VALESIO, Giovanni Luigi
– Ignoti sono l’anno e il luogo della nascita: Giovanni Baglione e Carlo Cesare Malvasia non forniscono informazioni, mentre secondo i repertori di Michael Huber e Carl Christian Heinrich Rost, così come quelli di George Kaspar Nagler e di Adam Bartsch, Valesio sarebbe nato nel 1561. Malvasia afferma che il padre era un soldato spagnolo in forza alla guarnigione di Correggio a partire dal 1580 e, sulla scorta di questa affermazione, una parte della critica ha ipotizzato la nascita dell’artista a Correggio verso il 1583 da Jacobus Simonis de Valisi e Marianna de Tircevaris, spagnoli (Birke, 1987, p. 21; Bohn, 1997, p. 29), mentre secondo altri sarebbe nato agli inizi degli anni Sessanta in Spagna (Roio, 1994, p. 335). Pare tuttavia che egli non fosse imparentato con la dinastia di tipografi, incisori e mercanti d’arte Valesio (o da Valeggio) provenienti dal borgo di Valeggio sul Mincio, ma stabilitisi a Verona e attivi a Venezia sin dalla fine del Cinquecento.
Nel 1598, la famiglia dell’artista lasciò Correggio per trasferirsi a Bologna. Stando a Malvasia, suo primo biografo, il talento di Valesio si manifestò dapprima nella scherma, di cui apprese i rudimenti dal padre, poi nel ballo. Perfezionatosi in quest’ultima disciplina, aprì a Bologna una «pubblica scuola» (Malvasia, 1678, 1841, II, p. 95) , molto apprezzata dagli aristocratici che frequentavano le sue lezioni, allietate inoltre dalle abilità del maestro con il liuto. Tuttavia, i pochi ricavi costrinsero Valesio ad abbandonare l’impresa e a trasferirsi presso il fratello Ernando, insegnante nella locale scuola di calligrafia; in breve si fece conoscere come eccellente calligrafo, elaborando «privilegi per que’ forestieri» (ibid.), ovvero le pergamene ornate di arabeschi e miniature su cui era indicato il titolo di dottore ottenuto dagli studenti.
La partecipazione di Valesio al progetto dell’apparato funebre di Agostino Carracci, organizzato a Bologna il 18 gennaio 1603, per il quale dipinse «il sepolcro del Carraccio, attorniato da Apollo con le Muse» (Morello, 1603, p. 18), lascia supporre che l’artista facesse già parte dell’Accademia degli Incamminati, sebbene il suo nome compaia nei documenti ufficiali solo dal 1605, con il soprannome l’Instabile. Eccellente nell’ars oratoria come cortigiano, Valesio fu poeta e letterato, aderendo all’Accademia dei Selvaggi con gli pseudonimi l’Invescato e lo Stridolo, e all’Accademia dei Torbidi, entrambe fondate a Bologna nei primi anni del Seicento da Giovanni Capponi, arrivando a ricoprire in entrambe il ruolo di principe (Malvasia, 1678, 1841, II, pp. 99 s.).
Secondo Malvasia, Valesio aveva superato i trent’anni quando divenne allievo di Ludovico Carracci e il maestro, considerata la sua età ormai avanzata, gli permise di abbreviare le pratiche di studio. È anche possibile che Valesio avesse iniziato a dipingere prima di entrare nella bottega di Ludovico, in quanto Malvasia lo ricorda tra i membri dell’accademia fondata dallo scultore Domenico Maria Mirandola e dal pittore Pietro Faccini, quest’ultimo rivale dei Carracci (ibid., I, p. 409). In quest’accademia pare avesse scelto per sé il soprannome di Avvivato e con questo epiteto sottoscrisse il S. Raimondo di Peñafort, inciso nel 1601 da un modello di Faccini.
Se quest’ultimo influenzò la formazione del più giovane Valesio in direzione del manierismo, è innegabile che il suo stile, soprattutto grafico, risentì maggiormente dello stretto legame con l’arte di Agostino e Ludovico Carracci, grazie alla capacità di rendere morbidezze atmosferiche e gradazioni tonali. Dalla frequentazione carraccesca derivò inoltre la concezione dell’arte intesa non solo come mestiere, ma anche quale estro poetico. Nel 1602 l’artista fornì il frontespizio per i De animalibus insectis libri septem di Ulisse Aldrovandi, di cui intagliò anche il ritratto. In quello stesso periodo entrò in contatto con gli Anziani del Comune e, in qualità di loro miniatore, tra il 1604 e il 1613 realizzò diciotto opere tra le Insignia, ora conservate presso l’Archivio di Stato di Bologna, Anziani Consoli, Insignia, volume IV, cc. 1v (1604, III bim.), 40v (1608, II bim.), 41r (1608, II bim.), 44v (1608, IV bim.), 47v (1608, VI bim.), 51v (1609, IV bim.), 52v -53r (1609, V bim.), 55r (1610, II bim.), 57r (1610, III bim.), 58v (1610, V bim.), 59r (1610, V bim.), 59v (1610, ? bim.), 60v (1610, VI bim.), 61v (1611, I bim.), 62v (1611, II bim.), 78v (1612, VI bim.), 79r (1612, VI bim.), 80v (1613, II bim.).
