Malpaghini, Giovanni
Letterato, nato a Ravenna nel 1346; nel 1363 lasciò la sua città per non ben chiariti motivi politici e si rifugiò a Venezia, dove studiò alla scuola di Donato degli Albanzani. Questi nel 1364 lo presentò al Petrarca che lo assunse come segretario e amanuense.
Alle dipendenze del poeta il M. trascrisse le Familiari, cominciò la copia definitiva delle Rime sparse e ricopiò parte della traduzione omerica di Leonzio Pilato. Quando il Petrarca si trasferì a Padova, il M. lo seguì, ma poi, nel maggio del 1368, si decise ad abbandonare il poeta, che tentò di trattenerlo. Passato a Pisa e poi a Pavia (dove incontrò nuovamente il Petrarca dal quale ebbe due lettere di raccomandazione, una per Francesco Bruni segretario papale, l'altra per Ugo di Sanseverino, nel caso che il M. desiderasse recarsi in Calabria per apprendere il greco), si recò a Roma e quindi ad Avignone dove continuò a fare il copista. Dopo la morte del Petrarca accorse a Padova per impedire che le opere inedite del poeta andassero disperse; nel 1394 si trasferì a Firenze, nel cui Studio insegnò retorica, con qualche interruzione, fino al 1417, anno della sua morte. Ebbe come discepoli, tra gli altri, il Bruni e il Bracciolini, e strinse amicizia col Salutati, cui dedicò il Conquestus de morte Petrarcae, l'unica opera di lui rimastaci.
La sua figura è stata -a lungo confusa con quella di Giovanni di Conversino da Ravenna cui è stato tra l'altro attribuito il magistero nello Studio fiorentino.
Da una provvisione conservata nell'Archivio delle Riformagioni risulta invece che " vir doctissimus D. Iohannes de Malpaghini de Ravenna " ha letto per lungo tempo in Firenze " Rethoricen et Auctores Maiores et aliquando librum Dantis ", succedendo nella cattedra dantesca a Filippo Villani. Si trattò certamente, come risulta anche dall'aliquando, della consueta lettura tenuta per tradizione nei giorni festivi. Purtroppo non è possibile documentare l'influenza dell'insegnamento dantesco del M. sulla cultura fiorentina del tempo, ma è facile supporre che dovette degnamente inserirsi in una tradizione ormai affermata, quale appunto quella della lettura fiorentina del poema, se si pensa che uno dei discepoli del M. fu proprio quel Leonardo Bruni cui doveva essere affidata principalmente la fama di D. in ambiente fiorentino nella generazione successiva.
Bibl. - C. Salutati, Epistolario, a c. di F. Novati, Roma 1896, II 516-518, 534-538; IV 174-207; U. Marchesini, F. Villani pubblico lettore della D.C. in Firenze, in " Arch. Stor. Ital. " s. 5, XVI (1903) 273; P. De Nolhac, Petrarque et l'Humanisme, I, Parigi 1907, 74-75, 118-119; R. Sabbadini, Giovanni da Ravenna, Como 1924, 241-249; A. Foresti, Aneddoti della vita di F. Petrarca, Brescia 1928, 425-457; V. Rossi, La fortuna di D. nel Trecento e Quattrocento, in Saggi e discorsi su D., Firenze 1930, 321; ID., introd. a F. Petrarca, Le Familiari, ibid. 1933, I, XIII; E.H. Wilkins, Vita del Petrarca e la formazione del " Canzoniere ", a c. di R. Ceserani, Milano 1964, 266-273, 355-359.