MAGALOTTI, Giovanni
Figlio di Francesco, nacque a Firenze intorno agli anni Trenta del XIV secolo. Della sua vita privata, in larga misura ignota, è attestato il matrimonio con Lisa, figlia di Vanni Manetti. Il M. fece parte del Priorato della Repubblica fiorentina nel 1362 (anno cui risale la stesura del suo testamento, con un lascito di 100 fiorini in favore dell'ospedale cittadino di S. Maria Nuova) e nel 1373. Capo di Popolo ben noto in città, fra i più accesi difensori della libertà del Comune, sembra essersi mantenuto in certa misura super partes nelle lotte che agitavano la realtà politica fiorentina, sebbene si trovasse in totale disaccordo con la persecuzione antighibellina voluta dalla Parte guelfa, attestandosi, così, sulle posizioni di Uguccione de' Ricci.
Insieme con alcuni suoi sostenitori, nel 1372 portò avanti l'opposizione agli Albizzi, allora alla guida dell'oligarchia dei maggiori popolani e della parte guelfa. Figurò, pertanto, fra i Dieci cittadini custodi della libertà, un gruppo di uomini (due per quartiere più due esponenti dei grandi) voluto dai priori a scopo di pacificazione.
Nel marzo 1374, in qualità di "proposto" dei Priori, il M. riunì un consiglio di seicento cittadini "richiesti", ossia un'assemblea di savi, e chiese il loro appoggio contro la politica della Parte. Nell'assemblea si trovava il giureconsulto Lapo da Castiglionchio, legato a Piero Albizzi all'epoca capitano dei guelfi, il quale, timoroso che le proposte del M. catalizzassero il malcontento verso i medesimi, intervenne contro di lui e la sua iniziativa, pronunciando un discorso dai toni molto accesi. Il celebre giurista condusse una lunga arringa e il M., in qualità di moderatore, finì per togliergli la parola. Ciò provocò lo sdegno dell'oratore, pronto a esprimere la sua denuncia contro l'impossibilità di parlare in favore della Parte. L'azione del M. lo espose al sospetto dei "partefici", ma egli non subì conseguenze immediate poiché godeva della stima e del rispetto popolari.
Come rileva Brucker, l'ostilità verso gli eccessi della Parte e l'opposizione alla politica espansionistica del Papato nell'Italia centrale condussero il M., insieme con alcuni esponenti del patriziato urbano a lui più vicini, ai vertici del regime popolare che portò la città, ormai egemonizzata da Piero Albizzi, allo scontro con il pontefice Gregorio XI. Quest'ultimo, fin dai primi anni Settanta, aveva infatti cercato di rafforzare il proprio potere nei territori del Patrimonium per preparare il suo prossimo rientro a Roma da Avignone, e i Fiorentini temevano un accerchiamento dei loro domini.
Il M. fece parte, per il quartiere di S. Croce, della magistratura degli Otto di balia (i cosiddetti Otto santi) che, dal 1376, condusse a nome della Signoria la guerra contro il papa. Egli entrò fin dagli inizi nel nucleo ristretto di tre membri (con Tommaso Strozzi e Andrea Salviati) che diresse le operazioni belliche e fomentò le rivolte delle comunità soggette alla Chiesa, ottenendo nell'aprile di quell'anno solenni riconoscimenti e l'offerta di promozione alla cavalleria del Comune (Salvemini); quindi, nel maggio 1377 fu gonfaloniere di Giustizia.
Il M. morì a Firenze il 15 luglio 1377.
Stando alla testimonianza dei cronisti coevi (in particolare Monaldi) e degli storici successivi, gli furono concesse pubbliche e solenni esequie. Il suo corpo venne tumulato con gran pompa nella basilica di S. Croce, nonostante l'interdetto lanciato dal papa contro la città e a dispetto della scomunica che aveva colpito gli Otto della guerra. Secondo quanto riferisce il priorista Mariani, la parola libertas apposta in lettere d'argento agli stemmi delle famiglie degli Otto e incisa sulla lapide sepolcrale del M. rimase poi per sempre nell'arme dei Magalotti.
Il cronista Marchionne di Coppo Stefani aggiunge che il M. morì "di sua infermità", ma la scomparsa di tale personaggio fu avvertita come un "gran danno" per tutta la città, "e sì perché fu buono uomo" (p. 311). La sua fama di giusto e di uomo politico imparziale, attento alla difesa del Comune e del Popolo cittadino, è il registro che ricorre nelle testimonianze a lui relative fornite dai memorialisti sia coevi sia posteriori.
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