Come incisore nel 1605 illustrò il frontespizio del Filarmindo, favola pastorale di Ridolfo Campeggi e, tra il 1606 e il 1616, compose la prima edizione della raccolta I primi elementi del disegno in grazia de i principianti nell’arte della pittura, un insieme di modelli destinati ai giovani aristocratici che desideravano dilettarsi nell’uso della penna e del pennello. Nel 1607 venne edito un suo sonetto inserito nel Tirinto, favola pastorale di Giovanni Capponi, e l’anno seguente scrisse due componimenti in una raccolta di poesie compilata dall’Accademia dei Selvaggi per le nozze di Alfonso d’Este di Modena e di Isabella di Savoia. Sempre nel 1608 illustrò i libretti preparati in memoria delle nozze di Ferdinando Riario e Laura Pepoli, e di quelle di Ercole Pepoli e Vittoria Cibo nel 1609.
Parallelamente alla sua attività di miniatore e incisore, dipinse nel 1607 l’affresco della volta dell’entrata principale nel palazzo dell’Archiginnasio, su commissione del primo studente americano dello Studio petroniano, a memoria del conferimento del suo titolo di dottorato. L’11 gennaio 1611 gli Anziani gli affidarono la carica di scrivano presso l’Università, relativamente al Pubblico albo dei signori dottori, e nel dicembre dello stesso anno ebbe il ruolo di docente ad artem scribendi. Grazie a questa collaborazione nel secondo decennio del Seicento Valesio ricevette diverse commissioni, come l’affresco per il monumento a S. Carlo Borromeo nello scalone dei Legisti nel palazzo dell’Archiginnasio, i due soffitti in palazzo Fava, il fregio della sala degli Svizzeri nel palazzo comunale, il catino absidale nella cappella di S. Domenico nell’omonima chiesa e il camerino in palazzo Dall’Armi-Marescalchi.
Su invito di Giacomantonio Curti Maghini, suo amico e allora arciprete della collegiata e plebania di S. Vincenzo a Gravedona sul lago di Como, nel 1611 affrescò la cappella della Beata Vergine del Rosario nella chiesa dei Ss. Eusebio e Vittore a Peglio, dove sono palesi gli echi ludovichiani uniti a retaggi ancora manieristici. Per certo Valesio fu a Gravedona anche dopo questa data, come riferito da Malvasia, perché al suo ritorno a Bologna compose alcuni sonetti sul Giudizio Universale di Giovan Mauro Della Rovere, detto il Fiamminghino, terminato nel 1614. Le amicizie gravedonesi gli procurarono successivamente altre commissioni, come la pala con la Vocazione di s. Andrea nella parrocchiale di S. Salvatore di Vercana (1618), un’altra pala d’altare con S. Francesco che riceve le stimmate (post 1616) e una Madonna con Bambino e i ss. Carlo Borromeo e Andrea, entrambe destinate alla parrocchiale di S. Vincenzo.
Di nuovo a Bologna Valesio dipinse tra il 1617 e il 1618 circa Cristo flagellato, tuttora conservato nella sacrestia della cattedrale di S. Pietro, che dimostra non solo il debito ludovichiano, ma anche suggestioni del Guercino, con cui lavorò direttamente nell’oratorio di S. Rocco del Pratello verso il 1618. In questo periodo Valesio illustrò il resoconto di Alfonso Isachi sulla festa organizzata il 15 maggio 1619 per la traslazione dell’immagine della Vergine nella chiesa della Ghiara di Reggio Emilia, ma la sua attività in ambito modenese e reggiano resta ancora mal conosciuta.
In qualità di esperto di argomenti artistici Valesio prese parte nel 1614 alla difesa di Giovan Battista Marino, nell’ambito della controversia tra questi e Ferrante Carli, pubblicando a Bologna un libretto insieme a Giovanni Capponi dal titolo Parere dell’Instabile academico incaminato intorno ad una postilla del conte Andrea dell’Arca contra una particella che tratta della pittura nelle ragioni del conte Ludovico Tesauro in difesa d’un sonetto del cavalier Marino. Questo intervento gli valse probabilmente la citazione nella lista di coloro che l’autore della Sampogna (1620) si fregiava di avere per amici, come riportato in una delle lettere prefatorie dell’opera, e il suo nome figura non solo nel pantheon dei pittori evocato da Marino nel suo Tempio, ma anche nella Galeria (1620) e nell’Adone (1623).
Abile nel relazionarsi alle sfere più alte dell’aristocrazia, Valesio si mise al servizio dei Ludovisi a Roma a partire dal 1621 e l’anno seguente fu pubblicata La cicala, unica raccolta di sue sole poesie.
