del Comune, il M. abitava in Porta Nuova, parrocchia di S. Damiano al Carrobbio.
Seguendo la tradizione familiare, il M. legò la sua fortuna a quella dei Visconti (il padre era stato fatto cavaliere aurato dall'imperatore Enrico VII insieme con Matteo Visconti). Tra il luglio e l'ottobre del 1347 fu podestà a Piacenza per l'arcivescovo di Milano Giovanni Visconti e per Luchino Visconti, signori generali di Milano e Piacenza. Due anni più tardi lo troviamo, con il medesimo incarico, a Cremona.
Il novarese Pietro Azario - come egli stesso ricorda in uno dei rari squarci autobiografici del suo Liber gestorum - prima dell'ottobre 1350, secondo la datazione proposta da Cognasso, era "familiaris, notarius et domesticus" del M., ne elogiava il carattere schivo e probo e ne sottolineava l'intrinsichezza con l'arcivescovo Giovanni, che dimostrava di avere più fiducia in lui che in altri ("et de quo prefatus dominus archiepiscopus ultra alios confidebat et merito", Liber gestorum, p. 63). Dal racconto di Azario si apprende anche che il M. si dedicò attivamente al commercio del ferro.
Anche dopo la morte di Luchino, l'arcivescovo Giovanni continuò a dimostrare la propria benevolenza nei confronti del M. e di suo fratello Matteo, donando loro, nel gennaio 1351, i beni del defunto Guidone Della Torre nel territorio di Montorfano. Da una lapide murata nel ponte sul Ticino (cfr. Giulini) apprendiamo che il 21 luglio di quello stesso anno, giorno di inizio dei lavori di costruzione del ponte, il M. era podestà di Pavia. Il 6 ottobre Matteo fu dall'arcivescovo nominato capitano di Brescia, in sostituzione di Ramengo da Casate.
Il 2 sett. 1352 lo stesso arcivescovo nominò il M. capitano partium Pedemoncium, con un salario mensile di 160 fiorini.
Poco più di un anno dopo, sempre secondo Azario, il M., amico di lunga data di Simone Boccanegra, doge di Genova, ebbe parte attiva negli accordi per la consegna al signore di Milano della città ligure, minacciata da Veneziani e Catalani. Era ancora capitano del Piemonte nel giugno 1354; subito dopo la morte dell'arcivescovo Giovanni (5 ott. 1354) fu chiamato a un nuovo incarico: dal 18 novembre dello stesso anno al 2 ott. 1355 risulta infatti podestà a Bergamo.
Morto il suo potente zio e protettore, per alcuni anni non vi sono notizie di altri uffici ricoperti dal M. al servizio dei cugini Galeazzo (II), Bernabò e Matteo (II), succeduti all'arcivescovo Giovanni: secondo Azario, il M. sarebbe caduto in disgrazia presso i Visconti in seguito alla partenza di Simone Boccanegra da Milano. Infatti, quando l'ex doge di Genova persuase Bernabò e Galeazzo Visconti, che lo tenevano in ostaggio, a inviarlo a Genova per fare da intermediario tra i signori di Milano e i Genovesi in subbuglio, il M., "carissimo suo", sostenne la richiesta del Boccanegra. Quest'ultimo, però, non appena tornato libero, il 17 nov. 1356 si pose a capo della rivolta di Genova. Così, per il tradimento di un amico, da questo momento in poi il M. "nusquam claram benevolentiam habuit cum prefatis dominis Mediolani" (Azario, p. 77).
Forse proprio il progressivo estraniamento dalla vita politica attiva spinse il M. a meditare un pellegrinaggio ai luoghi santi: nella primavera del 1358, infatti, egli esponeva a F. Petrarca - che aveva forse conosciuto presso l'arcivescovo Giovanni durante il primo anno di soggiorno milanese del poeta aretino (1353-54) - il suo progetto di recarsi, insieme con altri amici, in pellegrinaggio in Terrasanta e gli chiedeva di unirsi a loro.
Al rifiuto del poeta, restio ad affrontare un viaggio per nave, il M. rispose chiedendogli di scrivere una guida per il loro viaggio. Petrarca accettò e in tre giorni scrisse l'operetta comunemente nota come Itinerarium Syriacum.
Scopo del componimento era quello di raccogliere tutte le notizie geografiche, storiche e di varia dottrina, riguardanti i paesi che il M. avrebbe incontrato nel suo percorso ovvero "quelle cose anzitutto che sembrassero utili alla salute dell'anima, poi quelle pertinenti alla conoscenza dei fatti e all'ornamento dell'ingegno, infine quelle adatte a mantenere il ricordo dei grandi esempi e a commuovere l'animo" (Sapegno), e il 4 aprile di quello stesso anno una copia del testo venne consegnata al M. o a un suo inviato.
Alcuni cenni di Petrarca nell'Itinerarium descrivono il M. come persona di ingegno pronto e aperto, curioso, con una certa cultura classica e pratico di Virgilio, benché fosse uomo d'arme e non un erudito, forte e ancora giovane, con moglie e figli e molto noto a Milano.
Nel giugno successivo il M. non era ancora partito per la Terrasanta e doveva essere tornato, almeno in parte, nelle grazie del cugino Galeazzo Visconti. Sempre secondo il racconto di Azario, infatti, quando, in seguito agli accordi firmati a Milano l'8 giugno, il marchese di Monferrato Giovanni II Paleologo restituì Novara ai Visconti, il M. accompagnò Galeazzo nella sua entrata formale nella città recuperata (18 giugno) e, con ogni probabilità, assistette all'orazione pronunciata quello stesso giorno da Petrarca nel chiostro del duomo di Novara, per esortare il popolo a riconoscere la signoria del Visconti e ad avere fiducia in lui.