Presso i Ludovisi ricoprì numerosi e variegati incarichi: segretario del cardinale Ludovico e decoratore del suo palazzo ducale a Zagarolo, custode dei giardini di porta Pinciana, della Galleria e della Guardaroba pontificia, «pagatore de’ cavallegieri» (Malvasia, 1678, 1841, II, p. 102), eseguì disegni e trafori per i ricami della contessa Lavinia Albergati, consorte di Orazio Ludovisi. Sotto la sua soprintendenza il 24 luglio 1624 si svolse la commemorazione dell’anniversario della morte di papa Gregorio XV nella cattedrale di S. Pietro a Bologna.
Durante il soggiorno romano Valesio ebbe il privilegio di essere ammesso all’Accademia degli Humoristi e nel 1625 occupò un ruolo di primo piano nell’elaborazione dell’apparato funebre di Marino organizzato da quegli accademici. Nell’Urbe affrescò nel chiostro di S. Maria sopra Minerva e tra i suoi ultimi lavori si annoverano nel 1631 la collaborazione alle tavole della Galleria di Vincenzo Giustiniani e le incompiute illustrazioni delle Epistole eroiche di Antonio Bruni.
Morì a Roma, afflitto dalla podagra, nel 1633.
Fonti e Bibl.: Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, ms. B.126: M. Oretti, Notizie de’ professori del disegno, XVIII secolo, cc. 386 ss.
B. Morello, Il funeral d’Agostin Carraccio fatto in Bologna sua patria da gl’Incaminati academici del Disegno, scritto all’ill.mo et r.mo sig.r cardinal Farnese, Bologna 1603, p. 18; G. Baglione, Le vite de’ pittori, scultori et architetti..., Roma 1642, pp. 354 s.; C.C. Malvasia, Felsina Pittrice (1678), Bologna 1841, I, pp. 74, 90-92, 106, 303, 400, 409, II, pp. 95-104; Id., Le pitture di Bologna (1686), Bologna 1969, pp. 41, 76, 112 s., 135, 142, 164, 224, 246, 248; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, VIII, Bologna 1790, pp. 134-136; M. Huber - C.C.H. Rost, Manuel des curieux et des amateurs de l’art, III, Zurich 1800, pp. 261 s.; L. Lanzi, Storia pittorica dell’Italia, V, Firenze 1834, pp. 82 s.; A. Bolognini-Amorini, Vite dei pittori ed artefici bolognesi, V, Bologna 1843, pp. 126-129; G.K. Nagler, Neues allgemeines Künstler-Lexikon, XIX, München 1849, pp. 329-336; A. Bartsch, Le peintre-graveur, XVIII, Leipzig 1870, pp. 211-248; Q. Bigi, Di G.L. V., in Atti e memorie delle RR. Deputazioni di storia patria per le provincie modenesi e parmensi, VI (1872), p. 411; G.K. Nagler, Die Monogrammisten, V, München 1879, pp. 202 nn. 1014, 1016, 249 n. 1283; U. Thieme - F. Becker, Allgemeines Lexicon der bildenden Künstler, XXXIV, Leipzig 1940, p. 72; G. Plessi, G.L. V. miniatore degli Anziani, in Strenna storica bolognese, IV (1954), pp. 47-56; V. Birke, The Illustrated Bartsch 40 (Commentary, Part 1), New York 1987, pp. 21-171; D. Benati, V., G.L., in La pittura in Italia. Il Seicento, a cura di M. Gregori - E. Schleier, II, Milano 1989, p. 908; N. Roio, G.L. V. (Spagna, 1560 ca - Roma, 1633) in La scuola dei Carracci. Dall’accademia alla bottega di Ludovico, a cura di E. Negro - M. Pirondini, Modena 1994, pp. 335-344; B. Bohn, I disegni di G.L. V., in Grafica d’arte, VIII (1997), 29, pp. 29-35; A. Comalini, Un’insolita presenza bolognese in Alto Lario: G.L. V. nella chiesa dei Santi Eusebio e Vittore di Peglio, in L’Archiginnasio, XCVI (2001), pp. 17-42; K. Takahashi, Le prime edizioni e rappresentazioni del “Filarmindo” di Ridolfo Campeggi e il ruolo di G.L. V., ibid., pp. 43-80; C. Pace, Perfected through emulation: “Imprese” of the Accademia degl’Incamminati, in Notizie da Palazzo Albani, XXXIII (2004), pp. 99-138; K. Takahashi, G.L. V. Ritratto de «l’Instabile academico incaminato», Bologna 2007, con bibl.; A. Comalini, In Alto Lario un’altra opera del Valesio, in L’Archiginnasio, CIII (2008), pp. 277-287; D. Boillet, Il testo e l’immagine: a proposito del doppio contributo di G.L. V. a raccolte per nozze (1607-1622), in Line@editoriale, III (2011), http://revues.univ-tlse2.fr/ pum/lineaeditoriale/index.php?id= 749 (4 marzo 2020); A. Comalini, G.L. V. nella parrocchiale di S. Vincenzo in Gravedona, in Altolariana, II (2012), pp. 103-118; D. Pescarmona, Il Rosario per la Chiesa militante. G.L. V. e Giovanni Mauro della Rovere, il Fiammenghino, a Peglio e a Montemezzo, ibid., IV (2014), pp. 137-152.