D'altronde poco più di un anno dopo il M. - posto che il viaggio in Terrasanta abbia avuto luogo - era in patria e godeva ancora del favore del Visconti, se è vera la notizia secondo cui Galeazzo, con decreto dell'8 dic. 1359, lo nominò suo luogotenente in Milano (cfr. Famiglie notabili milanesi).
Le tracce del M. si fanno, d'ora in poi, sempre più rare: il 1° giugno 1364 egli ottenne un mandato di pagamento di 10.000 lire imperiali da Bernabò Visconti. Negli anni successivi il M. dovette però cadere nuovamente in disgrazia, se una lettera di Petrarca (6 luglio 1368) lo consolava del suo stato di esule.
Il poeta, infatti, giudicava tale esilio "non già misero, ma felice, giocondo, degno d'invidia", il poeta considerava infatti che "mai avrebbe fatto di voi quell'uomo che siete divenuto la patria, ovvero quella vostra antica prosperità che nulla vi arrecò di buono giammai, che non fossero fatiche, occupazioni e gelosie; cose tutte che il cieco volgo suol annoverare tra i beni!" (Novati, p. 52).
La morte del M., che non è possibile datare con precisione, sembra averlo colto in miseria, lontano da Milano.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Piacenza, Fondo eredità Mandelli, s. I, cass. I; Como, Arch. stor. della diocesi, Fabbrica del duomo, tit. XXIV (Eredità), cartt. 3, 5-6, 15; P. Azario, Liber gestorum in Lombardia, a cura di F. Cognasso, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XVI, 4, pp. III, IX, 63, 77, 91, 107; F. Petrarca, Scritti inediti, a cura di A. Hortis, Trieste 1874, p. 107 n. 1; Carte varie a supplemento e complemento dei volumi II, III, XI, XII, XIII, XIV, XV, XXII, XXXVI, XLIV, LXV, LXVII, LXVIII della Biblioteca della Soc. stor. subalpina, a cura di F. Gabotto et al., Pinerolo 1916, pp. 296-300 n. 223; Gli offici del Comune di Milano e del dominio visconteo-sforzesco (1216-1515), a cura di C. Santoro, Milano 1968, pp. 319, 343; Il "Registrum magnum" del Comune di Piacenza, a cura di E. Falconi - R. Peveri, Milano 1997, IV, nn. 1207-1209, 1212; Pergamene della famiglia Mandelli (Archivio storico della diocesi di Como, secc. XIII-XVII). Regesti, a cura di E. Canobbio, Como 2000, ad ind.; F. Arisi, Praetorum Cremonae series chronologica, Cremona 1731, p. 18; B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, I, Torino 1978, p. 781; C. Poggiali, Memorie storiche della città di Piacenza, VI, Piacenza 1759, p. 286; G. Giulini, Memorie spettanti alla storia, al governo ed alla descrizione della città e campagna di Milano ne' secoli bassi, IV, Milano 1854, p. 458; V, ibid. 1857, pp. 368 s.; Famiglie notabili milanesi, a cura di F. Calvi et al., Milano 1875-85, s.v. Famiglia Mandelli; G. Lumbroso, L'"Itinerarium" del Petrarca, in Atti della R. Accademia dei Lincei. Rendiconti, s. 4, IV (1888), pp. 390-403; Z. Volta, L'età, l'emancipazione e la patria di Gian Galeazzo Visconti, in Arch. stor. lombardo, XVI (1889), pp. 605 s.; Bibliotheca geographica Palestinae, a cura di R. Röhricht, Berlin 1890, p. 90; F. Novati, Il Petrarca ed i Visconti. Nuove ricerche su documenti inediti, in Francesco Petrarca e la Lombardia, Milano 1904, pp. 42-44, 50; G. Pirchan, Italien und Kaiser Karl IV. in der Zeit seiner zweiten Romfahrt, Prag 1930, I, pp. 158, 170; II, p. 110; N. Sapegno, Il Trecento, Torino 1934, p. 219; A. Viscardi, La cultura milanese nel secolo XIV, in Storia di Milano, V, Milano 1955, p. 596; A. Colombo, Milano "secunda Roma" e la lapide encomiastica dell'antica Porta Romana, in Arch. stor. lombardo, LXXXIII (1957), p. 168 n.; E.H. Wilkins, Petrarch's eight years in Milan, Cambridge, MA, 1958, pp. 48, 113, 161-164, 167; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, II, Bergamo 1959, p. 423; G. Ronchetti, Memorie istoriche della città e Chiesa di Bergamo, III, Bergamo 1975, p. 96; E. Cordani, La famiglia dei da Mandello di Caorso (secc. XIII-XV), tesi di laurea, Univ. di Milano, a.a. 1978-79; E.H. Wilkins, Vita del Petrarca, Milano 1980, p. 209; A. Cerri, Francesco Petrarca a Pavia, in Storia di Pavia, III, 1, Pavia 1992, p. 466; G. Petti Balbi, Simon Boccanegra e la Genova del '300, Napoli 1995, pp. 34-36, 55, 379 (citato come Giovanni Mondella, tesoriere di Giovanni Visconti).